CULTURA



TORINO, STORIA DEL PALAZZO CHE VIDE NASCERE L’ITALIA
di Michela Costantini

Nella storia più recente di Torino - città che ha dovuto reinventarsi un’identità dopo la crisi del sistema industriale negli anni Novanta - sono emerse una più sfaccettata realtà sociale e produttiva, meno legata al contesto operaio e più aperta a nuove iniziative, una rinnovata vocazione al terziario e al turismo e un nuovo disegno urbano, generato in molti casi dai luoghi ormai dismessi degli insediamenti industriali. In tutte queste trasformazioni, l’antica vocazione culturale si è fatta più evidente, trovando la capacità di emergere dai remoti ed esclusivi salotti per aprirsi a pubblici più ampi e meno settoriali, con iniziative uniche – temporanee ma anche stabili, come il Salone del Libro - che ne hanno fortemente rilanciato l’immagine a livello nazionale e internazionale. E’ noto a tutti che Torino sia stata la prima capitale del Regno d’Italia, dal 1861 al 1865: è naturale quindi che tra le varie iniziative culturali che la città subalpina – fondata in periodo romano col nome di Augusta Taurinorum - offre periodicamente, trovino degno spazio i festeggiamenti per il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, che si collocano nella scia delle due precedenti ricorrenze, quella del 1911 per il Cinquantenario e quella più famosa del Centenario, nel 1961, di cui la città conserva alcune significative testimonianze architettoniche realizzate per quella occasione.



Già prima della fatidica data del 17 marzo 1861, Torino, in qualità di capitale dello Stato Sabaudo – stato che ebbe un ruolo primario nel tessere le strategie politiche della riunificazione nazionale - aveva ospitato centinaia di esuli giunti da ogni regione d’Italia, che nei suoi salotti e nei suoi famosi caffè concertavano le azioni politiche per la realizzazione concreta degli ideali risorgimentali. Ma oltre ai luoghi di ritrovo, altri edifici ebbero, nel breve ma significativo periodo in cui Torino fu capitale, un valore simbolico particolare perché testimoni diretti dei primi passi delle istituzioni italiane: tra questi quello certamente più illustre è Palazzo Carignano, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità.
Seicentesco gioiello dell’architetto delle corte sabauda Guarino Guarini, dominante l’omonima piazza – uno dei più amati salotti urbani torinesi – fu costruito per il Principe Emanuele Filiberto di Savoia-Carignano (detto il Muto) a partire dal 1679: le sofisticate linee concave e convesse delle due ali che si affacciano sulla piazza accompagnano all’esterno le linee curve degli imponenti scaloni interni e si raccordano nel fulcro compositivo, il volume ellittico del salone centrale, che domina anche il cortile interno e si staglia sui tetti con una elegante torre. La facciata in cotto a due ordini - in cui ricorre– completano magistralmente l’effetto plastico: vi ricorre, come nel cortile interno, come un leit-motiv, la geometrica stella a otto punte, in cui si sono volute vedere anche simbologie numeriche (del tutto plausibili, se pensiamo che Guarini era anche un insegne matematico). Tra i raffinati fregi della facciata, quello particolare del una busto stilizzato di un indiano d'America a incorniciare le finestre, a ricordo della vittoria riportata da un reggimento dei Carignano a fianco dei Francesi contro gli Irochesi in Canada, nel 1667. Il palazzo, abbellito all’interno con gli affreschi del pittore milanese Legnanino, rimase per tutto il Settecento la sede del Principe di Carignano e quindi il luogo della vita privata del principe ma anche e soprattutto della vita pubblica e di rappresentanza della nobiltà torinese.
Dall’Ottocento Palazzo Carignano mutò però destinazione: prima ancora di divenire la sede del primo parlamento italiano, fu sede della Camera dei Deputati del Regno di Sardegna, il Parlamento Subalpino, costituitosi nel 1848 e riunitosi per la prima volta il 10 maggio dopo che il re Carlo Alberto concesse l’omonimo Statuto. L'aula prescelta per il Parlamento fu quella che era stata la sala da ballo della residenza del Principe di Carignano: ma così com’era risultò del tutto inadatta per la nuova destinazione. Se ne coprirono quindi le decorazioni realizzate nel 1775 per il matrimonio di Carlo Emanuele IV con Maria Clotilde di Francia e, su progetto di Carlo Sada, se ne trasformò la forma ellittica nella più consona forma ad anfiteatro. Questa sala peraltro è l’unica sopravvissuta in Italia di quelle che nacquero dalle riforme del ‘48.

