Le mille delusioni dell'altro Afghanistan
Viaggio nella «società civile» di Kabul

Vittorio Agnoletto, "il manifesto", 18 marxo 2007


Le voci degli afghani che si sono battuti contro talebani e signori della guerra e che oggi soffrono l'occupazione occidentale. E la corruzione del governo Karzai. Che si nutre degli aiuti internazionali per arricchirsi, abbandonado a se stesso il paese

Di ritorno da Kabul

«Possibile che non abbiate ancora capito che l'alternativa è scegliere tra il popolo afgano, i talebani e il governo Karzai e non solo tra gli ultimi due? Gli Usa dicono di sostenere gli afghani ma sostengono un governo e un parlamento pieno di signori della guerra» Incontro il dr. Bashardost Ramazan nel parco di Kabul dove da mesi ha montato una tenda, passa qui intere giornate ad ascoltare le richieste e le proteste di chiunque gli chieda un colloquio, e cerca di farsi portavoce delle esigenze dei suoi concittadini in Parlamento, dove è stato eletto come indipendente.
Ha molte cose da denunciare e da chiedere a chi rappresenta un paese coinvolto nell'alleanza militare: «Non molto tempo fa un incaricato d'affari dell'ambasciata Usa ha dichiarato in un dibattito con Dostum su Aina Tv che costui, famoso signore della guerra nonché proprietario della stessa televisione, è 'una brava persona'. Due settimane fa Ronald Neumann, ambasciatore USA, è stato ricevuto a casa sua da Rabbani, altro criminale di guerra e dopo l'incontro ha dichiarato pubblicamente che il suo ospite 'ha fatto molte cose buone per il popolo afgano'. L'ambasciatore tedesco l'aveva preceduto a casa di Rabbani circa due mesi fa. Rabbani anche per Human Rights Watch è un criminale. Gli ambasciatori Usa e dell'Ue sostengono i signori della guerra. Gli afghani non capiscono qual'è la politica della comunità internazionale».
Bashardost è un fiume in piena: «Inoltre, non è un mistero che le forze internazionali, soprattutto inglesi e statunitensi, non rifiutano accordi con i talebani, quando lo reputano vantaggioso per le loro strategie nazionali o per la sicurezza dei loro uomini». Circa sei mesi fa il generale David Richards, dal 4 maggio 2006 comandante inglese delle truppe internazionali in Afghanistan, ha consegnato senza combattere il distretto di Musa Qala, nella provincia di Helmand ai talebani che l'hanno occupato senza sparare un colpo; Richards aveva dichiarato che aver raggiunto un accordo coi capi tribali della zona, ma tutti sanno che invece erano talebani. L'ambasciata Usa protestò ma le potenze occidentali hanno anche strategie differenti fra di loro; l'Uk ha forti rapporti con il Pakistan che discendono ancora dai tempi coloniali. Il distretto di Musa Qala fu riconquistato con le armi quando le forze internazionali sono passate sotto comando Usa. Non è nemmeno un mistero che più di una volta gli Usa hanno pagato i talebani per evitare che attaccassero i soldati americani».
«Voi - continua Bashardost - con le vostre tasse finanziate, attraverso gli aiuti, i signori della guerra che sono oggi al governo e mentre gli impiegati ricevono 40 $ di stipendio al mese questi personaggi girano con auto da 40.000 $ e hanno stipendi anche di migliaia e migliaia di dollari spesso pagati loro direttamente da Ong occidentali o da governi della coalizione militare».
