Agorà Questo Forum si chiama "Agorà" (greco: piazza), sia
perché l'agorà era la
"piazza", intesa come luogo, dove, nella Magna Grecia, la gente si
incontrava
per discutere (e quindi, in un certo senso, i newgroups o i forum non sono
altro che la versione "virtuale" dell'antica agorà), sia perché
nella
cultura greca il libero pensiero era un valore fondamentale.
Non a caso qui è nata la democrazia e il metodo scientifico. |
LiberaMente Puoi anche iscriverti ad una mailing list Per iscriverti compila ed invia questo modulo |
"La verità vi renderà liberi"
Uno dei messaggi inviati alla lista, nel quale si riassumono lo
spirito,
gli scopi le mete che questa comunità virtuale si propone.
... Per definizione una vera comunità non ha niente a che vedere con la psicologia di massa perché incoraggia l'individualità ed è aperta a una gran varietà di punti di vista; la comunità è un gruppo che ha imparato a trascendere le proprie differenze individuali. Probabilmente quelli, come me, che hanno fatto l'esperienza di adesione al geovismo, hanno abbandonato l'Organizzazione perché si erano - più o meno consapevolmente - resi conto che essa era semplicemente un gruppo e non una vera e propria comunità: esclusivismo settario, eccessiva strutturazione e quant'altro sono la negazione di una comunità. Nel geovismo, dove l'esigenza di "restare uniti" è decisamente pressante, l'abbandono comporta il rifiuto della missione trascendente attribuita ai vertici del gruppo e un fardello di esami di coscienza e di sensi di colpa: gli affiliati giungono a decidere per l'abbandono in un certo lasso di tempo, mentre continuano a vivere all'interno del gruppo. Chi abbandona è indotto a rendersi conto che, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, una vita equilibrata difficilmente è caratterizzata dall'assenza di crisi; l'equilibrio psicologico di un individuo dipende invece dalla rapidità con la quale egli è capace di reagire alle crisi. Chi di noi, e qui mi rivolgo ancora agli ex tdg, non si è reso conto, a un certo punto della propria esperienza di adesione, che i "fratelli" si sforzavano di mantenere il gruppo estraneo a ogni forma di conflitto, facendone una pseudocomunità tutta sorrisi e gentilezze: non si trattava della finzione malvagia di chi mente sapendo di mentire, piuttosto era un processo inconscio attraverso il quale persone che desiderano essere amabili cercano di esserlo ricorrendo a piccole bugie innocenti, tacendo parte della verità su se stesse e sui propri sentimenti in modo da evitare i conflitti; le regole di tale finzione si possono così sintetizzare: se qualcuno fa o dice cose che ti offendono o ti infastidiscono, reagisci come se niente fosse e fai finta che l'accaduto non ti abbia per nulla toccato; se si manifesta qualche segno di disaccordo, cambia argomento il più rapidamente possibile; non fare e non dire nulla che possa offendere qualcuno. È evidente che, attivando questa ostentazione di buone maniere, un gruppo può funzionare perfettamente, ma a discapito del singolo, della sincerità e dell'intimità: i membri fingono di pensarla tutti allo stesso modo. In tale contesto i "fratelli" imparano a parlare per generalizzazioni: ciascuno tiene per sé i propri sentimenti e si arriva perfino ad annuire in segno di assenso, come se l'interlocutore avesse proferito una verità universale. Parlare in termini generali non consente di stabilire un contatto sincero. Chi di voi, abbandonando l'Organizzazione, non ha realizzato una rivalutazione del dubbio considerandolo una virtù, addirittura una responsabilità? Un'autentica crescita spirituale non può evitare la fase del dubbio. Da adepti si era legalistici, rigidi e dogmatici: si temeva chiunque la pensasse diversamente; da ex affiliati comprendiamo la necessità di mettersi in discussione, di chiedersi se l'ideologia del gruppo sia così certa e completa da giustificare la conclusione che tutti gli altri "increduli" non saranno salvati. Da adepti non tolleravamo il dubbio perché dubitare equivaleva ad ammettere di non sapere e, forse, perfino ammettere che non si riuscirà mai a sapere pienamente; da ex adepti abbiamo cominciato ad accettare il dubbio, a capire che non tutto è "bianco o nero", che la realtà ha più dimensioni e spesso significati contraddittori. Comunque, oltre ad imparare a valutare gli aspetti più negativi dell'adesione, dovremmo riconoscere senza vergogna gli aspetti positivi della nostra esperienza, e trarne profitto. Far questo richiede un confronto costruttivo per trovare un'alternativa alle indicazioni, alle motivazioni e alle risposte a problemi fondamentali che il movimento aveva offerto. Alcuni trovano un'alternativa in una delle religioni tradizionali, altri semplicemente vengono a patti con il fatto di dover vivere senza risposte chiare e precise a questi problemi. Ebbene, la ricerca di una comunità o la creazione d'essa è una tappa salutare per chi ha vissuto direttamente o indirettamente l'esperienza di coinvolgimento nel geovismo. Ed è a questo punto che si evidenzia la edificante funzione di questo forum, inteso come "comunità". Una comunità è un luogo sicuro perché nessuno tenta di convertire gli altri, di "metterli a posto", di cambiarli; anzi i suoi membri si accettano per quello che sono: ognuno è libero di essere se stesso e, grazie a questa libertà, può far cadere i propri travestimenti, le proprie difese. In questo modo ciascuno è libero di cercare il proprio equilibrio psicologico e spirituale. Quando vediamo la sofferenza, il coraggio, la debolezza e la dignità negli altri, cominciamo veramente a rispettarci l'un l'altro come esseri umani. Nel processo di formazione di una comunità i suoi membri imparano ad abbandonare schieramenti e fazioni, imparano ad ascoltarsi e a capirsi l'un l'altro, rispettano gli uni i "doni" degli altri e accettano reciprocamente i rispettivi limiti. Questo non significa che una comunità sia sempre pacifica nel senso comune del termine, anzi a volte i suoi membri si confrontano anche duramente, tuttavia si tratta di uno scontro costruttivo perché basato sull'amore. Una comunità non nasce grazie agli ordini di un capo autoritario, nella comunità si impara pure ad arrendersi e a capire che spesso la vita non è un problema da risolvere, ma un mistero da vivere. Pertanto, affinché un gruppo si trasformi in una comunità, occorre un notevole grado di impegno e, perché essa continui a vivere, deve fondarsi su un nucleo di persone che le si dedichino senza riserve. La comunità non risolve il problema del pluralismo cancellando la diversità, al contrario essa accoglie ogni punto di vista, ingloba gli opposti, ricerca la diversità. In una vera comunità si arriva alle decisioni solo attraverso il consenso: essere pienamente consapevoli della varietà umana significa riconoscere la nostra dipendenza reciproca. Io credo che il forum sia tutto questo, grazie alla felice intuizione dell'ideatore e degli animatori e all'apporto di ciascun iscritto. geovologo
|