I PORTICI DI TORINO
Un lungo percorso urbano tra architettura e vita cittadina

di Michela Costantini


I portici torinesi, una presenza immancabile nelle cronache di viaggiatori e cittadini

La suggestione dei portici di Torino è nota ai torinesi come ai viaggiatori che nel passato visitarono la città: i numerosi percorsi coperti della città subalpina costituiscono infatti un elemento urbano fortemente caratterizzante, che avvicina Torino alle città francesi e che si ritrova diffusamente in numerosi centri minori del Piemonte.



Se nelle città di provincia, tuttavia, il portico fortemente ribassato di origine medievale ha essenzialmente la funzione di ritagliare nei percorsi urbani luoghi del commercio e del ritrovo al riparo dalle intemperie, a Torino esso assume anche quello di emblema rappresentativo della città capitale di Stato. I portici rappresentano, infatti, un modello urbano concepito e realizzato fin dall’inizio della politica dei Savoia per costruire – pazientemente, ma con continuità – una città che avesse, nell’immagine esteriore e nella vocazione urbana, il ruolo di capitale di stato.

Poche altre città possono vantare un tale sviluppo di percorsi coperti: solo Bologna contende a Torino il primato di città più porticata d’Italia (possiede più di 37 km di portici, contro i quasi 13 di Torino) ma i suoi portici, come rilevavano già in passato alcuni viaggiatori, appaiono più tetri e più angusti.


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A Torino, invece, come osservava Giovanni Battista Rampoldi nel 1832, i portici

«aggiungono maestà e leggiadrezza alle piazze ed alle strade […] mercè dell’altezza e larghezza loro, che forse non ha altrove riscontro, e che formano un meraviglioso ornamento alla regale Torino» (1).

Qualche decennio dopo, nel 1880, Mark Twain visitava la città, e, immancabilmente, ne annotava le caratteristiche urbane, tra cui i portici:

«i marciapiedi sono larghi quasi come le vie ordinarie in Europa, e sono coperti da un doppio portico coperto retto da colonne e grossi pilastri di pietra. Si cammina dall’una e dall’altra parte di queste spaziose vie sempre al riparo, e tutto il tragitto e fiancheggiato dai negozi più graziosi e dai ristoranti più invitanti» (2).

Nello stesso anno, il torinese d’adozione Edmondo De Amicis dedicava ai portici della città una descrizione ben più sagace e colorita di quelle alquanto distaccate dei viaggiatori stranieri.

