Cnò
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Cnó – Arrivano gli Cnó

Il magico mondo delle noci veronesi

Intervista di Alfredo De Pietra

L’album di debutto dei veronesi Cnó (http://www.cnomania.it) ha un merito particolare: riesce a coniugare rigore stilistico e ironia, approccio “filologicamente corretto” e scanzonata goliardia. E non è cosa da poco, se ci pensate un attimo: chissà perché, ma se ci fate caso la musica tradizionale di derivazione irlandese, almeno qui da noi, è sempre stata più o meno ammantata di una certa “seriosità” di fondo da parte di chi la esegue, quasi si trattasse di accademia. E invece no, santo cielo, in fondo non si tratta che di musica popolare, nata per far ballare la gente…ed ecco quindi che la prima piacevole sorpresa di questo Arrivano gli Cnó la si ha fin dalle prime battute della track di esordio, con un coretto scanzonato a base di onomatopeici “parapaparapa..” che introduce una spigliata  e simpatica jig tradizionale. Quasi superfluo specificare che “Parapaparapa…” è anche il titolo del brano in questione, che potete ascoltare sul sampler allegato a questo numero di “Keltika”, insieme a “Trip To Sligo”.

Insomma, un disco diverso dai soliti, simpaticamente differente da quello che ci si aspetterebbe da un disco di musica di ispirazione Irish traditional. E beninteso, la “sostanza”  in questi tre ragazzi (Davide Benini: violino, voce, tin whistle e chitarra; Gianluca De Santi: bodhrán e percussioni; Alessandro “Utopia” Savalli: chitarra, banjo e mandolino) non manca, e l’approccio scanzonato non toglie nulla a una musica sana e divertente suonata con gusto e competenza, né serve a mascherare carenze artistiche di fondo.

Davide Benini ha fatto il punto sulla storia di queste giovani “noci veronesi”:

“Gli Cnó sono nati ufficialmente nel 1999, ma io e Alessandro, per gli amici Utopia, ci conosciamo dalla school band del liceo Galilei di Verona; suonavamo insieme da almeno 4-5 anni prima della nascita degli Cnó, anche se il genere era grunge rock, il che spiega un po' di cose... Abbiamo cercato di mettere insieme un gruppo di musica irlandese per un sacco di tempo, con scarsi risultati; l’unico antecedente degno di riguardo è un concerto non autorizzato in via Mazzini, a Verona, interrotto dopo 20 minuti dall'arrivo dei vigili...Poi ci siamo stufati, e abbiamo fondato il duo Cnó. 

Abbiamo iniziato a mettere insieme il repertorio nell’estate del 1999, e il primo concerto ha avuto luogo per Halloween lo stesso anno presso l’Harp Pub di Verona, destinato a divenire il locale storico delle nostre esibizioni. Nel primo anno di vita del duo abbiamo fatto moltissimi concerti, e siamo anche riusciti a organizzare una session settimanale al Madigan’s di Verona; no profit, solo pinte offerte, ma è stato un successo incredibile, ogni lunedì sera il pub scoppiava di gente. Poi sono stato in Erasmus in Irlanda, a Galway, per un anno, pausa forzata; al ritorno abbiamo affinato il repertorio e siamo ripartiti. Nel 2002 si è inserito gradualmente nel gruppo Gianluca, il terzo incomodo, d'altronde è un bodhránista...”

Ma come mai questo nome?

Cnó” in gaelico irlandese significa “noce”. In tanti ci hanno chiesto il perchè di questo nome, ma ci siamo sempre rifiutati di rispondere. Potrebbe essere perchè ci piacciono le noci, ma allora ci saremmo potuti chiamare anche “pancetta coppata” in gaelico... Il nostro nome è un mistero anche per noi. Stavo giusto pensando di riproporre il concorso "Indovina perchè ci chiamiamo Cnó", presente sul nostro vecchio sito...”

Principali fonti di ispirazione delle noci?

“La prima fonte di ispirazione del gruppo sono stati, senza ombra di dubbio, i primi Dubliners. Ci è capitato fra le mani un loro concerto e, da buoni rocchettari, siamo rimasti colpiti dalla forza della voce di Ronnie Drew e dall’energia anarchica e festaiola della band. Il nostro primissimo repertorio era quasi tutto mutuato dai Dubliners. Poi ci siamo mossi anche in altre direzioni, ascoltando Planxty (forse il nostro gruppo preferito), Bothy Band, Altan, Lúnasa e altre band di traditional music contemporanee. Personalmente, in ambito Irish,  ascolto quasi esclusivamente musica tradizionale in senso strettissimo, cioè album solisti, anche senza accompagnamento. Ascolto principalmente album di violino e di uillean pipes, ma ho anche un debole per l’organetto, specie per Joe Cooley. Fra i violinisti ammiro Martin Hayes e i grandi maestri come Kevin Burke, e l’incredibile Tommy Potts. Ascolto molto i musicisti anziani, Joe Ryan, Paddy Canny, e l’intramontabile Micheal Coleman. Nel modo di suonare dei musicisti “pre-registratore” c’è un rapporto con il tempo completamente diverso; questi musicisti a un orecchio poco allenato sembrano suonare fuori tempo, ma in realtà hanno un controllo del tempo incredibile e personalissimo; l’idea del tempo nella musica contemporanea è molto più piatta, e solo nel jazz, credo, si trova tanta libertà espressiva verso il tempo. Amo moltissimo l'album di Andy Irvine e Paul Brady, credo sia il mio album di canzoni preferito. Ho anche un paio di cd di Joe Heaney, sean-nós duro e puro. Poi ascolto anche rock, jazz, un po' di musica latina, un po’ di musica classica; adoro Vinicio Capossela, Leonard Cohen e Bob Dylan, ma questa è un'altra storia.

