[ Torna alla pagina precedente ] - settembre 2000 - Testo originale all'indirizzo http://forces.org/stagnaro/nimby.htm -
La
moralità del NIMBY Tutto il mondo è paese, dicono. Perfino l’America, nonostante i suoi ampi spazi. L’America, però, soffre più di ogni altro luogo del proprio paradosso: la convivenza forzata e impossibile delle legittime aspirazioni alla libertà individuale con le strutture coercitive proprie di qualunque stato nazionale. Questo genera frustrazioni e manifestazioni parossistiche: l’unica valvola di sfogo attraverso cui è possibile evitare, o rimandare, l’esplosione. Così, anche in America accade spesso che i politici compiano scelte impopolari e che molti dei cittadini coinvolti manifestino la propria opinione contraria. Ogni volta che questo si verifica, l’immancabile liberal di turno tira fuori dal cappello una parolina magica: NIMBY, Not In My Backyard (non nel mio cortile). Tale parolina dovrebbe avere un significato negativo, mettendo in luce la grettezza e l’egoismo di chi accetta determinate decisioni, a patto che esse siano, appunto, “non nel mio cortile”. In realtà, vi è più di una ragione di ritenere che quella del NIMBY sia una scelta moralmente consapevole e, soprattutto, eticamente corretta: che essa, insomma, rispecchi una visione del mondo coerente coi principi libertari. Il problema principale dei politici, infatti, è quello di scaricare sulla collettività gli effetti di alcune scelte individuali. Le leggi a favore dell’inquinamento, quelle contro la pulizia dei boschi, i provvedimenti protezionistici ad uso e consumo di alcune categorie professionali, l’insediamento coatto di comunità straniere sulla proprietà privata altrui, sono tutti tentativi della classe politica di incrementare il proprio potere attraverso la concessione di particolari privilegi di casta. Così, mentre i politici con una mano donano prebende, con l’altra sfilano portafogli. Tutto questo ha evidentemente un costo che qualcuno dovrà sopportare. I politici affermano senza posa che “la società” richiede a tutti delle rinunce, affinché “tutti insieme” possano progredire da una situazione peggiore a una migliore. Attraverso schemi e studi complessi, i politici giungono così a individuare la “soluzione migliore” a un dato problema. Se, ad esempio, l’argomento in questione è lo smaltimento dei rifiuti, essi riescono in qualche modo a dimostrarci che il posto giusto per l’inceneritore si trova esattamente dalla parte opposta della città rispetto a casa loro. Se invece bisogna costruire un’autostrada, non c’è dubbio che il tracciato “più razionale ed efficiente” passerà sui vostri campi (e lontano dai loro). Nessuna tra le opere pubbliche che possono risultare in qualche modo fastidiose passa mai nel cortile dei politici. Non c’è da stupirsene, né è possibile biasimarli: ognuno persegue il massimo profitto per sé nell’ambito dei propri diritti. Nel momento in cui il voto li investe di una qualche legittimazione popolare, è “diritto” dei politici regnare come sovrani. L’unico limite alla loro fame è la scadenza del mandato: che ha l’unico effetto di incanalare le loro smanie entro un orizzonte temporale ridotto. I cittadini comuni, però, non sempre apprezzano che i politici scelgano al loro posto, senza neppure interpellarli, sull’uso delle loro proprietà. La democrazia va bene, la sopportano, ma il troppo stroppia. Soprattutto quando la democrazia significa che ci si trova a far parte della minoranza che deve sottostare al “sacro” volere della maggioranza. Questa è la ragione per cui, talvolta, si trovano a dire: “fatelo pure, ci mancherebbe, ma non nel mio cortile”. Tale affermazione presuppone una chiara comprensione del significato delle parole “proprietà privata”. Nessuno ha diritto di fare un qualsiasi uso dell’altrui proprietà senza il consenso del legittimo proprietario. Neppure i politici. Non è il caso di ripetere quello che Enclave si è affannata ad affermare fin dalla sua nascita: tutte le loro azioni non sono in nulla, se non nelle dimensioni, diverse dalle comuni aggressioni di un bandito da strada. E, con riguardo alla scala su cui esse si svolgono, non si può non osservarne l’enormità spaventosa. Tali azioni possono essere compiute solo grazie al monopolio della violenza che i politici, tramite lo stato, detengono. Questo non fornisce loro legittimazione né giustificazione. Al contrario, è legittima e giustificata la reazione di chi pretende di essere l’unico sovrano sulla propria proprietà, sui propri terreni, sui propri beni e sul proprio corpo. Tale è la natura della libertà e al di fuori di essa non c’è nulla se non la schiavitù. Non è esagerato affermare che un paese libero è un paese in cui vengono rizzati molti steccati. Solo in quel modo, infatti, è possibile mettere reciprocamente in chiaro i confini delle proprie azioni legittime. Solo così, insomma, acquista un significato concreto la nota massima di Voltaire, secondo cui “i miei diritti finiscono dove iniziano quelli altrui”. Sulla staccionata. La libertà è poter invitare i nostri vicini – e in particolare quelli più bellicosi e arroganti – a fare tutto quello che vogliono. But Not In My Backyard. (Tratto da Enclave n. 9) |