IL MARE NEL REPERTORIO MUSICALE POPOLARE
di Michela Costantini
Il mare ispira la musica
Il rapporto dell’uomo con il mare è antico, affonda nelle antiche civiltà e probabilmente lo precede.
Il mare senz’altro rappresenta uno dei primi luoghi della natura con cui l’uomo entra in contatto e quindi appare come una delle fonti di ispirazione musicale: si è ipotizzato del resto che il rumore delle acque sia stato il primo ad essere udito nella notte dei tempi e molti miti greci raccontano come l’uomo sia sorto dall’acqua (1).
Il mare come fonte di ispirazione per il musicista ha attraversato la storia della musica - colta e popolare, europea e non – assumendo molteplici aspetti e svariate forme. Sul versante della musica colta compositori di ogni tempo hanno tratto dal moto del mare, dalle rumore e dalla ciclicità delle onde, dal senso di immensità che il mare evoca elementi da tradurre in ritmi e suoni. Come non pensare, tra le numerosissime composizioni di questo genere, ai tre splendidi schizzi sinfonici che costituiscono La Mer di Debussy? Il moto ondoso, l’avvicendarsi di quiete e tempesta, la magia del momento della nascita del sole dai flutti sono mirabilmente resi con i ritmi, le melodie, i timbri strumentali e tutte le altre risorse linguistiche della musica colta.
Ma in quanto possente e temuto elemento della natura, il mare ha sicuramente ispirato l’uomo di molte altre culture, lontane nel tempo come nello spazio; e inoltre, fin dalle prime civiltà storiche, è stato anche luogo di lavoro, luogo elettivo degli stanziamenti delle prime civiltà e fonte di vita e di sostentamento.
Così come il musicista colto, ancor prima l’uomo ‘qualunque’ ha prodotto istintivamente musiche spontanee, produzioni popolari ricche di riferimenti alla storia e alla cultura del passato che l’etnomusicologia (disciplina nata ufficialmente nel 1950 ma derivata dalla musicologia comparata elaborata a fine Ottocento) ha contribuito a rivalutare sul piano culturale. Non stupisce quindi che il mare – ma anche il fiume, che assolve alla stessa funzione di sostentamento per le popolazioni - abbia ispirato, in vari modi, il repertorio popolare di tutti quei paesi che, per conformazione geografica, da sempre hanno avuto uno stretto rapporto con l’ambiente marino.
Nel vastissimo repertorio dei canti legati al mare si possono distinguere tre sottogeneri: quelli nel cui testo si fa cenno al mare, alle vita sulle barche, alla partenza per mare o a vicende storiche legate alla marineria (2); quelli legati in maniera più diretta e funzionale ai lavori marinari e infine quelli incentrati su leggende e miti aventi attinenza con il mare. In particolare il secondo gruppo, dal preponderante contenuto ritmico, contiene un forte aspetto funzionale perché in questo caso i canti «assumono toni, melodie e cadenze ritmiche riferibili ai movimenti fisici dei vari lavoratori» (3).
Il canto ritmico
Fin dalle epoche passate la musica ha accompagnato in vario modo il lavoro dell’uomo, lavoro per lo più manuale che ha scandito la vita delle passate generazioni fino alle grandi trasformazioni sociali avvenute in seguito alla Rivoluzione Industriale. Il lavoro – quello dei mestieri - è stato da sempre uno dei momenti più significativi della vita della collettività e ha visto infatti al suo fianco, costante e fedele, la musica, con funzioni diverse ma sempre importanti.
Si è anche ipotizzato che l’origine primaria del canto e della musica risieda proprio nella necessità di ritmare, con grida o rumori di oggetti, i lavori svolti collettivamente. Del resto, come osserva Cristina Cano, il ritmo induce in sé una sorta di soddisfazione psicologica, che è notevolmente rafforzata dalla «socializzazione delle condotte ritmiche, quando vi sia sincronizzazione di un gruppo di persone ad uno stesso ritmo..» (4).
