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FERRI IN PIETRA


Ultimo aggiornamento: 27 Giugno 2002

Sicuramente i primi strumenti di stiratura (anche se in questo caso è più corretto parlare di lisciatura) furono costituiti da pietre levigate e arrotondate e sono pochissimi gli esemplari giunti fino a noi, data anche l'estrema difficoltà nel riconoscerne l'effettiva funzione.

Un parente prossimo di questi antenati preistorici è costituito dal ferro da stiro completamente in pietra, ma anche in questo caso gli esemplari conosciuti sono veramente pochissimi e costituiscono i "fiori all'occhiello" delle fortunate collezioni che li possono annoverare. Di questa categoria "nobile" posso vantare nella mia collezione un prezioso lisciatoio in alabastro bianco, ricoperto da uno smalto verde, utilizzato per stirare la biancheria ancora umida dal bucato. 

Nell'ambito di questa categoria si ritagliano poi un posto importante i ferri da stiro in talco (o più correttamente in "steatite", una varietà di talco particolarmente compatta che si presta ad essere scolpita e lavorata al tornio), che in alcune zone hanno rappresentato per secoli i materiali più adatti (ma soprattutto più economici) per costruire strumenti di stiratura. Una di queste rare zone è costituita dalle valli dell'alto Piemonte (Val Pellice, Val Chisone e Val Germanasca), dove proprio la presenza di miniere di talco ha consentito lo sviluppo di questi particolari ferri (che in realtà di metallo hanno solo il manico, fissato saldamente grazie ad una colata di piombo). Grazie alla porosità delle pietre utilizzate era infatti possibile riscaldarle per la stiratura, dopo averle precedentemente inumidite al fine di evitarne la rottura per eccessivo sbalzo termico. In fondo alla pagina viene riportato un saggio molto interessante sull'estrazione del talco in Piemonte, che fa peraltro esplicito riferimento all'utilizzo di questo materiale nella costruzione dei ferri da stiro.

Ancora più difficile in questo caso l'attribuzione dell'età, dal momento che l'unico elemento soggetto ad una sorta di invecchiamento è costituito dal manico metallico. Assolutamente certa invece l'estrema rarità di questi esemplari, sia per la loro fragilità che per la loro limitata diffusione. Fino a poco tempo fa infatti non risultavano catalogati in nessun libro, e solo l'ultimo libro di David Irons presenta finalmente due esemplari di questa tipologia.

Data la mia vicinanza con le zone di diffusione posso vantare nella mia collezione numerosi ferri di questo tipo, che ne costituiscono sicuramente gli elementi più interessanti. Spetta pertanto a loro l'onore di aprire la carrellata ....

 

LISCIATOIO IN MARMO ROSSO
Epoca: XVI secolo
Provenienza: Italia (Piemonte)
Misure: 
Peso: 
Descrizione: Bellissimo lisciatoio in marmo rosso (forse toscano ?) dalle perfette proporzioni e dalle dimensioni perfette per un’agevole impugnatura (che riporta la caratteristica usura dovuta all’uso prolungato). Anche se alcune tracce di colore autorizzano a presumerne un utilizzo anche nella preparazione di colori come pestello, la superficie perfettamente liscia della soletta fa propendere per un suo uso prevalente come lisciatoio

 

LISCIATOIO IN ALABASTRO BIANCO
Epoca: XVI Secolo
Provenienza: Italia
Dimensioni: 
Peso: 
Descrizione: Lisciatoio in alabastro bianco, dalla classica sagoma con impugnatura, ricoperto da un antico smalto verde. Un vero “pezzo da museo” e per me uno degli esemplari più emozionanti di tutta la collezione, perché testimone di un epoca in cui il concetto di stiratura era ancora pressoché inesistente. La presenza della pittura è per me un mistero: semplice testimone dei disparati utilizzi nel corso dei secoli (utilizzato forse anche per frantumare del colore, come indicherebbero alcune tracce rosse) oppure decorazione coeva del periodo in cui veniva usato come lisciatoio ? Non lo sapremo mai, per ora un elemento a maggior gloria di questo ferro (anche se la tentazione di rimuovere tutta la pittura è forte, per vedere il candore del liscio alabastro che “occhieggia” in alcune zone dell’impugnatura)

 

FERRO IN TALCO CON MANICO RAFFIGURANTE UN UCCELLO
Epoca: XVIII secolo
Provenienza: Italia (Piemonte)
Misure: 17 - 5,5 cm
Peso: 0,75 kg
Descrizione: Stupendo ferro da stiro, perfetto in ogni sua parte. Il corpo ogivale è perfettamente levigato e simmetrico e presenta sulla punta una decorazione a rilievo tipicamente medievale. Ma ciò che lascia ammirati è il manico a forma di uccello stilizzato, ritorto con maestria e saldamente infisso con una colata di piombo.

