The Celtic Fake Book
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“The Celtic Fake Book”, Hal Leonard Corporation, 253 pagine, € 23,57

Il termine “fake book” è particolarmente noto ai jazzisti e agli appassionati di jazz in generale: si tratta in sostanza di raccolte di spartiti di brani – di solito i più famosi, quelli che riscuotono il maggior successo tra i musicisti – che ormai da alcuni decenni costituiscono un vero banco di prova per intere generazioni di jazzisti. La più celebre di queste collezioni è l’ormai storico “The Real Book”, conosciuto e stimato dagli appassionati di tutto il mondo.

Sin dall’inizio è risultato evidente che questa formula fosse molto apprezzata, anche e soprattutto dal vasto pubblico dei musicisti dilettanti o semi-professionisti, e di conseguenza nel corso degli anni si è assistito alla pubblicazione di un gran numero di fake-book, che coprono ormai qualsiasi genere musicale. Oggi esistono fake book di pop music, di musica classica (!), di rock, di R&B, di musica latino-americana, di gospel, e la casa editoriale americana Hal Leonard si è particolarmente distinta nella pubblicazione di questi particolari “canzonieri”.

Non è stata quindi una particolare sorpresa l’avere notato, sugli scaffali di uno dei più importanti negozi specializzati in editoria musicale, la verde copertina di “The Celtic Fake Book”, che promette, sin dalla copertina, gli spartiti di oltre 400 brani della musica tradizionale irlandese, scozzese e del Galles.

Ci siamo avvicinati a questo libro, dobbiamo ammettere, con una certa dose di curiosità, dovuta proprio alla presenza di quel “Celtic” nel titolo: è infatti risaputo che in genere i musicisti rifuggono questo termine, preferendone le più appropriate suddivisioni regionali (musica irlandese, scozzese, e così via).

Come prima cosa abbiamo quindi dato un’occhiata alla prefazione, una paginetta didascalicamente intitolata “What is Celtic?”. Bene, se da un lato viene – correttamente – dato conto delle origini comuni di regioni e nazioni che comprendono anche la “spagnola” Galizia e la “francese” Bretagna, d’altro canto poi si finisce per affermare che alla fin fine il termine di musica celtica si può identificare sostanzialmente nella musica tradizionale d’Irlanda, Scozia e Galles, e che quindi sarà questa la materia oggetto del fake book in questione.

Scelta opinabile, si potrebbe obiettare, ma non va dimenticata la nazionalità americana della stessa Hal Leonard: gli americani, è risaputo, non hanno una particolare predilezione per culture musicali troppo differenti dalla propria e da quelle delle proprie origini, ed è altrettanto noto che proprio Scozia e Irlanda (e poco o punto Bretagna e Galizia…) sono ben presenti nei cromosomi di buona parte degli abitanti degli States.

Con questa obiezione di fondo, “The Celtic Fake Book” rimane tuttavia un canzoniere di prim’ordine, secondo la ben nota tradizione Hal Leonard: gli oltre quattrocento titoli, indicizzati sia alfabeticamente che per nazione di origine, ci offrono veramente “il meglio” della musica tradizionale scoto-irlandese (i brani originari del Galles sono solo sei). Una particolare sezione del volume è dedicata alle Irish popular song, intese dai coordinatori della raccolta come brani originari del diciannovesimo e ventesimo secolo, composti per essere suonati all’interno di particolari situazioni musicali (American Tin Pan Alley song).

Particolarmente interessante (e apprezzabile, dal punto di vista della leggibilità) è la disposizione tipografica adottata nell’abbinamento testo-spartito: non va dimenticato che si tratta, nella quasi totalità dei casi, di brani musicali caratterizzati dall’alternarsi di due strofe musicali, e in “The Celtic Fake Book” ognuna delle strofe viene correttamente riportata al di sotto della partitura musicale. Completano il volume una mini “guida introduttiva alla pronuncia del Gaelico” e il consueto quadro sinottico degli accordi per chitarra adoperati.

Un ottimo compendio, rivolto a cantanti e musicisti, dei più famosi brani musicali scozzesi e irlandesi.

 

                                                                                                          Testo di Alfredo De Pietra