28 GIUGNO 2011
L'accordo è servito

di Andrea Parola

L’accordo interconfederale del 28 giugno scorso va salutato con entusiasmo e recepito come un passo importante, si badi bene però, solo un primo passo, per la ricostruzione del sistema di relazioni industriali italiano. Si tratta, in ogni modo, di una tappa di notevole significato, che sancisce, dopo anni di divisioni e di contrapposizioni, una uniformità di vedute e di intenti fra le parti, con la speranza che questo si traduca, nell’immediato futuro, in una omogeneità dei programmi.



Immediato futuro, si, perché di tempo non ne resta molto. L’accordo deve essere elemento fortemente motivante alla spinta per la crescita, così attesa e ormai indispensabile, per difendere l’economia del nostro paese dalla forte speculazione finanziaria in atto.

Il nuovo accordo detta poche regole, lasciando ampio spazio alla contrattazione aziendale di secondo livello, regolamentandola per le materie delegate da quella collettiva, ma dovrebbe principalmente risultare efficace per allontanare il rischio di incertezze e di precarietà dei contratti a venire, causate, negli ultimi dieci anni, dall’accentuarsi ed incancrenirsi delle pur fisiologiche diversità, appartenenti ad un sistema pluralistico come il nostro.

L’accordo va nella logica di rendere più esigibili e certi i contratti aziendali e la loro efficacia erga omnes. Definisce i temi relativi alla rappresentanza e “Va nella direzione delle istanze Fiat”, risponde Marcegaglia, riferendosi ad un punto dell’accordo - si possono attivare strumenti contrattuali mirati a specifici contesti produttivi e specifiche intese modificative delle regolazioni previste dal Ccnl - anche se nei limiti previsti da quest’ultimo.



A parte l’efficacia e l’esigibilità dei contratti aziendali, cosa ancora tutta da verificare, entrando un po’ di più nel merito della rappresentanza, l’accordo collettivo appare piuttosto iniquo, perché, ancora una volta, esclude ampie fasce di lavoratori dipendenti, come appunto quella dei Quadri. In base al testo sottoscritto dalle parti, infatti, hanno diritto a sedere al tavolo della contrattazione solo le organizzazioni che possono vantare precise quote fra la forza lavoro. In particolare, ai fini della certificazione della rappresentatività per la contrattazione collettiva di categoria (es. metalmeccanici) è necessario andare alla conta, dimostrando di possedere almeno il 5% del totale dei lavoratori (cioè di iscritti) della categoria in cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro.

L’Anqui, l’Associazione Quadri dell’Industria oggi più rappresentativa della categoria a livello nazionale, auspica che le parti firmatarie e il governo si adoperino per una pronta revisione delle norme dell’accordo che regolano la rappresentanza, al fine di allargare la partecipazione alle consultazioni istituzionali anche a quelle organizzazioni professionali altamente rappresentative, per le cui istanze, nessuno, fino ad oggi, si è interessato.

Tornando alla esigibilità dei contratti, possiamo dire in ultimo che, in virtù dell’accordo sottoscritto, i contratti aziendali sono ora più forti, ma proprio per questo, ci chiediamo perché non sia stato raggiunto prima. Forse molti non ci hanno creduto, a partire da tutte le forze politiche, PD compreso, forse altri credevano che la frammentazione del mondo del lavoro, la liberalizzazione totale delle regole o l’attuazione di deroghe al sistema precedente, difendessero il lavoro e rendessero la nostra economia più competitiva.



Stabilità, dunque, è il primo obiettivo di Confindustria e delle tre Sindacati Confederali, indispensabile alle nostre imprese, per una migliore prevedibilità e pianificazione dei costi e delle relazioni di lavoro. Stabilità per favorire interventi sulla ricerca e sull’innovazione tecnologica, sui prodotti e sulla qualità. Stabilità per favorire la nascita di nuove imprese e ridurre la pressione fiscale (bene la recente iniziativa del governo di tassare al 5% chi decide di avviare una nuova attività imprenditoriale).

Le imprese restano senza dubbio, le prime responsabili del proprio sviluppo innovativo; devono pensare a come migliorare i loro prodotti, le vendite, l’organizzazione. Ma, da sole, non bastano al sistema paese. Per assicurare la crescita è necessario, oggi più di ieri, avere nuove idee per attivare un progresso complessivo, omogeneo e sostenibile. Un progetto “nazionale”, che veda al centro le parti sociali, per rafforzare la collaborazione fra le imprese e contribuire alla definizione di un programma di governo di efficace crescita complessiva, considerando anche il sempre maggior peso delle amministrazioni locali.

Auspichiamo tutti che questo sia un contratto capace di spingere il paese verso una riforma strutturale del sistema Italia, che sappia rispondere ai due problemi fondamentali, che sono l’invecchiamento della popolazione e la globalizzazione e che adotti finalmente tutte quelle azioni orientate alla tutela del reddito delle famiglie. In ultimo, ma non per ultimo, ispirandoci alle premesse dell’accordo che, al terzo punto, recitano testualmente: “la contrattazione deve esaltare la centralità del valore del lavoro anche considerando che sempre più è la conoscenza, patrimonio del lavoratore, a favorire le diversità della qualità del prodotto e quindi la competitività dell’impresa”, auspichiamo che l’accordo collettivo sappia favorire lo sviluppo di un “criterio meritocratico”, da troppo tempo vacante.

(31 Luglio 2011)
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