 

FERRO IN PIETRA CON MANICO A POMELLO
Epoca: XVIII Secolo
Provenienza: Francia
Dimensioni: 16 - 9 cm
Peso: 0,95 kg
Descrizione: Al contrario del precedente questo ferro ha il corpo in pietra porosa, e dalla forma dell'impugnatura a capocchia di chiodo si può affermare ragionevolmente che appartenga alla produzione transalpina. Un dettaglio significativo è dato dalla forma scavata del lato sinistro, per agevolare la presa della piccola mano della stiratrice (che non poteva quindi essere mancina; sono estremamente rari, in tutte le tipologie, i ferri con accorgimenti speciali per i mancini)

 

FERRO IN TALCO A DOPPIA PUNTA
Epoca: XVIIII secolo
Provenienza: Italia (Piemonte)
Misure: 18,5 - 6,5 cm
Peso: 0,75 kg
Descrizione: Estremamente rara la forma a doppia punta di questo ferro in talco (il venditore sostenne che era l'evidenza dell'uso del ferro da parte di un mancino: in realtà non esiste questo nesso). In questo modo era possibile il medesimo effetto stirante in ambedue le direzioni del movimento, anche se aumentavano le probabilità di "impuntarsi" nella stoffa. Il manico ad arco estremamente semplice è in ferro e la presenza dell'allontanamento degli strati (fenomeno noto con il nome di "sfoglia d'arme") è tipica degli esemplari più antichi. 

 

FERRO IN TALCO A DOPPIO INFISSO
Epoca: XIX Secolo
Provenienza: Italia (Piemonte)
Dimensioni:
Peso:
Descrizione: Imponente ferro dalle notevoli dimensioni, caratterizzato dal manico a due punti di ancoraggio al corpo, per garantire una maggiore stabilità, e da un grazioso ricciolo frontale. Anche in questo caso il fondo del ferro è perfettamente liscio a testimonianza dell'uso, che peraltro non doveva concedere una vita molto lunga a questo genere di strumenti, data la fragilità del materiale 

 

FERRO IN TALCO CON RICCIOLO
Epoca: XIX secolo
Provenienza: Italia (Piemonte)
Misure: 18,5 - 6,5 cm
Peso: 0,75 kg
Descrizione: Ferro molto originale, grazie al manico infisso in senso contrario rispetto all'impostazione comune. Il bloccaggio è stato infatti realizzato sulla parte anteriore del ferro, con il manico terminante in un largo ricciolo. Il corpo in pietra non è stato curato invece in modo particolare e presenta una notevole disomogeneità delle superfici 

 

FERRO IN TALCO CON MANICO RITORTO
Epoca: XIX Secolo
Provenienza: Italia (Piemonte)
Dimensioni:
Peso:
Descrizione: Piccolo ferro caratterizzato da un corpo particolarmente alto e dal manico ritorto.  

 

 

FERRO IN TALCO A DOPPIO INFISSO
Epoca: fine XIX secolo
Provenienza: Italia (Piemonte)
Misure: 18,5 - 6,5 cm
Peso: 0,75 kg
Descrizione: Ferro grossolanamente sbozzato, senza una particolare cura nella realizzazione, come dimostra anche la scarsa armonia del manico. Anche in questo caso il manico (che dall'analisi del ferro pone questo esemplare tra i più recenti della categoria) è stato infisso in due punti, con il caratteristico ricciolo frontale a forma di bulbo 

 

FERRO IN TALCO A DOPPIO INFISSO
Epoca: XIX Secolo
Provenienza: Italia (Piemonte)
Dimensioni:
Peso:
Descrizione: Ferro di costituzione analoga al precedente, con un piccolo ricciolo frontale. Rispetto al precedente questo ferro può ritenersi più antico, a giudicare dalla tipologia di ferro utilizzata per il manico

 

FERRO IN TALCO A MANICO TONDO
Epoca: XIX secolo
Provenienza: Italia (Piemonte)
Misure: 
Peso: 
Descrizione: Ferro dalla soletta ben sagomata, particolarmente slanciata. Minor cura è stata invece dedicata al manico in ferro, ricavato da una spessa lamina ricurva, saldamente infissa nella pietra  

 