La tradizione musicale italiana (ma anche quelle europee ed extraeuropee) (5) è ricca di canti dal forte contenuto ritmico elaborati per accompagnare il lavoro: canti dei mestieri legati al mare, come i battipali veneziani, ma anche di altri mestieri, come gli scariolanti emiliani o i salinari di Trapani, hanno lasciato testimonianze musicali di grandissimo interesse, testimonianze di una pratica musicale eseguita collettivamente che si è persa nel tempo, relegata ormai solo nella memoria di pochissimi anziani o nelle poche testimonianze registrate.
Ogni lavoro e ogni musica ad esso legata ha una sua specificità, ma tutte le musiche che hanno accompagnato il lavoro svelano alcuni caratteri simili e alcune funzioni che le accomunano.
Innanzitutto dobbiamo osservare che la musica che accompagnava il lavoro era sempre cantata: è evidente che era impossibile l’uso dei strumenti durante il lavoro manuale e quindi il canto su testo o come semplice emissione sonora restava la sola possibilità di pratica musicale durante lo svolgimento di una mansione manuale. Inoltre era direttamente cantata dai lavoratori, che erano abituati a questa pratica fin da piccoli e la condividevano collettivamente. Quella che era un consuetudine per i nostri progenitori non è però passata alle generazioni successive, che, avendo perduto la pratica del canto in seguito alla trasformazione radicale del lavoro e alla perdita dei mestieri di un tempo, hanno anche perduto una delle principali forme di espressione.
Tuttavia il principale elemento musicale dei canti di lavoro è quello ritmico. Le musiche del lavoro collettivo erano basate su formule ritmiche ripetute e facili da memorizzare, anche perché eseguite per lo più da persone digiune di conoscenze musicali o tutt’al più dotate di senso ritmico innato. L’aspetto ritmico del canto – che si adattava nella velocità e nella ritmica stessa alle diverse mansioni da svolgere - assolveva a funzioni diverse e tutte importanti: alleggerire la monotonia del lavoro facendo passare più velocemente il tempo, coordinare i movimenti del gruppo trovando il ritmo giusto per l’azione collettiva e diminuendo quindi la fatica fisica di ciascuno.
Non era infrequente che il testo del canto servisse anche a tenere il conteggio del lavoro svolto. Ciò avveniva per esempio nel trasporto a cottimo di sacchi di materiale, come per i trasportatori di sale nelle saline di Trapani o per gli scariolanti emiliani, addetti al trasporto della terra nelle zone di bonifica della Romagna: in questi casi il canto enumerava via via la quantità di lavoro svolto,
Marinai e lavoratori del mare: tratti comuni e realtà specifiche
Anche l’antico lavoro del marinaio è stato da sempre accompagnato dal canto e anche in questo caso dal canto ritmico e collettivo. In molte regioni e anche in epoche diverse, infatti, il lavoro che si svolgeva sulle barche era lavoro di gruppo. Nell’epoca dei vascelli e delle grandi navi le manovre erano in genere faticose e richiedevano l’unione e lo sforzo di tutti: i marinai addetti alle complesse manovre della barca erano necessariamente organizzati in squadre.
La formula che caratterizza questi canti è per lo più quello responsoriale, cioè del domanda e risposta: un solista enunciava le frasi e il coro rispondeva mentre svolgeva la parte faticosa del lavoro. Come visto prima nel caso della ritmica, anche in questo caso la semplicità di questa formula – peraltro diffusissima in molte culture extraeuropee, soprattutto nell’Africa subsahariana - si sposa perfettamente con l’esigenza di adattarsi ad un gruppo di esecutori per la maggior parte musicalmente non acculturato. Ma va notato che la spontanea semplicità del canto nasceva anche dall’esigenza di non impegnare troppo l’attenzione verso il canto, ma di dirigerla essenzialmente al lavoro da svolgere: una eccessiva complessità della melodia o del ritmo sarebbero stati controproducenti per la funzione cui erano destinati.