Giri finanziari
Il mio interlocutore mi fornisce della documentazione: una compagnia inglese, la Crown Agent versa i soldi a una fondazione Usa, l'Open Society Institute che formalmente ha lo scopo di promozione della governance, dei diritti umani e delle riforme economiche e sociali. L'Osi li versa alla Banca Centrale Afghana sul conto n.26097 che risulta essere un conto per lo sviluppo e da qui i soldi vanno direttamente nelle tasche degli alti dirigenti ministeriali ad aggiungersi ai loro «regolari» stipendi. Guardo la lista che Bashardost ha in mano: sono coinvolti i ministeri delle Telecomunicazioni, della Cultura, del Commercio, della Giustizia ecc. fino al gabinetto del presidente Karzai. Dal luglio 2003 al gennaio 2005 sono transitati solo su quel conto 814.821 $ i pagamenti mensili personali vanno da 300 a 3000 $; un medico guadagna in un ospedale di Kabul 50 $ al mese. Non credo sia difficile comprendere a quali interessi interni ed esteri questo governo, così ben foraggiato, sia fedele.
Il dr. Martin Masood è il leader di Hambastagi un partito fondato nel 2002 che si pone come obiettivo «la costruzione di una società democratica, in un sistema secolare contro il fondamentalismo e i signori della guerra». Hambastagi nasce dai Freedom Fighters Against Soviet dal nome che usavano gruppi di combattenti contro l'occupazione sovietica; ma già allora, mi racconta Massod, nonostante questi gruppi fossero i più vicini alla mentalità occidentale, «gli Usa preferirono armare e finanziare gli integralisti». Questa situazione continua anche ora: l'Unione Europea, in occasione delle prime elezioni parlamentari, aveva garantito loro un aiuto e dei computer, ma non è arrivato nulla. «L'Ue qui segue la politica Usa, ignora i partiti democratici. Gli Usa, secondo quanto riferito dalla stesso Karzai, hanno dato 7,5 milioni di $ a Fahim, uno dei signori della guerra, il responsabile del massacro realizzato nei primi anni '90 a Fashar in Kabul con 700 morti e oltre un centinaio di donne violentate. Fahim ex ministro della difesa di Karzai è stato rimosso dalla stesso presidente essendo impresentabile per il popolo afgano che lo ritiene un criminale, ora è maresciallo, il più alto grado militare qui in Afghanistan, gira in rolls-royce ed è il consigliere militare del presidente che lo ha nominato direttamente senatore, non è stato infatti eletto dal popolo che lo detesta. Ma è potente...».
Hambastagi alla sua nascita aveva 20.000 iscritti, e nel suo primo congresso elesse democraticamente i propri dirigenti. Oggi per l'assenza totale di fondi ha dovuto chiudere le proprie sedi ed il proprio giornale. Il rappresentante di Hambastagi a Helmand è stato decapitato dai talebani.
Denunciare la corruzione e le responsabilità dei capi talebani o dei signori della guerra può essere molto pericoloso, e infatti Malalai Joya, deputata democratica politicamente legata all'associazione di donne Rawa ha dovuto, proprio in questi giorni, abbandonare velocemente l'Afghanistan e rifugiarsi molto lontano perché le minacce contro di lei avevano superato il livello di guardia.
Vi è un argomento sul quale tutti i nostri interlocutori hanno insistito con forza in ogni nostro incontro. L'assoluto rifiuto dell'amnistia votata dal parlamento per tutti coloro che si sono macchiati di crimini nei due decenni passati: provvedimento chiesto e nei fatti imposto con forza dai signori della guerra che per l'occasione hanno anche organizzato una manifestazione a Kabul e contro il quale nulla ha finora potuto l'appello delle vittime della guerra civile lanciato da Hawca (un'associazione umanitaria per l'assistenza alle donne e ai bambini afgani) attraverso un'iniziativa pubblica svoltasi con oltre 250 persone il 6 marzo.
La rappresentanza speciale dell'Ue in Afghanistan ha parole molto dure verso la proposta di amnistia, ufficialmente chiamata Reconciliation declaration: prevarrebbe su tutte le convenzioni internazionali, anche su quelle relative al rispetto dei diritti umani, ma vincolerebbe anche i media a non pubblicare nulla che possa creare problemi ad una supposta riconciliazione nazionale. Una forma esplicita di censura.
