di Al-Miftah* , "la Rivista del manifesto", N. 28, maggio 2002
Risposte ad alcune domande ricorrenti
1. Perché i palestinesi hanno rifiutato la proposta di Pace
di Camp David?
Perché vi sia una pace vera e duratura fra i popoli israeliano
e palestinese, devono esistere due Stati confinanti, indipendenti, e su
un piano di parità. La proposta israeliana di Camp David, mai avanzata
per iscritto, negava allo Stato palestinese l’indipendenza e la possibilità
di svolgere le proprie funzioni, in quanto basata sulla divisione del territorio
palestinese in quattro cantoni separati, completamente circondati, e quindi
controllati, da Israele. Inoltre, la proposta di Camp David negava ai palestinesi
il controllo delle proprie frontiere, dello spazio aereo e delle risorse
idriche, mentre legittimava ed espandeva le colonie israeliane illegali
in territorio palestinese. La proposta israeliana di Camp David ridisegnava
l’occupazione militare, invece di porvi termine.
2. La proposta israeliana non restituiva ai palestinesi quasi tutti
i territori occupati da Israele nel 1967? No. Israele ha cercato di annettere
quasi il 9% dei Territori Occupati offrendo in cambio solo un 1% di territorio
israeliano. Inoltre, Israele ha cercato di ottenere il controllo di un
altro 10% dei Territori Occupati nella forma di un ‘affitto a lungo termine’.
Tuttavia, il problema principale non è rappresentato dalle percentuali
di territorio in gioco, ma dall’indipendenza dello Stato palestinese e
dalla possibilità che esso svolga le proprie funzioni. In una prigione,
ad esempio, il 95% degli spazi – celle, mense, palestra e infermeria –
è apparentemente per i detenuti, ma il restante 5% è sufficiente
ai secondini per mantenere il controllo sui detenuti. Allo stesso modo,
la proposta di Camp David, pur ampliando le celle in cui è rinchiusa
la popolazione palestinese, non eliminava il controllo israeliano su di
essa.
3. I palestinesi hanno accettato l’idea di uno scambio di territori?
I palestinesi erano (e sono) pronti a considerare qualsiasi idea
compatibile con una pace giusta, basata sul diritto internazionale e sul
principio di uguaglianza dei popoli israeliano e palestinese. I palestinesi
hanno preso in considerazione lo scambio di territori, proponendo che avvenisse
in rapporto paritetico, con terre di eguale valore, in aree adiacenti alla
frontiera con la Palestina e in prossimità dei territori da annettere
a Israele. Tuttavia, la proposta israeliana di Camp David di uno scambio
di territori in rapporto nove a uno (a favore di Israele) è stato
ritenuto così ingiusto da minare la credibilità dell’impegno
israeliano per il raggiungimento di un compromesso equo sulle questioni
territoriali.
4. Come si configurava il territorio dello Stato palestinese nella
proposta israeliana?
La proposta israeliana divideva la Palestina in quattro cantoni separati,
circondati da Israele: Cisgiordania Settentrionale, Cisgiordania Centrale,
Cisgiordania Meridionale e Gaza. Il passaggio da un’area all’altra avrebbe
richiesto l’attraversamento di territori sotto sovranità israeliana,
assoggettando così al controllo israeliano gli spostamenti dei palestinesi
all’interno del loro paese. Tali restrizioni avrebbero riguardato, oltre
al movimento delle persone, anche il trasporto delle merci, ponendo, di
fatto, anche l’economia palestinese sotto controllo israeliano. Infine,
la proposta di Camp David assegnava la sorveglianza di tutte le frontiere
dello Stato palestinese a Israele consentendo a quest’ultimo di controllare,
oltre che i movimenti interni di persone e beni, anche quelli internazionali.
Uno Stato palestinese così configurato avrebbe avuto meno sovranità
e poteri dei bantustan creati dal governo sudafricano durante l’apartheid.
5. Come affrontava la questione di Gerusalemme Est la proposta israeliana?
La proposta di Camp David chiedeva ai palestinesi di abbandonare ogni
rivendicazione sulle zone occupate di Gerusalemme, imponendo il riconoscimento
dell’annessione a Israele di tutta la Gerusalemme Est araba. In colloqui
successivi a Camp David, Israele si è mostrato disponibile a concedere
ai palestinesi la sovranità su alcuni quartieri arabi isolati nel
cuore di Gerusalemme Est. Tali aree tuttavia sarebbero state circondate
da colonie israeliane illegali, nonché separate tra loro e dal resto
dello Stato palestinese. Nei fatti, tale proposta avrebbe creato alcuni
ghetti palestinesi nel cuore di Gerusalemme.
