"Battaglia Comunista", marzo 2005
Probabilmente, dal mese di marzo, quella che era stato il fiore all’occhiello
della cosiddetta “sinistra plurale” francese, la legge sulle 35 ore di
lavoro settimanali, verrà definitivamente archiviata dal parlamento
transalpino. Lo svuotamento del provvedimento legislativo, varato qualche
anno fa dal governo Jospin, è già passato alla camera dei
deputati e ora attende solo l’approvazione definitiva del senato. A suo
tempo, aveva suscitato roventi polemiche da parte della Confindustria,
che vedeva nelle legge Aubry (dal nome della deputata socialista proponente)
l’affossatrice del sistema economico, in quanto l’avrebbe gravato di un
handicap insopportabile. I suoi sostenitori, invece, si erano impegnati
in un complicato esercizio di equilibrio per rassicurare il padronato e,
contemporaneamente, farsi belli agli occhi dei lavoratori mostrando loro
i presunti benefici effetti occupazionali che si sarebbero ripercossi a
valanga su tutti i settori dell’economia francese. Se non eravamo al paese
del Bengodi, poco ci mancava, e Rifondazione non si stancava di additare
il “coraggio” di Jospin che, sfidando la marea liberista, aveva posto la
prima pietra di quell’altro mondo possibile.
In realtà, le 35 ore sono state la via soft per far passare
o, meglio, intensificare quell’attacco alle condizioni di esistenza dei
lavoratori, in Francia come altrove, poco più di una ventina di
anni fa. D’altra parte, era prevedibilissimo che un governo, per sua natura
borghese, non avrebbe potuto ignorare le tendenze di fondo dell’economia
mondiale: solo gli illusi – o i demagoghi in malafede – possono pensarla
diversamente. Il capitalismo francese, al pari di qualunque altro, ha la
necessità inderogabile di accrescere lo sfruttamento dei lavoratori,
se non vuole soccombere nella concorrenza mondiale, resa particolarmente
aspra dalle crescenti difficoltà di realizzare saggi del profitto
soddisfacenti. Era impensabile, dunque, che un governo, sebbene “di sinistra”,
potesse veramente imporre un abbassamento generalizzato dell’orario di
lavoro e, in più, senza sostanziose contropartite per il padronato.
Difatti, le 35 ore non sono state altro che una “berlusconata”, un’amara
beffa ai danni dei lavoratori, che hanno pagato non una, ma cento volte,
una modesta riduzione d’orario e qualche posto in più.
Innanzitutto, la riduzione, oltre ad avere interessato solo una minoranza
degli occupati, era stata adottata solamente dietro cospicui incentivi
statali, per cui, alla fine, il padronato veniva preventivamente risarcito
della eventuale perdita di competitività dal proletariato, dato
che i finanziamenti della legge pescavano nella fiscalità generale.
Non basta: governo e sindacati si erano impegnati a congelare o, al più,
a “moderare” gli aumenti salariali, con l’ovvio risultato che il proletariato
francese in questi anni ha subito una progressiva erosione del proprio
tenore di vita. Anzi, per i neo-assunti il peggioramento è stato
immediato, visto che venivano pagati per 35 ore e non per 39 come gli altri,
sebbene questi ultimi – lo abbiamo appena detto – subissero già
il blocco del salario. Addirittura Jospin, per venire incontro alle grida
di dolore padronali, aveva istituito ben sei differenti livelli di SMIC
(il salario minimo), affinché i padroni potessero scegliere quello
più conveniente.
Ma il vero e proprio nocciolo della legge Aubry è stato l’introduzione
massiccia di precarietà, avallata, è superfluo specificarlo,
dal sindacato. Infatti, solo le aziende che concludevano accordi col sindacato
potevano beneficiare dei finanziamenti statali per la riduzione d’orario:
la “sinistra plurale” non poteva certo mettere da parte uno dei suoi principali
sponsor! Dall’annualizzazione dell’orario fino alla tendenziale individualizzazione
del contratto di lavoro, il padronato francese (pubblica amministrazione
compresa, naturalmente) ha avuto in regalo tutta una serie di forme contrattuali
che non hanno niente da invidiare al “pacchetto Treu” o all’altrettanto
infame legge 30. Il bello è – si fa per dire – che le più
colpite sono proprio quelle categorie di lavoratori poste ai gradini più
bassi della scala salariale, in cui a salari di pura sopravvivenza si accompagnano
le condizioni di lavoro peggiori. Per non far torto a nessuno, invece,
ogni settore lavorativo ha subito una netta intensificazione dei carichi
e dei ritmi di lavoro, tanto che dall’approvazione della legge sono aumentate
le malattie professionali e gli infortuni.
Il padronato, però, è decisamente un “cuore ingrato”,
e dopo aver licenziato Jospin, ora licenzia la sua creatura prediletta.
D’ora in avanti, in nome naturalmente della libertà, chi vorrà
potrà guadagnare di più, ma lavorando, beninteso, di più.
Il limite dell’orario settimanale – come prevede del resto una direttiva
europea – arriverà fino a 48 ore (o 44 per dodici settimane consecutive)
e le ore straordinarie saranno pagate, in proporzione, di meno.
Cosa ci vuole ancora per mettere da parte le illusioni e convincersi
che gli spazi del riformismo socialdemocratico sono esauriti, per cui le
uniche riforme possibili sono quelle della borghesia contro il proletariato?