Dal 1860, con della Lombardia, dell’Emilia e della Toscana (gli stati che costituirono il primo nucleo del Regno d’Italia) il nuovo numero di deputati era salito dai 204 del Regno Sardo ai 387 del Regno d’Italia per arrivare a 443 deputati con la successiva annessione del centro Italia e del Sud. Le dimensioni della sala del precedente Parlamento Subalpino divennero del tutto insufficienti per le dimensione della nuova assemblea e si decise pertanto per l’allestimento di una sala provvisoria. Realizzata in legno da Amedeo Peyron a tempo di record, aveva una capienza di 1000 posti poiché era prevista anche la presenza del pubblico e venne collocata nel cortile posteriore del palazzo, ormai ridotto rispetto al ben più grande giardino seicentesco.
Fu quindi in questa sala del tutto provvisoria che si riunì il primo parlamento italiano, presieduto da Vincenzo Gioberti. Era il 18 febbraio 1861 e le sedute si protrassero fino al 1865, segnate - fino alla prematura morte nel giugno di quello stesso anno - dall’autorevole figura da Camillo Benso di Cavour, il principale fautore politico della riunificazione italiana. Le cronache del tempo raccontano però di un Cavour un po’ refrattario alle lunghe sedute parlamentari: si diceva che preferisse lavorare nel suo studio privato o addirittura nel ristorante del Cambio sulla piazza Carignano, ristorante nel quale veniva raggiunto da uno zelante funzionario quando si richiedeva la sua presenza in aula per qualche votazione. Il successivo 17 marzo fu votato il disegno di legge col quale Vittorio Emanuele II assunse il titolo ufficiale di Re d’Italia e venne adottato lo Statuto Albertino come carta fondamentale del nuovo Regno. Mentre il parlamento continuava a riunirsi nella sede provvisoria, a partire dal 1860 si costruì una nuova manica del palazzo, su disegno di Giuseppe Bollati e Gaetano Ferri, a completamento dell’impianto a C dell’edificio guariniano. La nuova ala aveva analoga forma dell’edificio seicentesco, cui si saldò – anche nell’impianto decorativo, riproponendone il motivo stellato - formando un’ampia corte interna. In questa nuova ala era prevista la realizzazione dell’Aula che avrebbe dovuto ospitare in via definitiva il Parlamento, e che ne fosse dunque la degna sede.



Le cose andarono però diversamente: in seguito ad accordi politici segreti (in vista della futura annessione dello Stato della Chiesa all’Italia) nel 1864 si decise di trasferire provvisoriamente la capitale a Firenze. Naturalmente ai torinesi questa decisione non piacque: sebbene il parlamento avesse già da tempo votato il trasferimento della capitale a Roma, evidentemente in città era opinione diffusa che il ruolo di Capitale sarebbe durato a lungo. Alla data della comunicazione ufficiale del trasferimento a Firenze, si diffuse un comprensibile malcontento per la perdita del prestigioso ruolo politico (va ricordato che Torino era capitale di un regno da quattro secoli) ma soprattutto dei benefici economici ad esso legati. La protesa presto sfociò in tumulti: il 21 e 22 settembre di quell’anno la popolazione si radunò spontaneamente nelle due principali piazze cittadine, piazza San Carlo e piazza Castello, ma alle proteste del popolo i soldati risposero con il fuoco delle armi, lasciando a terra cinquanta morti e più di un centinaio di feriti. Con il trasferimento del Parlamento, l’aula provvisoria venne smantellata e alcune opere pittoriche realizzate espressamente per decorarla furono trasferite nella nuova Aula, che però non fu in realtà mai usata per questo scopo: da allora venne utilizzata come sala per cerimonie, feste e banchetti, come biblioteca e sala museale. Nell’Ottocento, arricchita dalle opere di insigni pittori, tra cui il piemontese Francesco Gonin, divenne la sede per raccolte di mineralogia e geologia, costituendo il primo nucleo del futuro museo di scienze naturali. Nel 1971 fece parte di una mostra dedicata al Centenario dell’Unità d’Italia e successivamente vi vennero esposte le bandiere delle associazioni operaie italiane dei primi del Novecento.
Nel 1875, anche la facciata barocca di Palazzo Carignano aveva subito una modifica: a ricordo dell’importante ruolo svolto nelle vicende risorgimentali, nella parte centrale venne aggiunto un frontone marmoreo di coronamento, su progetto di Carlo Ceppi, ornato con l’insegna bronzea “Qui nacque Vittorio Emanuele II”.
L’Aula di Palazzo Carignano ha recuperato il suo aspetto originario grazie ad un sofisticato restauro, eseguito tra il 1997 e il 1998, a centoquaranta anni dall'apertura del Parlamento Subalpino. Il restauro ha coinvolto tutti gli arredi originali, gli affreschi, le decorazioni e l'illuminazione, riportando la sala alla situazione in cui si trovava nella seduta ultima che vi si tenne il 18 dicembre 1860: vi si possono notare gli scranni dove sedettero i padri dell’unità d’Italia, da Camillo Cavour a Massimo d'Azeglio, da Giuseppe Garibaldi a Cesare Balbo a Giuseppe Verdi. Dal 1938 fa parte del prestigioso Museo Nazionale del Risorgimento Italiano, la maggiore collezione italiana di documenti risorgimentali che segue lo svolgersi del compimento dell’unità nazionale a partire dal Regno di Savoia. Vi si trovano esposti manoscritti, dipinti e documenti e contiene anche la riproduzione con mobili originali dello studio ministeriale di Camillo Cavour.
La ricorrenza del 17 marzo 2011 darà inizio ufficiale alle terze celebrazioni torinesi dell’Unità d’Italia. Questa volta l’evento sarà segnato da quattro importanti mostre: due luoghi simbolo della città subalpina (le Officine Grandi Riparazioni delle Ferrovie e il Castello della Venaria Reale, luoghi diversi tra loro per funzione e vocazione ma entrambi simboli della torinesità) ospiteranno ciascuno due mostre, incentrate non solo sugli aspetti storici dell’importante evento, ma anche sull’Italia del futuro e su temi trasversali, dalla cultura alla gastronomia. La nuova Italia si costruisce sull’eredità di un passato ineludibile e fondamentale, ma allo stesso tempo si proietta al futuro, consapevole di possedere tutti gli strumenti culturali e economici per poter essere al centro del panorama europeo e mondiale.

(5 Ottobre 2010)
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