6. Perché i palestinesi non hanno mai presentato una propria
proposta complessiva di accordo definitivo in alternativa alle proposte
di Barak? La soluzione definitiva del conflitto è rappresentata
dall’applicazione delle Risoluzioni 242 e 338 delle Nazioni Unite, come
riconosciuto da entrambe le parti durante la Conferenza di Madrid nel 1991
e negli accordi di Oslo del
1993. Lo scopo dei negoziati è l’attuazione di tali risoluzioni
(che richiedono il ritiro di Israele dai territori occupati nel 1967) e
il raggiungimento di un accordo sulle questioni riguardanti lo status permanente
del futuro Stato. Dopo Camp David, in varie occasioni – ed in particolare
durante le trattative di Taba – i negoziatori palestinesi hanno presentato
il proprio progetto di soluzione delle questioni-chiave riguardanti lo
status permanente. Tuttavia, è importante ricordare che Israele
e i palestinesi hanno istanze differenti. Israele cerca di ottenere ampie
concessioni: l’annessione di territorio palestinese, compresa Gerusalemme
Est; il diritto di sfruttamento delle risorse idriche palestinesi in Cisgiordania;
il mantenimento di postazioni militari sul suolo palestinese; e l’abbandono
del diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Israele non ha offerto
in cambio alcuna concessione circa il proprio territorio e i propri diritti.
D’altra parte, i palestinesi cercano di ottenere uno Stato in grado di
svolgere le proprie funzioni e sovrano sul proprio territorio; il ritiro
delle forze armate israeliane; lo smantellamento delle colonie (universalmente
ritenute illegali), e il riconoscimento del diritto dei profughi palestinesi
al ritorno nelle zone da cui sono fuggiti nel 1948. Sebbene i negoziatori
palestinesi abbiano cercato, in tale contesto, di tener conto delle legittime
necessità israeliane, in particolare riguardo alle questioni della
sicurezza e dei profughi, spetta a Israele definire tali necessità
e suggerire il modo più opportuno di farvi fronte, nel rispetto
dei diritti legittimi dei palestinesi.
7. Perché il processo di pace si è interrotto proprio
quando si stavano compiendo alcuni passi concreti nella direzione di un
accordo definitivo?
I palestinesi hanno partecipato al processo di pace nella convinzione:
1. che esso avrebbe portato un miglioramento sensibile delle condizioni
di vita durante il periodo di transizione, 2. che il periodo di transizione
sarebbe stato relativamente breve (cinque anni), e 3. che un accordo definitivo
avrebbe attuato le risoluzioni 242 e 338 dell’ONU. Il processo di pace
non ha portato nulla di tutto ciò. Al contrario, i palestinesi hanno
subito ulteriori restrizioni negli spostamenti e un sostanziale peggioramento
delle proprie condizioni economiche. Le colonie israeliane sono cresciute
a un ritmo senza precedenti, mentre la Cisgiordania e la Striscia di Gaza
sono state ulteriormente frammentate dalla costruzione di una rete di strade
riservate agli israeliani, per aggirare le città e i villaggi palestinesi,
e dal proliferare di posti di blocco militari israeliani. Infine, gli israeliani
hanno ripetutamente ignorato le scadenze nell’attuazione degli accordi.
In altri termini, i palestinesi non hanno riscontrato alcun
‘progresso’ nella loro vita quotidiana. Tuttavia, a compromettere definitivamente
il sostegno dei palestinesi al processo di pace è stato il modo
in cui Israele ha presentato la sua proposta. Prima di iniziare i negoziati
sulle questioni riguardanti lo status permanente, il premier israeliano
Ehud Barak ha pubblicamente e ripetutamente minacciato i palestinesi, sostenendo
che la sua
'offerta’ sarebbe stata la migliore, nonché l’ultima, da parte
di Israele e che qualora non fosse stata accettata, Israele avrebbe seriamente
considerato la prospettiva di una ‘separazione unilaterale’ (un eufemismo
che indica l’imposizione di una soluzione, al posto del raggiungimento
di un accordo consensuale). I palestinesi si sono sentiti traditi da Israele,
che si era impegnato all’inizio del processo di pace di Oslo a porre termine
all’occupazione dei territori palestinesi, in ossequio alle Risoluzioni
242 e 338 delle Nazioni Unite.
8. L’esplosione di violenza dopo Camp David non dimostra che i palestinesi
in realtà non vogliono convivere in pace con Israele?