La formula responsoriale si ritrova anche in altri canti ritmici che non sono legati alla vita dei marinai sul mare ma che hanno comunque a che fare con i mestieri del mare. E’ il caso dei battipali veneziani, lavoratori che svolgevano un lavoro unico e particolare, consistente nell’infiggere con il maglio nel fondo della laguna veneziana i lunghissimi pali destinati a servire da fondamenta per le costruzioni lagunari. Anche questo difficile e faticoso lavoro veniva svolto a squadre: quattro uomini manovravano il maglio mentre un quinto dava il tempo cantando e a questo canto solista gli altri rispondevano in coro coordinando i loro movimenti.
In Calabria ritroviamo canti ritmici nella pratica della mattanza, cioè la pesca del tonno. Questi canti, mescolati agli incitamenti, invocazioni, formule di ringraziamento a Dio e ai santi sono tuttora eseguiti durante la mattanza dei tonni in Sicilia.
Nel Ritmo di tonnara, del quale qui di seguito riportiamo il testo, la struttura del canto è costituita dai comandi ritmici del capociurma della tonnara, cui rispondono ad una tonalità più bassa tutti gli altri marinai. I vari comandi ritmici devono immaginarsi accompagnati dai movimenti ritmici del corpo e delle braccia.
E salpa e voga vo’E salpa e voga vo’
E San GiuseppiE stella a mà
E v’ha a ghiutariE stella a mà
E chi belli ninni teniE chi belli ninni teni
E salpa e voga vo’E salpa e voga vo’
Iò la nassaIò la nassa
UrralirràUrralirrà
E lo stranguggi‘U baccalà
Il Ritmo per tirare le barche a terra (noto anche come Oh Portofin, carighela ben) è un canto ritmico intonato dai marinai genovesi intenti a tirare le barche a terra. Un uomo inizia il movimento trainante del gruppo intonando con una breve melodia i comandi del movimento: il resto del gruppo risponde all’unisono intonandosi sull’ultima nota e completando il movimento di trascinamento della barca. Ecco il testo:
Oh PortofinCàrighela ben
A l’è terra antigaCàrighela ben
Oh daghe ‘na botaCàrighela ben
Oh se veui co vegneCàrighela ben
Oh questo legnoCàrighela ben
Oh l’è piccinCàrighela ben
Oh se vediamoCàrighela ben
Oh poi staseraCàrighela ben
Oh ghe molliamo una bottaCàrighela ben
E o scio GiovanniCàrighela ben
Co una mazzettaCàrighela ben
E de quello giancoCàrighela ben
Oh ti sentiè che bella spianaOho oho!
(6)
I testi dei canti dei marinai sono spesso scherzosi e ilari, ma non di rado raccontano le fatiche fisiche e psicologiche dei marinai: lunghi mesi lontani da casa, la percezione costante del pericolo, il senso di straniamento dovuto al continuo peregrinare tra terre diverse e lontane. In questi casi il canto assolveva anche ad un’altra funzione: quella di sostegno psicologico. La musica aiutava infatti il lavoratori a sentirsi partecipi della condizione sociale del gruppo, a rafforzare il senso di appartenenza alla corporazione. In questo ambito possiamo considerare moltissimi esempi di canti sociali, non più al servizio del lavoro ma dei lavoratori, intesi e considerati questa volta come categoria sociale negli anni in cui si delinea una presa di coscienza del ruolo e dei diritti dei lavoratori.
Uno dei generi più definiti di canto legato all’ambiente del mare si sviluppa nell’Inghilterra dell’Ottocento: è quello degli sea-shanties, canti eseguiti per ritmare le manovre collettive a bordo dei grandi velieri, soprattutto quelle alle vele e alle pesantissime ancore. La grande tradizione marinara del Regno Unito spiega ampiamente questo fenomeno: si pensi alla consistenza della flotta inglese, alla quantità di rotte commerciali coperte dal trasporto per nave e conseguentemente alla quantità di manodopera impiegata sulle navi. Il repertorio di canti risulta così vastissimo, un vero e proprio patrimonio storico e antropologico utile anche per comprendere usi e modi di vita in quelle microsocietà che erano i grandi velieri.