I «signori» e la guerra
L'Ue critica, ma non si espone pubblicamente «per non apparire invasiva». O forse per non innervosire i signori della guerra fortemente insediati in un parlamento e in un governo che l'Ue, con una posizione totalmente subalterna agli Usa, continua a sostenere.
Praticamente unanime è la condanna delle azioni della coalizione Isaf/Nato. «La soluzione non è raggiungibile attraverso le azioni militari. Le bombe nel sud producono un aumento di consenso e di forza degli insorgenti». «Volevamo una presenza di una forza delle Nazioni Unite di Peace Keeping, non di militari pronti a fare la guerra». «La comunità internazionale anziché spendere per la guerra dovrebbe investire in capacity building nella costruzione di strade, nel fornire acqua potabile ed energia alla popolazione»:
Le proposte dei miei interlocutori sono precise, anche se sempre più lontane dalle idee di chi oggi ha il comando dell'Isaf/Nato: «I talebani non sono un'unica realtà omogenea, né rispondono a un solo comando militare; possono essere suddivisi in tre differenti entità pur sapendo che non esistono linee di demarcazione rigidissime; ma vi sono comunque profonde differenze che devono essere conosciute per poter agire consapevolmente verso l'obiettivo dichiarato della pace. La prima realtà raccoglie i gruppi pro-Isi, i servizi segreti pakistani; il secondo gruppo raccoglie i militanti e i simpatizzanti di Al Qaida; il terzo viene definito quello degli Ordinary Afghan Taliban.
Quest'ultimo gruppo è sicuramente quello più ampio e raccoglie tantissimi cittadini afghani che non sostengono il fondamentalismo integralista, ma che sono disgustati e spaventati dal comportamento delle truppe Usa e in generale della coalizione militare e che vedono negli insorgenti sia una forma di riscatto nazionale, sia la speranza di costruire un futuro dove maggiormente sia garantita la sicurezza e i principali servizi. Con questo terzo gruppo è assolutamente necessario avviare dei colloqui, in tal modo si prosciuga il mare nel quale si muovono i talebani collegati ad Al Qaida e ai servizi pakistani. Da questo percorso devono essere esclusi, ovviamente, i criminali di guerra presenti sia tra i talebani, sia tra i signori della guerra. Per loro ci può essere solo un processo».
Un'altra missione
A dispetto dei tanti che sostengono che siamo in questo paese per aiutare le donne afghane, queste affermazioni mi sono state continuamente ripetute dai gruppi di donne che ho incontrato. In sintesi dicono: abbiamo necessità di una presenza internazionale per evitare di sprofondare nuovamente in una guerra civile, ma di una presenza totalmente differente da quella attuale. L'idea è quella di una forza dell'Onu per garantire la sicurezza e avviare un percorso di pace che non sia composta «né dai paesi che oggi sono qui con una presenza militare, né da quelle nazioni che continuano ad interferire nella vita dell'Afghanistan come l'Iran, il Pakistan, l'Arabia Saudita».
Un percorso che per quanto possa apparire estremamente difficile forse potrà avere qualche possibilità di successo; possibilità che certamente non sembra poter avere l'attuale missione internazionale che, attraverso i bombardamenti, le stragi di civili e l'eradicazione forzata dell'oppio riuscirà solo a spingere masse sempre più ampie verso il sostegno ai talebani.
Nel dibattito italiano si è cercato di rappresentare il rinnovo della missione militare (con l' aggiunta di una debole e incerta presenza civile) come un passo verso la conferenza di pace. Ma la realtà è diversa dai desideri. «La popolazione - mi dice una funzionaria dell'Ue - comincia a paragonare la presenza Usa e dei suoi alleati all'invasione sovietica contro la quale ha combattuto per anni». Credo di aver trovato la risposta alla domanda che mi ponevo partendo per questa missione. Vista da Kabul non sembrano esserci dubbi. Questa strada non ci porta verso la pace e non avvicina nemmeno la possibilità di una conferenza per un futuro senza guerra.