«Ma il più bello spettacolo vivo, e nello stesso tempo il più originale, che offra Torino, è la passeggiata sotto i portici di Po, le sere d'inverno. I portici sono i boulevards di Torino. L'albergo d'Europa può rappresentare il Grand Hôtel; la chiesa dell'Annunziata, la Madeleine; il caffè Fiorio, Tortoni; il Teatro Regio, il Grand Opéra. Anche qui la folla maggiore, e il fiore dell'eleganza e del lusso passano a destra. La prima cosa che dà agli occhi è il contrasto della bottega splendida col baraccone da villaggio che le sorge in faccia […]; il rivenditore d'almanacchi e di libri usati in faccia al grande libraio signorile. La contessa vestita in gala passa accanto ai banchi di legumi e di caci, la conversazione leccata dei dandy è interrotta dall'urlìo plebeo dei cavamacchie e dei venditori di fotografie; tutto il mondo elegante sfila in mezzo a quella lotta muta e continua del grande e del piccolo commercio, schierati l'uno di fronte all'altro, in atteggiamento ostile, come due catene di sentinelle avanzate dei due grossi eserciti nemici della borghesia e della plebe […]. Qualche volta per pigliar spazio la folla è costretta a fermarsi, e tutti "segnano il passo" come una colonna di soldati. L'aspetto e il contegno generale è grave, come l'andatura, e come disse un professore arguto, sembra che tutti "meditino un regolamento" […]. Sotto i portici non si sente che un mormorìo sordo ed eguale, fra cui risuonano forte, qua e là, le sciabole degli ufficiali e le risa argentine delle fioraie e delle sartine, che fanno una scappata a traverso al bel mondo, coll'involtino in mano, prima di tornare a casa, e i colpi secchi delle porte dei caffè aperte e richiuse bruscamente per timore del freddo. Par di essere in una galleria d'un palazzo grandissimo, dove i convitati sfilino rispettosamente al cospetto d'un principe. E siccome gl'incontri sono frequentissimi e si ripetono, così è un salutarsi continuo di militari, un continuo scappellarsi d'amici e di conoscenti, di studenti e di professori, di grossi e di piccoli impiegati, che si voltano obliquamente, passandosi accanto, per non urtarsi nel petto. Della gente non si vede che il viso e i fiati fumano. Ma i baracconi riparano dal freddo. Si sta bene in quella calca, così stretti, l'uno addosso all'altro, e pare che tutti provino piacere a pigiarsi, a sentirsi davanti, dietro e dai lati dei pesanti pastrani, dei grandi mantelli d'ufficiali, dei grossi borghesi ben pasciuti e caldi, usciti allora da una sala da desinare […]. E la folla essendo così pigiata, si colgono a volo da tutte le parti, passando, brani di dialoghi sommessi, frammenti di discussioni scientifiche, giudizi letterari di studenti, notizie sullo stato dei fondi pubblici, qualche volta frasi staccate di confidenze di signorine, che un'ondata di gente ha separate dai parenti che vengon dietro, conversazioni francesi e tedesche, parole dolci vibrate a bruciapelo nei momenti di maggior confusione: specialmente allo svolto dei portici in faccia alla Galleria, dove accade spesso d'incontrarsi faccia a faccia con marito e moglie, e sentirsi ad un punto il fumo del sigaro del marito negli occhi, il manicotto della signora contro le mani e la testa del bimbo in un fianco. Chi non c'è abituato, può seccarsi sulle prime, e impazientarsi di quello strano modo di passeggiare; ma tutti, prima o poi, ci pigliano piacere. C'è non so che idea di intimità domestica in quel lento va e vieni di gente affollata sotto quegli archi, dinanzi a quelle vetrine splendide, che finiscono con lo stamparsi nella memoria […]; c'è un'apparenza come di affratellamento e di buon accordo universale, un'immagine viva di quell'unanimità di sentimenti e di propositi che fece forte e ammirato il popolo piemontese, qualche cosa di geniale e di benevolo, che non si sa ben dire, ma che mette un calor salutare nel petto, dalla parte sinistra» (3).

La pagina di De Amicis ci restituisce l’immagine della pratica cittadina del giro dei portici, caratteristica passeggiata torinese nella quale risuonano i commerci e le fiere, gli avventori dei caffè risorgimentali e il pubblico dei teatri, gli avvenimenti patriottici o, più semplicemente, la rumorosa vivacità delle eleganti e romantiche sartine che il giovedì, nella consueta sera di libertà, ne vivacizzavano l’atmosfera.



Non dobbiamo dimenticare che nei secoli passati i portici cittadini furono anche accusati di stringere lo spazio, di deturpare strade e palazzi e di dare un senso di soffocamento alle vie, di essere ricettacolo di sporcizia e addirittura di favorire, con la loro penombra, gli imbrogli dei mercanti, i furti e le aggressioni. Ma è indubbio che essi offrono la possibilità di camminare piacevolmente per la città in ogni stagione al riparo dalle inclemenze del tempo e, quando ancora non esisteva l’asfalto, di proteggersi dalla polvere e dal fango sollevati da carrozze e cavalli dai selciati in terra battuta.

Un disegno unitario che caratterizza la città

I portici torinesi, il cui primo tratto è realizzato nel XVII secolo in piazza delle Erbe - ora piazza Palazzo di Città - costituiscono un ampio anello che si snoda quasi ininterrottamente tra le sei più rappresentative piazze urbane, anch’esse in parte o completamente porticate: Castello, San Carlo, Palazzo di Città, Carlo Felice, Vittorio Veneto e Statuto. Ciò che è alla base di questa eccezionale realizzazione urbana è una forte concezione politica che mira dotare Torino dell’immagine di una città rappresentativa e degna del ruolo di capitale: sin dai tempi del ducato dei Savoia - e per i secoli successivi, fino al periodo unitario e post-unitario - il disegno dei portici accompagna la trasformazione della città di provincia in capitale, effettuata con il fine precipuo della rappresentatività e della magnificenza: «la dimensione urbanistica, risultato delle scelte operate dai Savoia per la capitale dello stato viene giudicata la peculiare prerogativa di Torino», chiarisce infatti Costanza Roggero Bardelli (4).



