ECONOMIA & LAVORO



IL MISFATTO DEL CONTRATTO
di Andrea Parola

Martedì 7 settembre 2010 sono stati calpestati e fatti a pezzi i diritti dei lavoratori metalmeccanici.
Con un solo e rapido colpo di spugna Federmeccanica ha cancellato decenni di storia e di lotte sociali. E lo ha fatto in un modo quasi scontato al punto da relegarlo ad un fatto di tutti i giorni.
Dopo tutto, in un mondo così moderno, in una nazione così progredita sia a livello politico che sociale, che ci propina ormai con una frequenza insospettabile fino a qualche anno fa, i Savoia canori e i morti sul lavoro, le leggi ad personam e le maxi frodi fiscali, i proprietari inconsapevoli di immobili ed una scuola a pezzi, l’impunità e la prepotenza come strumenti del benessere, togliere di mezzo un contratto di lavoro che coinvolge un milione di persone, risulta essere perfino cosa di poco conto. In tempi passati sarebbe bastato molto meno per scendere in piazza.
Il plurifischiato Bonanni e la sua compagnia gridano vittoria, come fanno i contradaioli al Palio di Siena, dove l’importante non è vincere la gara, ma sconfiggere l’avversario diretto
La CGIL minaccia le vie legali, ma non la considera quasi più nessuno. E basta con le solite lotte di classe, guardate un po’ più avanti del vostro naso! Se si è arrivati a questo punto è anche per colpa vostra, cari amici della Fiom.
Il ministro del Welfare Sacconi ha detto che è tutto come prima, che nulla è cambiato. Ma si sa, oggi per la politica l’importante è ripetere sempre ed instancabilmente le stesse cose, le stesse litanie, alla fine anche il più scettico ci cascherà. Emma Marcegaglia ha difeso e salvato Confindustria alla vigilia del centesimo anniversario della sua fondazione. E anche lei ci ha fatto la sua bella figura. Dopo tutto non aveva altra scelta. Che ci farebbe Confindustria senza la Fiat?
Marchionne, il provocatore, il promotore di tutto, si erge a salvatore dell’azienda Fiat; il grande precursore dei tempi applica alla lettera il principio Darwiniano in natura “non sono le specie più forti a sopravvivere ma quelle più reattive ai cambiamenti”. E intanto, mentre accade tutto questo, il nostro buon Presidente cosa fa? Lui sale al colle per difendere i suoi interessi (Obama avrebbe cancellato l’agenda e sarebbe intervenuto di persona). Ma si! tanto per questi problemi c’è il ministro per lo sviluppo economico...ah no, è vero, è sempre lui, che sbadato. Si, però il suo dovere lui lo ha già fatto, no? Lui, dopo diversi tentativi fatti nel recente passato per eliminare l’art.18, si è finalmente pronunciato qualche mese fa con la celebre e risolutiva frase, che suonava più o meno così “l’imprenditore moderno è libero di investire e produrre ovunque vuole, mi auguro però che ciò non avvenga a scapito dei lavoratori”. Scusi Presidente, ma a scapito di chi altri dovrebbe accadere?
C’è da chiedersi se, in mezzo a tutti questi vincitori e grandi uomini, ci sia qualcuno che, grazie a tutto ciò, ci rimetta? Ma si che c’è! Guarda un po’ il caso... I LAVORATORI. Beh, d'altronde mica si può sempre vincere. Viva l’Italia, viva il capitalismo moderno, viva la globalizzazione!
La strada per un lavoro regolato da contratti atipici o specifici è aperta. Anzi, spalancata. Marchionne vuole un contratto per il settore auto entro pochissimo tempo (ed è garantito che non sarà migliore di quello stipulato per Fabbrica Italia), durante il quale, le forze sindacali “amiche” dovranno scrivere, sotto dettatura, le deroghe al contratto del 2008, rese possibili dal nuovo modello contrattuale firmato nel 2009.
Il contratto nazionale unico, democratico, non lo vuole più nessuno. E’ troppo impegnativo per il datore di lavoro. Troppo vincolante. Questo è vero, non si può dargli torto. E’ meglio giocare sui rapporti singoli, dove vengono stabiliti i diritti del datore e i doveri dei lavoratori. Contratti singoli attraverso i quali è più semplice stabilire le retribuzioni, gli orari di lavoro, le modalità del rapporto lavorativo e soprattutto la durata del contratto stesso.
