Il MAUTO di Torino:
come si rinnova uno storico museo della città

di Michela Costantini

Inserita nelle iniziative culturali previste per le celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, la riapertura del museo torinese dell’automobile, avvenuta lo scorso 20 marzo, rappresenta un evento importante per il ridisegno globale dei luoghi di interesse culturale della città.
Quello che era il Museo Nazionale dell’Automobile “Carlo Biscaretti di Ruffia” della città capitale dell’automobile cambia nome, look e contenuti, rinnovandosi a tutto campo nell’aspetto e nel logo, nella concezione museale e di conseguenza nel target cui vuole rivolgersi: “Attraverso l’evoluzione dell’auto, racconteremo i passaggi epocali della società”, recita un passaggio nel sito ufficiale del museo (1).



La sede

La sede è un interessante edificio di architettura moderna realizzato nel 1958-60 dall’architetto Amedeo Albertini, che firmò a Torino anche il Palazzo SAI, gli Uffici RIV e lo Stabilimento Lavazza. L’edificio - inaugurato il 3 novembre 1960 - è uno dei pochi esempi di opera architettonica espressamente progettata per un museo e costituisce un segno architettonico forte per chi si trovi a percorrere il lungo Po in direzione del centro città. Dall’inaugurazione la collezione di più di 200 auto di 80 diverse marche, ideata dal nobile torinese Alberto Biscaretti di Ruffia e poi realizzata dal figlio Carlo, che volle fortemente anche la costruzione dell’edificio che da allora lo ospita, ha richiamato centinaia di migliaia di visitatori.

L’esigenza espositiva, legata ad oggetti di per sé concepiti per ampi spazi, suggerì una progettazione piuttosto monumentale: l’ala principale, ampia fronte convessa lunga 114 metri prospiciente il Po - del quale asseconda la curvatura - realizzata con una uniforme composizione di lastre di pietra interrotte da un’unica finestra a nastro, svela forti allusioni razionaliste.

Nonostante il permanere indiscusso del valore artistico dell’opera architettonica, passati alcuni decenni dalla sua realizzazione è emersa l’inadeguatezza della struttura alle nuove esigenze espositive, che attualmente intendono il museo luogo di formazione, di cultura ma anche di aggregazione. La concezione ormai superata del percorso museale - nonostante l’immutato valore degli oggetti esposti - e la mancanza di un adeguato auditorium hanno spinto le autorità competenti ad indire un concorso per l’allestimento del nuovo museo e per la reinterpretazione globale di tutta la struttura dell’edificio, anche con l’intento di trasformarlo in un nuovo polo di aggregazione per il quadrante meridionale della città.



Il nuovo progetto, firmato da Cino Zucchi con la Recchi Engineering S.r.l. e la Proger Spa , rispettando l’impianto generale del progetto originario, prevede due interventi esterni e la ridistribuzione degli spazi interni al fine di ricavare quelle nuove funzioni di aggregazione che già il bando di concorso aveva richiesto. Il fronte laterale su via Richelmy è stato riprogettato con l’inserimento di una nuova ala caratterizzata da una cortina di vetro definita da diversi gradi di trasparenza e concepita per essere il fronte più raccolto dell’intera struttura; il fronte prospiciente il Po – caratterizzato dalla sua percezione veloce, legata al traffico sulla grande via di scorrimento su cui si affaccia - è stato invece ridisegnato con un nuovo basamento, che si inserisce nel nuovo sistema di accessi carrai e pedonali.

La ridistribuzione dell’interno prevede un’articolazione del tutto nuova degli spazi: bookshop, caffetteria, ristorante e un grande atrio che contiene la barriera delle biglietterie definiscono ora lo spazio al piano terra, mentre la copertura della corte interna contribuisce a scandire gli spazi museali veri e propri, che ora si ora snodano dall’altro in basso secondo tre aree tematiche.

Il nuovo auditorium si aggiunge agli spazi didattici e costituisce così una sezione che, collocata sul lato opposto a via Richelmy, è concepita anche per essere fruita autonomamente rispetto al museo: la città si può dotare ora di un nuova spazio pubblico che, in linea con la nuova museografia, fa dell’edificio espositivo una fabbrica multiuso.

Per le caratteristiche specifiche del progetto, ma anche per la felice integrazione dei tre livelli che concorrono alla realizzazione di un’opera architettonica – quello progettuale, quello della committenza e quello dell’impresa – il MAUTO ha ottenuto in questi giorni il Premio Nazionale Inarch–Ance, promosso dall’Istituto Nazionale di Architettura (Inarch) e dall'Associazione dei costruttori (Ance).



