CHOPIN, DUECENTO ANNI FA NASCEVA UN 'POETA'

di Michela Costantini

Foto di Chopin
Foto di Chopin, scattata nel 1849

"Dolce e armonioso genio!" (Franz Liszt).
"Si riconosce perfino nelle pause" (Robert Schumann).
"Si accontentò di vedere il suo pensiero integralmente riprodotto sull’avorio della tastiera" (Eugène Delacroix).
Non ha "un solo punto di somiglianza con nessun musicista" (Hector Berlioz).


Come si intuisce da queste citazioni, il 'poeta' di cui si parla non appartiene alla schiera di coloro che compongono versi, ma è d’altro genere: si tratta del compositore polacco Fryderyk Franciszek Chopin, di cui ricorre quest’anno il bicentenario della nascita.
Molto si scrisse di lui, in vita e dopo la prematura morte, avvenuta nel 1849 per tubercolosi. E’ quindi interessante leggere la figura di Chopin attraverso gli occhi e le sensibilità dei contemporanei e dei critici posteriori. La famosa definizione di poeta del pianoforte ci giunge dalla biografia del 1850 di Franz Liszt: da allora, con tutti i limiti delle definizioni, Chopin mantiene universalmente l’appellativo lisztiano, appellativo - a unanime opinione dei critici posteriori - pienamente meritato.

Il poeta scrive quasi esclusivamente per pianoforte: se si eccettuano poche composizioni per violoncello, un trio e alcuni canti polacchi, il suo catalogo conta centinaia di pezzi per pianoforte solo e quattro concerti per pianoforte e orchestra – concerti in cui, peraltro, l’orchestra lascia interamente al pianoforte il ruolo del protagonista. Nessuno forse mai come Chopin si dedica ad un solo strumento, fa di un solo mezzo musicale il tramite per esprimere sentimenti, volontà, passioni, lacerazioni, speranze: in questo certamente possiamo condividere l’opinione di Liszt, che vide in Chopin un poeta, dotato di mezzi diversi da quello della parola ma altrettanto capace di esprimere il suo mondo interiore. Liszt parla infatti di genio poetico per la sua musica e, paragonando la musica alla poesia, sostiene che "in musica si finirà presto col tenere conto … dell’eloquenza e della genialità con cui saranno espressi i pensieri e i sentimenti del poeta, quali che siano del resto lo spazio e i mezzi impiegati per interpretarli".

Ritratto di Chopin
Ritratto di Chopin

Chopin e Liszt sono due figure di musicisti e due modi di essere pianisti del tutto differenti,: entrambi figli di una periferia d’Europa lontana dai grandi centri della cultura (polacco il primo, ungherese il secondo), contemporanei ma rappresentanti due anime profondamente diverse del Romanticismo, si incontrano proprio a Parigi, crocevia degli intellettuali d’Europa. Per cogliere questa loro diversità basti confrontare due brani: per Chopin il Preludio n° 4 op. 28 e per Liszt lo studio La campanella, parafrasi dell’omonimo violinistico di Paganini. Nulla di più diverso, nei due pezzi: lirismo e introspezione pura il primo, fuoco e virtuosismo estremo il secondo. Il Romanticismo mette in scena tutte le sue anime, semplicemente ripartite in modo netto nei mondi e nei modi dei due autori.

Caricatura di Liszt al pianoforte
Caricatura di Liszt al pianoforte

Il primo, Chopin, a suo agio nei ristretti e intimi salotti parigini, il secondo, animale da palcoscenico, ansioso di darsi in pasto al suo affezionatissimo pubblico. Dirà Chopin a Liszt, riconoscendo questa differenza: «Non sono adatto a dare concerti, sono intimidito dal pubblico, mi sento asfissiato da quei respiri affannosi, paralizzato da quegli sguardi curiosi, muto davanti a quei volti estranei; ma voi sì, ci siete destinato, perché, quando non conquistate il pubblico, avete di che ucciderlo». Ma, allo stesso tempo, Liszt riconoscerà all’amico altre doti: "Vorrei rubargli il suo modo di suonare i miei studi".

Chopin al pianoforte
Chopin al pianoforte

Balzac ebbe a dire – con una affermazione che coglieva solo alcuni aspetti delle due personalità - che il polacco era un angelo, mentre l’ungherese era il demonio. Ma al di là di questa apparente contrapposizione, i due musicisti si frequentarono a Parigi dal 1831 al 1835 e seppero apprezzarsi profondamente. Fu proprio Liszt infatti, con un atteggiamento se non proprio angelico, quantomeno generoso, ad introdurre Chopin nella Parigi mondana e intellettuale come un nuovo fulgido astro: dopo averlo ascoltato per la prima volta il 26 febbraio 1832 nel suo primo concerto parigino sentì di volerne divenire il protettore. Ed è sempre Liszt che a Weimar, l’anno dopo la morte di Chopin, scrive una biografia dell’amico pianista. Se l’annuncio della morte del pianista polacco appare scarno e stringato sulle pagine del Musical Times (dieci righe dal titolo "Morte del pianista Chopin") Parigi gli tributa invece funerali di stato, in cui viene eseguito (per sua stessa richiesta) il Requiem di Mozart.