La prima delle piazze progettata con parziali portici è quella di rappresentanza del Ducato, piazza Castello, riedificata in seguito ad un’ordinanza del 1606. Segue subito dopo, tra il 1630 e il 1650, la realizzazione da parte degli architetti ducali Carlo e Amedeo di Castellamonte della ininterrotta fila di portici del salotto buono della città subalpina, piazza San Carlo. Il viaggiatore francese Joseph-Jéróme de Lalande nel 1769 rimane affascinato dalla bellezza di questa piazza e dei suoi portici:

«questa piazza, senza escludere quella del castello, è la più bella di Torino e forse la più bella che ci sia in Europa, per la grandiosità e per l’uguaglianza delle costruzioni: è circondata da portici e da edifici uniformi come la piazza reale di Parigi, ma di bella architettura con colonne toscane […] quasi tutte le case hanno un vestibolo riccamente decorato ai piedi della scala e una facciata molto ornata sulla piazza, il che riunisce sia la grazia che la bellezza con la comodità dei portici» (5).

Un secolo dopo, Benedetto Alfieri ridisegna a portici l’intero perimetro della piazza Palazzo di Città, collegandoli a quelli della omonima via; le ultime tre piazze – Vittorio Veneto, Carlo Felice e l’ultima in ordine cronologico, piazza Statuto - vengono completate nell’Ottocento. Per tutte l’edificazione delle facciate segue una scelta precisa della municipalità: quella di perseguire un’immagine di uniformità e di monumentalità, ottenuta, oltre che con i portici, con decorazioni di facciata molto più raffinate di quelle della coeva edilizia borghese. Anche le direzioni verso le due principali stazioni ferroviarie (Porta Nuova e il vecchio edificio della stazione di Porta Susa) sono porticate e la scelta di adottare ancora una volta questo particolare elemento urbano non è casuale. Nel 1884, infatti, una commissione comunale incaricata di uno Studio di un piano completo di riforme e miglioramenti desiderabili per igiene, viabilità ed estetica enunciava la necessità di proseguire i portici preesistenti verso le due nuove direzioni:

«i portici oggidì più fattibili, e sono quelli che da piazza Castello, cioè dal centro del movimento, andrebbero a Porta Susa ed a Porta Nuova, due dei più importanti ingressi, produrrebbero un vantaggio superante la loro entità, perché accrescerebbero il valore dei portici esistenti, ed avrebbero da questi accresciuto il proprio» (6).



Il rifacimento dell’asse viario di via Roma, effettuato negli anni Trenta del Novecento in piena epoca razionalista e progettato, almeno per un tratto, da Piacentini, costituisce l’ultimo tassello dell’anello dei portici, l’unico peraltro effettuato con la demolizione dei precedenti isolati e non senza qualche leggerezza (come quella dello smantellamento di antichi impianti romani e medievali, ricollocati poi in musei cittadini). Il percorso porticato di Torino si arricchisce via via nei secoli di altri tratti, per lo più previsti lungo i grandi viali eretti nell’Ottocento sull’area dell’antica cinta di bastioni ma non di rado anche in settori urbani minori o meno noti (come quelli di piazza Bodoni o di via Palazzo di Città), oppure isolati dall’anello principale ma non per questo meno affascinanti, come l’area dei Quartieri Militari.

Torino svela nei propri portici un variegato repertorio di stili, che copre quattro secoli di storia. Il percorso porticato assume in molti tratti l’aspetto di via monumentale, con scorci di rara suggestione, come quelli delle due esedre di piazza Vittorio Veneto con vista della chiesa della Gran Madre di Dio sullo sfondo della collina torinese o come i lunghi percorsi coperti ottocenteschi di corso Vittorio Emanuele II, che comunicano, a chi li percorre e vi osservi la fuga infinita delle colonne e degli archi, un senso di quieta eleganza.

