FARE IMPRESA IN ITALIA
di Andrea Parola
Per qualcuno più ottimista di altri, fino a qualche mese fa la crisi non esisteva e oggi sembra già finita!
A parte le illusioni che ci sono state date, la sensazione che tutti percepiamo è che stiano svanendo in poco tempo anni di progresso sociale conquistato con tanta fatica soprattutto dai lavoratori della generazione passata. In aggiunta a questo purtroppo siamo anche di fronte ad una regressione materiale, civile e culturale, oltreché politica, del nostro Paese, dove possono crescere solo disparità ed egoismi e la qualità di vita è destinata a peggiorare.
Siamo al cospetto di una politica vecchia, una politica della spartizione e del disinteresse, lontana dal Paese reale, una politica sempre più legata alla finanza, insieme alla quale decide la materialità delle condizioni di vita.
Dobbiamo riconoscere che la politica italiana oggi non è in grado di interpretare la crisi e tantomeno di produrre anticorpi per guarirla.
La politica non capisce o non vuole capire che, per reggere la competizione mondiale bisogna fare cultura, che bisogna investire nella ricerca e nello sviluppo, dare fiducia ai giovani che sono la risorsa indispensabile per il progresso della nazione.
E’ quanto mai necessario adesso adottare riforme economiche per aiutare la nascita di aziende nuove e generare occupazione e benessere per la nostra società.
Noi di Alteritalia ci siamo chiesti quanto sia difficile fare impresa nel nostro Paese. Quanto sia facile o difficile aprire e gestire un’attività in Italia.
Per dare una risposta a questo quesito abbiamo analizzato il rapporto annuale dell’International Finance Corporation, chiamato “Doing Business”.
Il Doing Business Project fornisce indicazioni oggettive di controllo del business e la loro applicazione in 183 sistemi economici mondiali, attraverso l’analisi di piccole e medie aziende e stimolando i Paesi verso una competizione più efficiente.
Questo rapporto utilizza un metodo semplice ed analitico basato su dieci parametri, su dieci categorie di indicatori fondamentali per chi voglia condurre un’attività d’impresa, come, per esempio, tempi e costi per l’apertura e la chiusura di una società, la flessibilità del lavoro, l’accesso al credito, il pagamento delle tasse, la burocrazia per gli scambi (specialmente con l’estero), l’efficienza della giustizia civile.
In base al questi indicatori la risposta è sempre la stessa: in Italia è difficile condurre affari. Non conviene!
Nella classifica dei Paesi business-friendly, favorevoli cioè all’attività di impresa, l’Italia è in continuo peggioramento: siamo al 65esimo posto su 183 Paesi e sempre in coda ai paesi più industrializzati. Veniamo dopo la Turchia e il Kirgizistan sta per raggiungerci.
L’International Finance Corporation (IFC), fondata nel 1956 per finanziare i prestiti e gli investimenti effettuati dalle imprese del settore privato, in una recente relazione dice che l’arretramento della nostra nazione è anche dovuto al rapido progresso degli altri Paesi.
In Italia le aziende “delocalizzano” perché in altri Stati concorrenti, oltre al basso costo della manodopera ed alla flessibilità produttiva, trovano anche energia a basso costo, facilitazioni per gli insediamenti e sgravi fiscali per più anni. Un esempio che vale per tutti è la decisione di Fiat di spostare la futura produzione di una nuova vettura in Serbia.
Anche se si individuano alcune aree di leggero miglioramento, come la semplificazione delle procedure per la registrazione di un’azienda, troppi sono i campi in cui non si registrano progressi:
• la flessibilità del lavoro, notevolmente diminuita
• la lentezza della giustizia civile, dove l’Italia si posiziona al 156esimo posto (quattro anni è il tempo medio per ottenere il rispetto di un contratto in tribunale) e anche il numero di procedure è il più alto fra i Paesi Ocse.
• Il pagamento delle tasse mette l’Italia al 128esimo posto, dove finisce nelle casse del fisco la più alta percentuale dei profitti delle aziende fra i paesi industriali.
In una sola delle dieci categorie, indicate dalla Banca Mondiale, l’Italia si trova fra i primi 30 Paesi del mondo: la facilità con cui si può chiudere un’azienda.
E a proposito di investimenti per la ricerca e lo sviluppo economico, il nostro paese è in coda alla classifica dei paesi della Ue.
(21 Novembre 2010)
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