Il testo della ricca biografia di Liszt ottiene grande risonanza, uscendo a puntate nel 1851 sulla rivista France musicale. Nonostante ciò, la biografia lisztiana non è esente da critiche, in parte giustificate. Sulla Revue de deux Mondes un critico del tempo stronca senza riserve lo scritto di Liszt e ancora oggi il testo risulta dotato di poco storicismo. Secondo Piero Rattalino l’impressione è che Liszt "volesse falsificare la storia e creare un’immagine di Chopin fatta a misura"; ma, rileva ancora Rattalino, "Liszt non aveva di mira la descrizione, e tantomeno la descrizione precisa: aveva di mira l’evocazione, e l’evocazione di un eroe". E in effetti la biografia di Liszt rimane una testimonianza viva e forte, un eccezionale ritratto d’autore di un genio della musica. Mary Tibaldi Chiesa, la traduttrice della edizione italiana della biografia lisztiana del 1949 scrisse: "nessuno potrà mai scrivere di Chopin, né rievocarlo, vivo e presente, dinanzi al nostro sguardo, come Liszt lo ha fatto qui, ora sbozzandolo in alto rilievo, ora lavorando minutamente di bulino e di lima, qua segnando con tocco magistrale un tratto caratteristico, là delineando ogni contorno, sottolineando ogni particolare, dosando ogni sfumatura".

Chopin in un salotto di Parigi
Chopin in un salotto di Parigi

Un tratto essenziale della personalità e della biografia di Chopin è quello dall’appartenenza nazionale, del suo animo polacco. Liszt lo rimarca continuamente, anche – lo rileva ancora Rattalino – con lo scopo di fare di Chopin, "pianista - compositore vissuto a Parigi, l’esiliato testimone di una nazionalità antica, nobilissima, oppressa….". In una lettera dell’amico Witwicki del 1831, scritta a Chopin quando questi lascia la Polonia, leggiamo un’altra testimonianza di questa tensione nazionale: "non perdete mai di vista la nazionalità, la nazionalità e ancora una volta la nazionalità. E’ una parola pressoché vuota di senso per un artista comune, ma non per un ingegno come il vostro. V’è una melodia natia come v’è un clima natio. Le montagne, le foreste, le acque, le praterie hanno la loro voce natia, interiore, sebbene non tutte le anime la avvertano". E Chopin l’avverte chiaramente: risuona in tutta la sua opera ma in modo evidente e dichiarato nelle Polacche e nelle Mazurche, ricche di suggestioni melodiche e ritmiche della tradizione musicale polacca.

Che dire, invece dell’uomo Chopin? Da più parti si è messa in luce la sua fragilità, la figura esile e delicata, la natura piuttosto schiva. Liszt, a questo proposito, scrive: "l’organismo gracile e debole di Chopin non gli permetteva l’espressione energica delle sue passioni.. " ma rileva anche che, nonostante fosse benevolo e affidabile nei rapporti, ".. non lasciava supporre le segrete convulsioni che lo agitavano". Dunque una personalità solo apparentemente gracile, ma nel profondo scossa da forti e intense passioni, lasciate raramente trapelare e solo con gli amici più intimi. Non stupisce quindi che prediligesse l’atmosfera raccolta e sicura del salotto più che la ribalta altisonante del grande teatro. Ed è proprio nei salotti parigini che conosce e frequenta artisti, pittori, letterati di altissimo rango, rappresentanti dell’elite intellettuale del Romanticismo francese. Vi incontra anche George Sand, scrittrice dal nome maschile e dalla fortissima personalità, che sarà musa e compagna negli ultimi dieci anni della sua vita.

Chopin e George Sand in un ritratto di Delacroix
Chopin e George Sand in un ritratto di Delacroix

Nelle pagine di George Sand viene spesso evocata la figura del compositore, ma ancor più emerge il ritratto dell’uomo e dell’artista: "il genio di Chopin è il più profondo, e il più ricco di sentimenti e di emozioni che sia mai esistito. Egli fa parlare a un solo strumento il linguaggio dell’infinito. Sa riassumere in dieci righe, che un bambino potrebbe suonare, poemi di una elevazione immensa, drammi di una energia senza pari". Per completare questo amorevole ritratto con le osservazioni tecniche del compositore, leggiamo ancora Liszt, con la consapevolezza che nulla altro sia necessario aggiungere: "non si saprebbe studiare e analizzare … le opere di Chopin senza trovarvi bellezze di un ordine molto elevato, sentimenti di un carattere perfettamente nuovo, forme di una struttura armonica altrettanto originale e sapiente. In lui l’ardimento si giustifica sempre: la ricchezza, l’esuberanza stessa non escludono la chiarezza; la singolarità non degenera in bizzarria; le cesellature non sono disordinate, il lusso dell’ornamentazione non sovraccarica l’eleganza delle linee principali".

E’ certo che dopo Chopin il pianismo non fu più lo stesso.

(23 Ottobre 2010)
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