La diversità delle epoche costruttive conferisce ai portici torinesi, infatti, una ampia gamma di caratteri: raffinati e fantasiosi i portici tardo-ottocenteschi di via Pietro Micca - per il vivace carattere cromatico delle architetture neogotiche dalle snelle colonne ma anche per quel taglio diagonale della via che genera soluzioni formali e prospettive sempre nuove degli innesti delle vie laterali -, vagamente tetri quelli juvarriani in mattone dei Quartieri Militari, sobri quelli di piazza Bodoni o del tratto finale di via Milano, eleganti e regali quelli di piazza San Carlo, austeri quelli di piazza Statuto, moderni e luminosi quelli di via Roma, quasi mercato quelli del lato più commerciale di piazza Castello (un tempo detti, non a caso, Portici della Fiera). Anche le coperture risentono dei passaggi e delle sovrapposizioni degli stili: volti a botte e a crociera, coperture a cassettoni e archi e tutto sesto, uniformità cromatiche o contrapposizioni si avvicendano nei percorsi, svelando epoche di realizzazioni e relativi modelli formali.

I portici di via Po

I portici più noti e amati restano sez’altro quelli di via Po, immancabile e memorabile tappa nell’esperienza dei viaggiatori. Joseph-Jéróme de Lalande nel 1769 definisce la via

«il più bel colpo d’occhio che ci sia in questo genere […] una delle più belle strade che ci sia al mondo […] diritta, ampia, uniforme, di un’architettura semplice e nobile, ornata di due file di portici coperti, cosa estremamente utile per il commercio, gli affari, la salute, la passeggiata ed il diletto» (7).

Pochi anni dopo un altro viaggiatore, Juan Andrés, anch’egli in viaggio a Torino, parla di «spaziosi portici di uniforme disegno, nei quali si cammina comodamente godendo la vista dei negozi che li occupano per la maggior parte» (8).

Nell’Ottocento il commento dei viaggiatori non muta: Davide Bertolotti elogia l’estetica della via definendola «la più bella e la più ampia delle vie di Torino […] da ambo i lati ornata da portici, mettente in due piazze, e guardante da un lato il vecchio castello, dall’altro l’amena collina» (9). Uniformi nel disegno seicentesco voluto dallo Stato sabaudo (10) e realizzato dall’architetto regio Amedeo di Castellamonte, i portici di via Po si snodano lungo la via che conduce al fiume cittadino comunicando un senso di regolarità; la loro continuità è ulteriormente sottolineata dagli ottocenteschi cavalcavia a terrazza del lato nord, stratagemma elaborato dall’architetto Lombardi per collegare tra loro gli isolati affinché la passeggiata del Re potesse svolgersi interamente al coperto dal Palazzo Reale al fiume.



L’unico ‘momento di rottura’ del disegno urbano di portici viari avviene in corrispondenza del sagrato della Chiesa di San Francesco da Paola: il volume della chiesa risulta inglobato in un corpo di fabbrica trapezoidale conforme con il disegno geometrico e squadrato dell’intero isolato e anche se, con il sagrato, si interrompe di fatto il portico, la fuga prospettica non ne viene modificata. Un’altra importante chiesa che si affaccia sulla via – quelle dell’Annunziata – presenta invece una soluzione formale che non impedisce la rottura della sequenza porticata poiché il suo pronao va a identificarsi esattamente con il tratto antistante dei portici, garantendo così la continuità dello spazio, sebbene ne risulti enfatizzato il carattere.

La caratteristica del portico su entrambi i lati della strada rende questa via quasi unica a Torino: le è simile via Roma, che però, per le caratteristiche dimensionali del suo spazio porticato e per la geometria rigorosa della sua architettura razionalista, rimanda a sensazioni molto diverse. L’altezza del portico di via Po, di poco superiore alla larghezza, crea nel sottoportico un salotto urbano in cui aleggia una sensazione di calore e di accoglienza che si mantiene inalterata fino quasi in piazza Vittorio Veneto: soltanto gli isolati a sud in prossimità della piazza, ricostruzioni postbelliche dalla forma squadrata, rompono la continuità e risultano freddi e rigidi, anche per la copertura piana che interrompe la volumetria della seicentesca volta a crociera.



Luoghi dalla doppia natura

Via Po mostra con chiarezza la doppia natura dei portici torinesi: culturale e intellettuale è il lato sinistro, con le bancarelle dei libri usati e gli edifici di prestigio come l’Università, l’Ospizio di Carità o la Chiesa dell’Annunziata, fortemente commerciale invece il lato destro, punteggiato, oltre che dalle vetrine dei negozi, dai numerosi baracconi, le vetrine che inglobano i pilastri diventando una sorta di propaggine dei negozi.