Il brano What shall we do with the drunken sailor? consta di una semplice frase solista, che ha un evidente aspetto ripetitivo, cui segue la formula del coro che risponde con la frase ‘Hoo-ray, and up she rises’ facendo riferimento alla mansione cui è destinato il canto, cioè l’atto di issare la pesante ancora.
What shall we do with the drunken sailor,
What shall we do with the drunken sailor,
What shall we do with the drunken sailor,
Early in the morning?
Coro:
Hoo-ray, and up she rises, (3 volte)
Early in the morning.
Put him in the long boat unitl he’s sober,
Put him in the long boat unitl he’s sober,
Put him in the long boat unitl he’s sober,
Early in the morning.
Coro:
Hoo-ray, and up she rises, etc.
Pull out the plug and wet him all over,
Pull out the plug and wet him all over,
Pull out the plug and wet him all over,
Early in the morning.
Notiamo anche il carattere un po’ burlesco del testo: con il mozzo sbronzo (realtà non così infrequente nella dura vita di bordo) non si può far altro che metterlo in una scialuppa fino a che gli sia passata la sbronza ………
Il tema dell’alcolismo (abitudine, tutta marinara, di annegare fatiche fisiche e nostalgie nel whisky) è infatti un motivo ricorrente in molti canti marinai: lo ritroviamo, trattato in modo esplicito, in un altro sea-shantie,
Whiskey Johnny.
Whisky is the life of man,
Whisky Johnny.
Oh! whisky is the life of many,
Whisky for my Johnny.
I'll drink whisky when I can,
Whisky Johnny.
I'll drink it out of an old tin can,
Whisky for my Johnny.
Whisky gave me a broken nose,
Whisky Johnny.
Whisky made me pawn my clothes,
Whisky for my Johnny.
Whisky drove me around Cape Horn,
Whisky Johnny.
It was many a month when I was gone,
Whisky for my Johnny.
I thought I heard the old man say,
Whisky Johnny.
'I'll treat my crew in a decent way,'
Whisky for my Johnny.
A glass of grog for every man,
Whisky Johnny.
And a bottleful for the chanteyman,
Whisky for my Johnny.
La struttura formale della musica è sempre quella già vista della domanda e riposta, utile ad accompagnare una mansione in cui un solista guida tutto il gruppo in un pesante lavoro collettivo. Ma in questo esempio il testo si discosta dall’accompagnamento secco alle manovre fisiche per raccontare gli aspetti comuni e i momenti sociali della vita sulle navi: il senso di appartenenza al gruppo, l’alienazione del lavoro, uguale e ripetitivo, i rapporti con i superiori, spesso duri e difficili, l’incertezza del futuro.
Il popolo dei marinai, per loro stessa natura, è un popolo viaggiante. E non stupisce allora di ritrovare modelli e stilemi musicali simili in luoghi geograficamente distanti. Un canto particolarmente interessante in questo senso è Ringo ringo cunuè! perché, pur essendo siciliano, mostra una inaspettata somiglianza con gli shanties inglesi.
Agli inizi dell’800 le flotte inglesi si trovarono a sostare nei porti siciliani per molto tempo e dovettero arruolare marinai siciliani per le manovre alle vele. Considerando che la tradizione marinara inglese era di gran lunga superiore a quella italiana, è probabile che i lavoratori siciliani in questo caso abbiano imparato dagli inglesi non solo le manovre alle vele e agli argani, ma anche gli shanties, storpiandone naturalmente la lingua.
Ringo ringo cunuè! si riferisce al lavoro per l’alzata delle vele: nel testo sono sottolineate le parole siciliane che derivano da storpiature dell’inglese e a lato il termine inglese d’origine.