Contratti specifici dove sia ancora più semplice la ridistribuire della ricchezza dal basso verso l’alto, a scapito dei redditi da lavoro. Tutti i lavoratori dipendenti italiani, chi più chi meno, saranno coinvolti, nel prossimo futuro, in questa svolta sociale e politica: diciassette milioni di persone. Non c’è da stare allegri. I tempi di attuazione del cambiamento saranno più rapidi di quello che si potrebbe pensare. Il momento è favorevole e bisogna fare in fretta.
Bisognerà far fronte alla concorrenza cinese o indiana o di qualsivoglia altro paese “emergente”, lavorando di più e guadagnando meno. Però, se si elinksa la produzione dove si sa già costare meno, come si può pretendere di produrre lo stesso prodotto in Italia ad un costo inferiore?
Agire col pugno di ferro e cancellare il contratto nazionale produrrà, nel prossimo futuro, nuovi scontri sociali. La manovra dimostra, ancora una volta, che si preferisce percorrere la strada più facile e meno impegnativa per raggiungere l’obiettivo finale. Bisogna percorrere a tutti i costi la strada più veloce, i tempi lo impongono. Anche se questo comporterà il disprezzo dei diritti sacrosanti dei lavoratori, come per esempio il diritto allo sciopero e alla malattia.
Tutto ciò indebolirà ed impoverirà i lavoratori che consumeranno meno beni, producendo di fatto sempre di più la stagnazione del mercato. Effetti devastanti per una società capitalistica basata sul consumo come la nostra.
Come potrà l’industria manifatturiera italiana reggersi su un sistema di questo genere in futuro? Lo Stato, oggi più che mai, ha il dovere di intervenire per salvare uno dei maggiori patrimoni nazionali: l’Industria. Intervenire al fine ridurre la pressione fiscale sulle aziende e agevolare la sburocratizzazione dei rapporti con il fisco. Intervenire con forti investimenti a favore della formazione soprattutto dei lavoratori più giovani, investimenti a favore di tecnologie alternative, aprire a grandi progetti per lo sviluppo di energie pulite e rinnovabili. Investimenti per stimolare la produzione di quei prodotti fortemente innovativi che non si possano ancora copiare.
A proposito di investimenti per la ricerca e lo sviluppo economico, il nostro paese, dove un giovane su quattro non trova lavoro, è in coda alla classifica dei paesi della Ue.
E poi, l’assenteismo. Questo è un fenomeno che, dal punto di vista dei costi e dell’organizzazione del lavoro, è diventato insostenibile per l’azienda globalizzata, un fenomeno da combattere, cara Fiom, non da difendere a prescindere. Un fenomeno che ha del marcio e che bisogna combattere in modo intelligente e mirato, senza fare di tutta l’erba un fascio, per evitare di presentare il conto a tutti i lavoratori, onesti e non.
Aziende, sindacati e Governo, tutti insieme, devono adoperarsi per difendere il nostro grande patrimonio nazionale e per non impoverire il paese. Devono lavorare insieme per creare gli strumenti efficaci per raggiungere lo scopo, che significa anche benessere nazionale. Devono collaborare strettamente per creare un equilibrio stabile fra le parti, abbandonando le vecchie posizioni politiche ormai obsolete, perché la globalizzazione ha logorato anche quelle.
Lavorare insieme per ridistribuire il reddito in maniera più equa, scongiurando il continuo e conflittuale alternarsi di estremismi da una parte e dall’altra.
Questo equilibrio può essere rappresentato solamente da un contratto nazionale di lavoro, unico, rinnovato, moderno ed elastico, adeguato ai tempi odierni, insostituibile strumento di tutela dei diritti dei lavoratori e delle aziende.
Eliminarlo rappresenterebbe un grave errore storico.

(5 Ottobre 2010)
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