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26 agosto 1998
Introduzione
di Vincenzo Messina Nel presentare l'insieme di questi appunti bisogna riprendere una vivace polemica che nei mesi scorsi ha visto scendere in campo diverse personalità pubbliche, tra cui una delle più prestigiose firme del giornalismo italiano: Piero Ottone. In un suo articolo, pubblicato nel novembre del 1996 su "il Lavoro" di Genova, scrive: "Che cosa faceva un genovese nel 1845 se voleva andare a Milano? Forse andava prima in chiesa per raccomandare l'anima a Dio; completati i suoi esercizi spirituali, saliva su una diligenza (c'era un servizio quotidiano) alle ore 14,30 con la speranza di arrivare a Milano alle 10,30 del giorno successivo. Ma erano già state inventate le ferrovie. Il primo collegamento ferroviario in Italia fu compiuto nel 1835 fra Napoli e Portici: a imperitura gloria dei Borboni.... E nel 1846 fu finalmente decisa un'opera audace: la linea Torino - Genova, scavalcando le montagne impervie dell'Appennino. Furono necessari 8 anni perchè l'opera fosse completata. L 'inaugurazione si fece nel 1854, naturalmente alla presenza del sovrano. Il servizio era soddisfacente: si partiva da Torino alle 9,30 e si arrivava a Genova all'una, cioè dopo tre ore e mezza. Ma quante lotte prima di terminare l'opera! Quante opposizioni! I proprietari dei terreni e gli amministratori dei comuni intermedi sollevarono mille difficoltà; qualche nobildonna si lamentò che sarebbe stata privata dei luoghi abituali di villeggiatura..... Sicché non proviamo adesso nessuna meraviglia quando leggiamo che il progetto di una ferrovia veloce fra Genova e Milano suscita, a sua volta, opposizioni molteplici. Niente di nuovo sotto il sole.... . Ogni nuovo progetto suscita le stesse obiezioni; che costa troppo, che non e' necessario, che rovina l'ambiente. Oggidì i collegamenti ferroviari sono migliorati poco rispetto alla metà dell'ottocento. Ma se gli oppositori al progresso, allora avessero vinto, dovremmo sempre impegnare, fra Genova e Milano, 18 ore. " Dunque in buona sostanza alle soglie del duemila si identifica, ancora adesso, nella maggiore velocità, nel perfezionamento delle tecnologie, il "progresso" e paradossalmente non ci si accorge che non ci si è invece allontanati dalla mentalità vittoriana del secolo scorso. In Inghilterra questa concezione del progresso - intesa nel senso di migliori condizioni di vita per tutta l'umanità, con un perfezionamento oltre che materiale anche morale - all'epoca infatti era in parte giustificata anche dall'Economist, che intorno al 1850 scriveva: "Nella locomozione per via terra i nostri progressi sono stati davvero prodigiosi, inconfondibili con qualsiasi altra tappa raggiunta dall'uomo a partire dalla creazione. All'epoca di Adamo ed Eva la velocità media di spostamento, se mai ad Adamo fosse venuto in mente di spostarsi, era di sette chilometri all'ora; nel 1828, cioè quattromila anni dopo, era ancora di soli sedici chilometri, e c'erano uomini di senno e scientificamente preparati pronti a sostenere e decisi a dimostrare che non sarebbe stato materialmente possibile superare questa velocità, che nel 1850 è abitualmente di 65 chilometri all'ora e, volendo, di 110." Tutto ciò, dovrebbe apparire, oggi, ad una persona dotata di un normale senso comune, come un infantile autocompiacimento ben distante dalla realtà. L'intento di questa pubblicazione sta dunque nel riportare in un piano più corretto epiche battaglie tra "barbarie" e "progresso". In un piano dove è possibile constatare che il progresso tecnologico non è volto a soddisfare, e non lo è stato mai neppure in passato, il miglioramento delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione; esso più semplicemente è piegato agli interessi di potenti forze finanziarie, e non sempre lecite. Gli scandali e le ruberie, oggi come ieri, sono stati perpetrati proprio in nome del "progresso" tanto osannato da molti falsi ingenui. Genova, 26 agosto 98 Vincenzo Messina
Consulente F.L.T.U. - C.U.B. - Download testo in formato PDF: ( pdf - 14Kb ) - ( pdf-zip - 8Kb ) [ Torna ad inizio pagina ]
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