Le pestilenze e la fine del mondo
"In un luogo dopo l’altro [vi saranno] pestilenze" (Luca 21:11)


«Alla fine della prima guerra mondiale dilagò in tutta la terra l’influenza spagnola, che fece più di 20 milioni di vittime e con una rapidità senza precedenti nella storia delle malattie. Nonostante i progressi della medicina, ogni anno sono numerosissime le vittime di tumori, malattie cardiache, varie malattie trasmesse per via sessuale, sclerosi multipla, malaria, oncocercosi e morbo di Chagas» (Ragioniamo facendo uso delle Scritture, ed. 1990, p 427). «La minaccia dell’AIDS ci ricorda ancora una volta che l’uomo, nonostante i notevoli risultati ottenuti nel campo della medicina, è incapace di eliminare le pestilenze» - Libro Conoscenza, p. 103.


I Testimoni di Geova sostengono che dal 1914 stiamo vivendo negli "ultimi giorni" e che la profezia di Gesù sulle pestilenze si sta adempiendo da quell'anno in una misura senza precedenti nella storia dell'umanità.

Ma è vero che le malattie epidemiche hanno contraddistinto in maniera particolare la nostra epoca?

Nel passato molte pestilenze uccisero decine di milioni di persone, con un tasso di mortalità molto più elevato di quello della spagnola, dell’AIDS e di altre malattie che il Corpo Direttivo dei testimoni di Geova include - impropriamente [1] - fra le «pestilenze». Mi limito a menzionarne alcune.

  • Nel 6° secolo ci fu la «peste di Giustiniano» che causò cento milioni di morti nell’arco di cinquant’anni. Fu un’epidemia di peste bubbonica, la stessa che si diffuse nel mondo durante il quattordicesimo secolo e che fu successivamente chiamata la «morte nera».

  • Nel corso dei secoli la peste bubbonica colpì ripetute volte il mondo. Fonti anglosassoni menzionano non meno di quarantanove attacchi epidemici tra il 526 e il 1087. Fonti arabe, più di cinquanta tra il 632 e il 1301. Fonti cinesi, più di 288 tra il 37 e il 1911.

  • Sul finire del 1347, la peste ricomparve in Europa con conseguenze spaventose: causò 77, forse 100 milioni di morti solo durante la sua prima ondata, dal 1347 al 1350! «Senza alcun dubbio la peggiore calamità che la storia ricordi».[2] «Il più grande di tutti i flagelli che l’umanità abbia dovuto affrontare». «Il più grave disastro mai sofferto dal mondo».[3] Si calcola che, durante il primo assalto, morissero complessivamente 25-40 milioni di persone.

  • Dal 1500 al 1800 ci furono epidemie di sifilide e di vaiolo. La sifilide causò milioni di morti, a partire dal sedicesimo secolo. Il vaiolo spazzò via un terzo delle popolazioni del Nuovo Mondo. Aggiungendo ad esso altri morbi letali, è stato calcolato che complessivamente, solo nelle Americhe, morirono 95 milioni di persone. Neanche l’Europa sfuggì a questo morbo. A partire dal sedicesimo secolo, partendo dall’Asia, il vaiolo raggiunse l’Europa e l’Africa. Un secolo dopo aveva mietuto 60 milioni di vittime soltanto tra le popolazioni europee.

  • Nel diciannovesimo secolo fu la volta del colera, che assunse le dimensioni di una spaventosa pandemia: 100 milioni di morti furono il risultato delle cinque ondate epidemiche. Prese singolarmente, queste epidemie mieterono tante vittime quante la spagnola nel suo complesso: 20 milioni di morti ognuna!

  • Tra il sedicesimo e diciannovesimo secolo, infuriarono alcune epidemie influenzali che causarono milioni di vittime. Una delle più micidiali, quella del 1556-59, uccise all’incirca una persona su cinque in Inghilterra e in altri paesi europei. Nel 1580 un’epidemia influenzale, scoppiata in Asia, si diffuse in Africa, Europa, America. «Nello spazio di sei settimane, essa colpì quasi tutte le nazioni europee. Quasi nessuno rimase immune dal contagio e i pochi che scamparono furono oggetto di grande meraviglia».[4] L’epidemia influenzale del 1781-82, interessò oltre all’Europa, anche Cina, India e Nordamerica, colpendo dai due terzi ai tre quarti della popolazione, con un’elevata mortalità. In Gran Bretagna gli effetti della grande influenza del 1847 furono paragonabili alle devastazioni del colera. Furono maggiori le vittime dell’influenza che quelle dell’epidemia di colera del 1832.

  • La tubercolosi conobbe la sua massima diffusione verso la metà del secolo scorso allorché un decimo della popolazione mondiale ne fu colpito. Per tutto il diciannovesimo secolo rimase la più mortale di tutte le malattie europee.

Epidemia di Peste a Marsiglia  © Cliché Bibliotèque Nationale de France, Parigi.
Epidemia di Peste a Marsiglia © Cliché Bibliotèque Nationale de France, Parigi.

Dal 1914, la «nostra generazione» (come la definivano una volta i TdG) ha visto la scomparsa - o una drastica diminuzione - di queste spaventose calamità del passato.

  • «Le malattie infettive che, soltanto due o tre generazioni fa, rappresentavano nelle nostre statistiche la causa maggiore di mortalità, sono regredite in seguito ai progressi conseguiti dalla medicina» (F. Henschen, patologo).

  • «In molti paesi le malattie epidemiche hanno perduto la loro pericolosità e molte specie di infezioni sono divenute rare in quegli stessi luoghi in cui un tempo erano diffuse e gravi. Oggi occorre una buona dose di fantasia per immaginare che cosa fossero le malattie infettive soltanto all’epoca dei nostri nonni». (W. McNeill, storico).

  • «Forse il successo più grande conseguito nel ventesimo secolo sta nella scomparsa delle grandi epidemie che una volta flagellavano intere nazioni e continenti, mutilando, storpiando, piagando e uccidendo milioni di persone».[5]

È del tutto fuori discussione che le malattie epidemiche abbiano subito un netto calo già sul finire del secolo scorso e che il calo sia andato sempre più aumentando nel corso di questo secolo. Ma, se anche così non fosse, non si può in alcun modo sostenere che "questa generazione" abbia assistito ad un aumento delle pestilenze in misura tale da distinguerla dalle precedenti. Anche questo aspetto del presunto "segno degli ultimi giorni", quindi, non si è manifestato in maniera particolare dagli inizi del ventesimo secolo, contrariamente a quanto sostengono i testimoni di Geova.


Note:

[1] Il termine "pestilenza", greco loimòs, si riferisce alle malattie epidemiche o pestilenze mortali. (Vedi Perspicacia, p.579) In tale significato non si possono quindi includere, come fa la Società, le malattie cardiache e il cancro. Queste non sono pestilenze, nel senso biblico del termine. Luca era medico e quindi, con il suo uso della specifica parola loimòs, non si riferiva alle malattie di ordinaria amministrazione (greco nòsos), ma le malattie epidemiche infettive.

[2] M.W. Dols, The Black Death in the middle East, New Jersey, 1977.

[3] J. Asimov, A Choice of Catastrophes, Londra, 1980.

[4] J. Cornell, Yhe Great International Disaster Book, New York, 1979, p.70.

[5] W. I. Beveridge, Influenza: The Last Great Plague, Londra, 1977, p. 26.