I palestinesi hanno riconosciuto il diritto all’esistenza di
Israele nel 1988, ribadendo tale riconoscimento in diverse occasioni tra
cui la Conferenza di Madrid del 1991 e gli accordi di Oslo del settembre
1993. Ciononostante, Israele deve ancora riconoscere formalmente ed esplicitamente
alla Palestina il diritto di esistere. Il popolo palestinese ha atteso
pazientemente, sin dalla Conferenza di Madrid del 1991, l’ottenimento della
libertà e dell’indipendenza nonostante il persistere della politica
israeliana del ‘fatto compiuto’, con la creazione di colonie in territorio
occupato (le unità abitative israeliane nei Territori Occupati –
esclusa Gerusalemme Est – sono aumentate del 52% dagli accordi di Oslo,
e la popolazione dei coloni, inclusa quella di Gerusalemme Est, è
più che raddoppiata). I palestinesi desiderano realmente vivere
in pace con Israele, ma la pace con Israele deve essere una pace giusta
– non la pace ingiusta imposta dal più forte al più debole.
9. Il fallimento di Camp David non dimostra forse che i palestinesi
non sono pronti a un compromesso?
I palestinesi hanno già compiuto importanti concessioni.
Negli Accordi di Oslo, i palestinesi hanno riconosciuto la sovranità
di Israele sul 78% della Palestina storica (il 23% in più di quanto
previsto nel piano di spartizione dell’Onu del 1947), sulla base dell’ipotesi
che i palestinesi avrebbero esercitato la propria sovranità sul
restante 22%. La schiacciante maggioranza dei palestinesi ha accettato
un compromesso così generoso, che tuttavia è stato ignorato
a Camp David per chiedere ai palestinesi un ‘compromesso sul compromesso’
e ulteriori concessioni a favore di Israele. Anche se i palestinesi possono
continuare a fare concessioni, a nessun popolo si può chiedere di
abdicare ai propri diritti fondamentali o di rinunciare a uno Stato in
grado di svolgere le proprie funzioni.
10. I palestinesi hanno abbandonato l’idea di «due stati per
due popoli» per cercare di ottenere tutta la Palestina storica?
La situazione attuale ha sicuramente irrigidito le posizioni
di entrambe le parti, con estremisti che reclamano tutta la Palestina storica,
sia in Israele sia nei Territori Occupati. Ciononostante, non esiste alcuna
prova che l’Autorità nazionale palestinese, o la maggioranza dei
palestinesi, abbia abbandonato la prospettiva della coesistenza di due
stati. Quest’ultima ipotesi, tuttavia, è seriamente minacciata dalla
continua costruzione di colonie e autostrade riservate agli israeliani,
finalizzate all’annessione dei Territori Occupati. Senza l’interruzione
di tale costruzione, l’esistenza di due Stati potrebbe essere impossibile.
Alla luce di tale considerazione, sin d’ora vari intellettuali palestinesi
sostengono che Israele non consentirà mai ai palestinesi di ottenere
uno Stato in grado di svolgere le proprie funzioni, per cui i palestinesi
dovrebbero invece concentrare i propri sforzi al fine di ottenere gli stessi
diritti dei cittadini israeliani.
11. Non è irragionevole che i palestinesi sostengano il diritto
illimitato al ritorno di tutti i profughi in Israele?
Il problema dei profughi non è mai stato seriamente discusso
a Camp David perché il primo ministro israeliano Barak ha dichiarato
che Israele non aveva alcuna responsabilità in merito al problema
e alla sua soluzione. Ovviamente, non può esserci alcuna soluzione
complessiva del conflitto israelo-palestinese senza la soluzione di uno
dei problemi principali, la condizione dei profughi palestinesi. Il diritto
internazionale riconosce chiaramente alla popolazione civile fuggita durante
un conflitto il diritto al ritorno alle proprie case. Tuttavia, il riconoscimento
da parte israeliana del diritto al ritorno non implica automaticamente
l’esercizio di tale diritto da parte di tutti i profughi. A tale riconoscimento
è necessario affiancare il concetto di scelta. Molti profughi potrebbero
optare per (i) il re-insediamento volontario in un paese terzo, (ii) il
ritorno in un nuovo Stato palestinese indipendente (anche se originari
di parti della Palestina divenute israeliane), ovvero (iii) la regolarizzazione
del proprio status legale nel paese in cui risiedono attualmente. Inoltre,
il ritorno dei profughi potrebbe essere attuato a tappe in modo da tener
conto delle preoccupazioni demografiche di Israele.
* (Traduzione di Roberto Veneziani) «Al-Miftah», che
ha distribuito questo paper, è una Ong palestinese diretta da
Hanan Ashrawi.