O ringo ringo cunuè!ring
Sciari varivinga, sciari varinnè!
Ca lo niuru ‘n teni Re!
Iu mi partu da’ me’ terra,
iu mi vadu a dispaccià,
tirulè – lè – lè
pappagallo tocca ‘n pe’!
Io pollaro iverencellipull
Io pollaro ivroncò.
Io pollaro iverencelli
Io pollaro ivroncò.
Vittoria, vittoria,
sciavirà virà bombò oh oh!
Vittoria, vittoria,
sciavirà virà bombò oh oh!
Ai bini vollideiI’ll been holiday
Urrah brancicò!
O brancicò o pullierù,
sciavirà virà bombò bombò
Ai cheme orcicòI came
Ritroviamo canti di lavoro legati alle attività marinare anche nelle arre geografiche in cui il commercio e il trasporto erano condotti in modo massiccio per via fluviale: è il caso della Russia, in particolare nella regione del Volga. Il grande fiume russo infatti per secoli ha costituito una importante via di scorrimento e di commercio attraverso l’immensa regione russa ed è stato solcato da centinaia di imbarcazioni: il lavoro del battelliere diventa quindi attività caratteristica in quelle regioni e, come per il caso degli sea-shanties inglesi, si accompagnava a mansioni di lavoro ben precise e a particolari canti ritmici. I canti dei battellieri del Volga rappresentano quindi la versione russa dei canti marinai e, come quelli, raccontano che la vita del marinai, pur alle diverse latitudini, si svolgeva in maniera molto simile.
Note
(1) Lo riporta Raymond Murray Schafer nelle sue riflessioni sulla natura in relazione all’aspetto sonoro in Il paesaggio sonoro, Milano, Ricordi - Lim, 1985, p. 29 e segg.
(2) Tra i temi narrati dai canti marinari si possono annoverare le scorrerie dei corsari saraceni sulle coste della penisola, gli inni narranti vari miracoli avvenuti in mare (come quello di San Nicola di Bari che salva i marinai di una nave dal naufragio diventando il protettore dei marinai), le incursioni dei pirati arabi (nei canti di tradizione tirrenica sette-ottocentesca).
(3) D. Coltro, Canti e cantari. La vita, il lavoro, le feste nel canto veneto di tradizione orale, Venezia, Marsilio, 1988, p. 557.
(4) C. Cano, Simboli sonori, Milano, Franco Angeli, 1984, p. 56.
(5) Tra i canti di lavoro più noti i sono senz’altro i work-songs americani, canti della tradizione nera nati a fine Ottocento tra i gruppi di lavoratori impegnati nelle piantagioni di cotone o addetti alla costruzione delle ferrovie.
(6) Lo osserva Bruschi in L’Antico e il processo di identificazione degli ordini nella seconda metà del Quattrocento, in «L’emploi des ordres dans l’architecture de la Reinassance», Actes du Colloque tenù a Tours, 9-14 giugno 1986 Paris, Picard, 1992.
(7) Traduzione: Oh Portofino/ caricala ben/ è terra antica [….]/ dagli una botta [….]/ se vuoi che venga su [….]/ questo legno [….]/ è piccolino [….]/ ci vediamo [….]/ poi questa sera [….]/ gli daremo una botta [….]/ signor Giovanni [….]/ con una mazzetta [….]/ e di quello bianco [….]/ e vedrai che bella serata
Bibliografia
A. V. Savona, M. L. Straniero, Canti dell’emigrazione, Milano, Garzanti, 1976
A. V. Savona, M. L. Straniero, I canti del mare nella tradizione popolare italiana, Milano, Mursia, 1980
C. Cano, Simboli sonori, Milano, Franco Angeli, 1984
R. Murray Schafer, Il paesaggio sonoro, Milano, Ricordi - Lim, 1985
D. Coltro, Canti e cantari. La vita, il lavoro, le feste nel canto veneto di tradizione orale, Venezia, Marsilio, 1988
(30 Giugno 2012)
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