SLICKENSTONE
Epoca: XVII Secolo
Provenienza: Olanda 
Dimensioni:
Peso:
Descrizione: Quello che apparentemente sembra un ciotolo insignificante è invece una "slickenstone", ovvero uno dei primi strumenti adibiti dall'uomo alla stiratura. E' una pietra molto levigata, talvolta costituita da un impasto vetroso, tipica dell'area dei paesi nordici (con una netta prevalenza in Olanda, da dove proviene l'esemplare nella mia collezione). Molto difficile determinarne l'epoca, ma si può azzardare ragionevolmente circa 400 anni di età

 

MINIERE DI TALCO IN VAL GERMANASCA

Il passato

C’è stato un tempo, narrano le cronache, in cui la Val Germanasca è stata chiamata Valle Scura. Forse per la complessità della sua orografia, per la difficoltà di accesso (si giungeva in valle solo percorrendo tutto il versante solatìo: Torre delle Banchette, Villasecca, San Martino, Traverse, Chiabrano, Maniglia ...), o per la impenetrabile ricchezza dei suoi boschi.

La storia ci ha invece tramandato il nome di Val San Martino, dal nome di Martino di Tours, cui è dedicata la chiesa di San Martino di Perrero, per lungo tempo la più importante della valle.

Ancora attualmente gli abitanti della Val Chisone e quelli del Queyras (posto sul versante francese) ci chiamano martinâl. Lo stesso colle d’Abries sulle carte topografiche francesi è denominato Col de Saint Martin.

Solo in epoca napoleonica è subentrato ufficialmente il nome di Val Germanasca, dal nome dei due torrenti (di Prali e di Massello) che la percorrono quasi interamente.

Recentemente, nell’ambito del progetto di rilancio turistico-culturale, da alcuni operatori la valle è stata definita "La Valle Bianca". Questo, sia in relazione ai lunghi periodi di innevamento che caratterizzano la valle e le sue piste di discesa e di fondo, sia in considerazione della ricchezza rappresentata dalla presenza in valle di ricchi giacimenti di marmo e di talco, il cosiddetto "Bianco delle Alpi", conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo.

Mentre l’estrazione del marmo ha rivestito per la valle minor rilevanza (malgrado anche attualmente si prelevino ogni anno centinaia di metri cubi di minerale, destinati soprattutto all’estero), per oltre 150 anni la ricerca, la "coltivazione", il trasporto del talco, hanno rappresentato per gli abitanti della valle una grande opportunità di lavoro, in alternativa all’emigrazione, ed una notevole fonte di guadagno, sia pure a costo di condizioni di lavoro durissime e pericolose, col rischio di gravissime malattie professionali (la silicosi) e di una radicale trasformazione della economia agricola in economia prevalentemente industriale.

Fino alla metà del secolo scorso i prelievi di talco sono stati molto modesti e limitati, nelle zone di affioramento, alla raccolta di scaglie da commerciare come "pietra per sarti" ed a piccoli blocchi di "steatite" (una varietà di talco particolarmente compatta, che si presta ad essere scolpita e lavorata al tornio) da destinare alla costruzione di piccoli utensili: ferri da stiro, padelle per i tourtèl, calamai, scaldaletto, abbeveratoi per gli animali da cortile... Si tratta ovviamente di piccoli prelievi effettuati con mezzi di fortuna dagli abitanti locali per proprio uso e consumo.

La Legge Sarda del 1859, avendo iscritto il talco tra i minerali di IIa classe soggetti al regime delle cave, scatena la corsa all’accaparramento dei terreni dove si presume esista qualche seria possibilità di rinvenire talco, in quanto i proprietari dei terreni vengono considerati anche padroni delle ricchezze del sottosuolo.

Sono dello stesso anno alcuni documenti, conservati presso l’archivio di Perrero, relativi all’appalto di due lotti di terreno (Clot del Zors e Rio Molotta) da parte del comune di Maniglia, ora Perrero. L’interesse dei concorrenti è tale che alla gara di appalto seguono non solo le aggiudicazioni alle ditte vincitrici, ma anche lunghe code di ricorsi e contro-ricorsi da parte dei concorrenti esclusi.

Negli anni che seguono, fino alla fine del secolo, sono numerosi gli imprenditori che si cimentano, con fortune alterne, nell’avventura mineraria legata alla ricerca ed alla "coltivazione" di un prezioso filone di talco: la sig. ra Rostagno di Perrero, l’avv. Gay, i geometri De Giorgis ed Elleon, il conte Brayda ed il sig. L. Sery, la compagnia Baldrac, i sigg. Cirillo e Giuseppe Tron, gli inglesi Pathé Bouvard ed Huntriss, la ditta Bertalot e C., la "Societé Franco-Italienne des Mines de Talc du Piémont", la The Anglo Italian Talc and Plumbago Mines Company, la ditta Fedele Francesco e C....