Questa caratteristica spiccatamente commerciale rappresenta dunque l’altra anima dei portici torinesi, che convive con quella elegante e raffinata che rimanda all’essenza della nobiltà sabauda. E’ il caso di piazza Castello, in cui, insieme al tratto porticato vicino al Teatro Regio, spoglio ma ancora denso degli echi delle musiche teatrali, convive una chiassosa galleria commerciale affiancata da esercizi sia a destra che a sinistra, che dilatano lo spazio del commercio attirando il passante in una sfera più frivola, dominata dai colori variegati delle vetrine.
I portici torinesi colpiscono anche la mente del grande pittore De Chirico:

«il fascino autunnale di Torino è reso ancor più penetrante grazie alla costruzione rettilinea e geometrica delle vie e delle piazze e ai portici che consentono di passeggiare tranquillamente qualunque tempo faccia. Questi portici danno alla città l’aria di essere stata costruita apposta per le dissertazioni filosofiche» (11).

Luoghi dalla vocazione metafisica o ambienti del vivere cittadino: in questa dicotomia sta la doppia natura dei portici torinesi, esempi illustri della storia urbana e politica della città e della stratificazione delle sue vicende architettoniche ma anche occasione dell’incontro e dello scambio e anima pulsante della vita cittadina.


Note

(1) G. Rampoldi, Corografia d’Italia, 1832

(2) M. Twain, A Tramp abroad, Leipzig, Tauchnitz, 1880 (in Roccia, Rosanna e Roggero Bardelli, Costanza (a cura di), La città raccontata. Torino e le sue Guide tra Settecento e Novecento, Torino, Archivio storico della Città di Torino, 1997, p.16)

(3) E. De Amicis, Le tre capitali. Torino - Firenze - Roma, Catania, Giannotta, 1897, pp. 157-159

(4) C. Roggero Bardelli, Luoghi e architetture di una città in divenire (in La città raccontata, cit., p. 232)

(5) J-J. de Lalande, Voyage en Italie, Paris, Desaint, 1769 (in Coppo, Dino e Davico, Pia (a cura di), Il disegno dei portici a Torino. Architettura e immagine urbana dei percorsi coperti da Vitozzi a Piacentini, Torino, Celid, 2001, p. 209)

(6) L. Re e G. Sessa, Torino. Via Roma, Torino, Lindau, 1992, p. 39

(7) de Lalande, Voyage en Italie, cit. (in Il disegno dei portici a Torino, cit., p. 41)

(8) J. Andrés, Cartas familiares del abate Don Juan Andrés, Madrid, 1791-1973 (in Il disegno dei portici a Torino, cit., p. 41)

(9) D. Bertolotti, Descrizione di Torino, Torino, Giuseppe Pomba, 1840 (in Il disegno dei portici a Torino, cit., p. 84)

(10) Nel 1775 venne emanato un editto per impedire ogni modifica non autorizzata al disegno delle facciate dei palazzi prospicienti.

(11) G. De Chirico, Il meccanismo del pensiero. Critica, polemica, autobiografia 1911-1943, Torino, Einuadi, 1985 (in Il disegno dei portici a Torino, cit., p. 129)



Bibliografia

Rampoldi, Giovanni Battista - Corografia d’Italia, 1832

De Amicis, Edmondo – Le tre capitali. Torino – Firenze – Roma, Catania, Giannotta, 1897

Re, Luciano e Sessa, Giovanni - Torino. Via Roma, Torino, Lindau, 1992

Roccia, Rosanna e Roggero Bardelli, Costanza - La città raccontata. Torino e le sue Guide tra Settecento e Novecento, Torino, Archivio storico della Città di Torino, 1997

Coppo, Dino e Davico, Pia (a cura di) - Il disegno dei portici a Torino. Architettura e immagine urbana dei percorsi coperti da Vitozzi a Piacentini, Torino, Celid, 2001

Manzo, Luciana e Peirone, Fulvio (a cura di) - Itinerari torinesi. Guide della città tra Sette e Novecento, Torino, Città I Torino, 2007

Farinetti, Gianni, Favetto, Gian Luca e Perissinotto, Alessandro - Sotto i portici di Torino, Torino, Il TerzoOcchiophotography, 2007

Maia, Andrea - Torino. Strade e pagine. Otto percorsi letterari nella città quadrata, Torino, Graphot Editrice, 2010


(31 Luglio 2012)
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