Il percorso museale

L’attuale MAUTO si pone all’avanguardia nella concezione museale: non più soltanto – come era stato per il precedente museo – una seppur ricca collezione di automobili italiane e straniere, in grado di testimoniare l’evoluzione dagli inizi ad oggi del mezzo di trasporto che ha modificato la vita e la cultura di tutto l’Occidente, ma, al contrario, un luogo di storia e di cultura in cui l’automobile diventa protagonista delle trasformazioni sociali, testimone di epoche e di gusti. Nella nuova concezione il museo vuole essere anche un forte luogo di aggregazione, come si legge ancora sul sito ufficiale del museo: “in sintonia con molti esempi europei contemporanei, le funzioni propriamente espositive saranno integrate da una serie di attività complementari che faranno vivere il Museo dell’Automobile a tutte le ore del giorno e della sera, diventando un elemento trainante del rinnovo urbano del quadrante sud della città”.

Accanto alla caffetteria e al bookshop, l’edificio ospita ambienti più ufficiali come il Centro Congressi, continuando nel contempo ad essere anche luogo di ricerca; il ricchissimo Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino (nato negli anni Sessanta insieme allo storico museo e attualmente in fase di riordino e riorganizzazione in vista della riapertura il prossimo autunno), con la biblioteca, l’emeroteca e l’archivio, resta il luogo di riferimento per tutti coloro che, a diverso titolo e per diverse finalità, vogliano occuparsi di ciò che riguarda la storia e la conoscenza della locomozione a motore e del mezzo di trasporto più diffuso sul pianeta.

Il nuovo MAUTO prevede tre percorsi tematici, che si snodano dal piano più alto al piano terra: l’automobile e il Novecento, l’automobile e l’uomo, l’automobile e il design. Considerati globalmente, i tre percorsi mettono in luce gli aspetti fondanti dell’oggetto auto: quello di essere stato il testimone più diretto della storia del XX secolo, l’oggetto di produzione industriale più legato al concetto e all’evoluzione del design e il testimone – se non addirittura la causa diretta - delle trasformazioni sociali dell’uomo del secolo passato.



Il primo percorso è quello che più degli altri è in grado di catturare l’attenzione e lo stupore dei visitatori di ogni età: attraverso l’evoluzione dell’auto si possono raccontare mutazioni non solo tecnologiche ma anche sociali, ambientali, urbanistiche e toccare così tematiche trasversali quali arte, design, sport, spettacolo, ecologia, pubblicità, moda, musica. Proprio per questo motivo ogni fascia di visitatori (dai veri appassionati di auto ai bambini, dalle donne a coloro che sono più interessati al contesto che all’oggetto esposto) può trovare motivo di interesse.

Gli allestimenti dello scenografo franco-svizzero François Confino – di cui si riconosce la mano, avendo già curato con analoga concezione il Museo del Cinema della città - sono veri e propri quadri sociali, in cui l’auto è ambientata insieme ad oggetti quotidiani, abiti, manifesti, in allestimenti che – tramite il trattamento delle superfici, dalle quinte alle pavimentazioni - la contestualizzano, in uno spaccato di luoghi ed epoche in grado di suscitare nel visitatore allo stesso tempo interessi e ricordi. Dai ruggenti anni venti al primo consumismo italiano del dopoguerra in cui l’elettrodomestico diviene oggetto del desiderio degli italiani, il Novecento è raccontato attraverso le sue stagioni, e le sue automobili.

Un esempio, tra tutti: nello stand Good bye, Lenin la famosa utilitaria Trabant 601, auto-simbolo dei paesi comunisti, e la Syrena L 105 animano il quadro in cui va in scena la spaccatura Est-Ovest degli anni della guerra fredda, con al di qua la Ferrari 365 GT 4 dell’Occidente e al di là la riproduzione del check-point Charlie della Berlino del muro, in un confronto d stili di vita ma anche di design (qui avveniristico, là ancora decisamente antiquato) dell’automobile.

Il primo piano è dedicato al rapporto tra l’uomo e l’automobile, nel suoi vari aspetti, dalla produzione alla pubblicità, passando anche per un provocatorio stand sulle distorsioni psicologiche – quante volte le abbiamo viste? - del rapporto dell’uomo con l’auto.

Infine il design, l’aspetto più tecnico legato al prodotto auto, ma non per questo meno interessante. Due segmenti di questa sezione espositiva presentano titoli evocativi come Il design come rapsodia e Gran ballo finale, a sottolineare una sorta di grande e magnifica rappresentazione dell’automobile. Il percorso si gioca su una sorta di analogia tra la realizzazione di una composizione musicale e la progettazione dell’auto: sinfonia musicale l’una, meccanica l’altra.

E questa suggestione può innescare nel visitatore libere concatenazioni di pensieri: proseguendo sul filo dell’analogia, forse la Trabant starebbe ad una canzonetta popolare come la Ferrari ad una sinfonia….

(1) www.museoauto.it

(29 Maggio 2011)
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