Si aprono così numerosi cantieri minerari, non solo a Maniglia, ma anche ai Malzas (Perrero); a Sapatlé, Pleinet, Envie, Crosetto (Prali); a Fontane (Salza). Spesso i cantieri sono così vicini che sorgono lunghe controversie tra i vari concessionari, sia per il disordine in cui operano le ditte, sia per la scarsa chiarezza della complessa legislazione mineraria.

Si deve giungere al 1907 prima che la neonata Società Talco e Grafite Val Chisone inizi a mettere ordine nella complessa situazione, sia con il graduale assorbimento di tutte le ditte minori, sia dando grande impulso all’estrazione del talco con l’impiego di rilevanti risorse tecniche e finanziarie (8 milioni di lire di capitale - interamente italiano - sede sociale a Pinerolo). Quando nel 1927 la legge stabilisce che il talco è un minerale di Ia classe e quindi di proprietà demaniale, praticamente tutti i cantieri minerari della Val Germanasca risultano in concessione alla Società Val Chisone.

La normativa, avocando allo stato la proprietà del minerale estratto, di fatto defrauda i comuni ed i privati (soprattutto consorzi di pascolo e di gestione dei boschi) di una notevole fonte di entrate. Infatti, fino a questo momento, le ditte concessionarie versavano ai proprietari dei terreni un tanto al miriagrammo di talco estratto, mentre in seguito questa indennità viene eliminata dalla legge stessa e sostituita da una tassa di concessione da versare allo stato.

Nel frattempo vengono installate numerose teleferiche che collegano i diversi siti minerari di Maniglia, Fontane, Envie, Fracia, Pleinet, Sapatlé alle strade per Prali e Massello appena costruite, (la "funicolare del Gran Courdoun", che collegava Sapatlé 2034m a Perrero 800m, passando per i Malzas, era stata costruita fin dal 1893!) per cui il trasporto viene assicurato per mezzo di pesanti autocarri. In questo modo perdono il lavoro e la relativa (modesta) fonte di guadagno le moltissime persone (comprese donne e ragazzi), provenienti anche da zone lontane come Gran Dubbione, che per decenni hanno assicurato (con slitte, gerle e a spalle) il trasporto a valle di migliaia di tonnellate di preziosissimo talco. E perdono anche il lavoro i numerosi carrettieri della bassa valle che garantivano il trasporto coi loro carri, trainati dai cavalli, tra Perrero ed i mulini di San Sebastiano e Malanaggio.

In compenso aumenta enormemente il numero dei dipendenti della Società, non solo minatori, ma anche fabbri, segantini, falegnami, muratori, addetti alle teleferiche ed alle centrali idroelettriche, elettricisti, autisti...Tanto che al momento della sua massima espansione la Società impiega in valle quasi 600 dipendenti

Ma, purtroppo, a partire dagli anni ‘60 ha inizio la fase di declino della attività mineraria in valle, prima con l’abbandono dei siti minerari periferici (Maniglia, Malzas, Envie, Sapatlé); poi con la drastica riduzione del numero dei dipendenti, con i conseguenti lunghi e durissimi scioperi, di cui è ancora viva la memoria tra gli abitanti della valle.

La "razionalizzazione" dello sfruttamento delle miniere di talco comporta da una parte la concentrazione dei cantieri di estrazione nella zona di Fontane-Crosetto e dall’altra l’introduzione di notevoli innovazioni tecnologiche: impalatrici meccaniche su rotaia, convogli trainati da locomotori elettrici, perforatrici munite di servo-sostegno, ripiena meccanizzata, adozione sperimentale della fresatrice elettrica Westphalia... Tutte innovazioni intese ad aumentare la produzione riducendo le spese ed il costo della manodopera.

Si giunge così alla fine degli anni ’80 quando alla Società Talco e Grafite Val Chisone subentra la Luzenac Val Chisone, società leader nella produzione mondiale di talco con una quota di mercato del 47%, pari a un milione 200 mila tonnellate annue, di cui 700 mila tonnellate estratte in Europa (Austria, Francia, Italia, Spagna).

Siamo oramai ai giorni nostri. La nuova società adotta moderni metodi di lavoro: le gallerie si ampliano, spariscono i binari e la movimentazione interna ed esterna viene effettuata tutta su ruota gommata, i perforatori vengono montati su jumbo, i grossi lavori di apertura di nuove gallerie vengono affidati a ditte esterne, si apre a Pomeifré una nuova galleria di oltre due chilometri, diametro di cinque metri, accessibile quindi agli autocarri che raggiungono direttamente i cantieri di "coltivazione".

Il numero dei minatori scende ulteriormente...