Gianluca ama molto i Lúnasa, e soprattutto il bodhránista dei Flook, dal quale ha appreso svariati trucchetti. Nel cd Gianluca si richiama anche a Niall McQuaid, un amico bodhránista di Galway che ha uno stile personalissimo, tutto impostato sui bassi. Utopia, che con noi suona la chitarra, è l’anima rock del gruppo, e suona anche in un gruppo di musica rock-prog, dove fa il percussionista. In ambito Irish, Uto ama molto i Planxty, ed è in quella direzione che il suo suono si sta dirigendo.”

C’è un tono scherzoso sia nel testo del booklet che nella scelta di alcuni brani del disco (“Parapaparapa”, “Arrivano gli Cnò”, “Bagordi e ballonzolii”...); fa parte del vostro carattere, o cos’altro?

“Prima di essere una band, siamo un gruppo di amici che si conoscono da una vita. Ci sono scherzi e battute che ci portiamo dietro da anni e anni. “Parapaparapà” è il modo in cui alcune amiche, che ci seguono dagli esordi, chiamavano il set di “Old John's Jig”. Quando abbiamo iniziato a pensare alla registrazione, Uto se n'è uscito con l'idea di chiamare il set Parapà; di lì a cantare “Parapaparapà” il passo è stato breve. In effetti l’ironia e le buffonate fanno parte del nostro carattere.”

La “noce volante” su un panorama di Verona: ciò significa che in qualche modo vi sentite molto legati alla vostra città? Che città è, dal punto di vista della risposta al genere musicale che suonate?

“La copertina è nata come citazione scherzosa di un album rock anni Settanta; Gianluca è un grafico, e si è divertito parecchio a impostare il layout. Il Ponte di Castel Vecchio è la nostra sala prove storica; è lì che abbiamo cominciato a mettere insieme il repertorio irlandese. Certo, non si può suonare quando piove, ma il panorama è fantastico. E non si paga nulla. Per quanto riguarda Verona, bisogna distinguere la gente e le istituzioni. La gente ha sempre accolto la nostra musica con entusiasmo, e ci siamo esibiti nei contesti più diversi: dalle piazze, ai pub, ai raduni di motociclisti, ai circoli. Purtroppo il Comune non è altrettanto entusiasta della musica; le norme vigenti, e soprattutto la prassi della (mancata) concessione dei permessi, stanno uccidendo la musica in città. È praticamente impossibile suonare a Verona, in un locale; i gestori, anche quelli di buona volontà, si trovano di fronte a un mare di burocrazia, e con i controlli rischiano multe salatissime. Poi Verona condivide il problema di molti centri storici italiani: il centro sta morendo, i veronesi non ci abitano più, e arrivano i nuovi ricchi con la puzza sotto il naso, che vogliono il silenzio di tomba dal tramonto all'alba. La città sta diventando un museo, ma rischia di diventare un mausoleo.”

Se vi doveste autodefinire, che termine adoperereste? Un gruppo di musica celtica? Di musica irlandese?

Qui rispondo per me. Credo di essere un purista intransigente di larghissime vedute. Potrei rispondere che suoniamo musica irlandese, o che suoniamo folk rock; in entrambe le risposte c’è un po’ di verità. La musica tradizionale irlandese, dal mio punto di vista, è quella delle session e dei céilí, musica suonata solo per divertirsi e per i ballerini. La musica tradizionale, quella vera, sopravvive solo nel contesto di una comunità; che si tratti delle comunità irlandesi o della comunità dei musicisti, la musica tradizionale è, da un certo punto di vista, un fatto privato della comunità. Il cerchio della session è chiuso. Quando sei su un palco, quando suoni per un pubblico, la musica cambia, necessariamente. Anche i gruppi portabandiera della musica tradizionale, come la Bothy Band, o i Planxty, sono profondamente influenzati dal rock, e suonano per fare uno spettacolo. Ma gli stessi musicisti, in una session, di certo suonano in modo diverso. Quando suoni in una band la musica tradizionale cambia, per necessità, perchè cambia il contesto. Quando suono in camera mia, o in una session, cerco di suonare musica la più tradizionale possibile; ma per suonare in pubblico mettiamo da parte gli scrupoli: come avrà sentito dal cd, noi ci prendiamo tante libertà, e d’altronde suoniamo per divertirci, e soprattutto per divertire il pubblico. Per quanto riguarda la musica celtica, bisognerebbe prima capire chi erano i Celti, quanto siano legati alla cultura gaelica (il legame non è scontato), e quanto la musica tradizionale irlandese abbia ereditato dai celti. Le teorie sui Celti sono rispettabilissime di per sè, ma il loro legame con la musica irlandese è stato stabilito dall’elite culturale dell'Irlanda di fine Ottocento, che cercava una mitologia per contrastare la mitologia del colonialismo britannico. Dire che la musica irlandese è musica celtica è come dire che gli stornelli romani sono musica latina. L’etichetta “musica celtica” ha senso in ambito commerciale, per piazzare i cd negli scaffali dei negozi; ma io credo che la musica di Andy Irvine e Paul Brady somigli molto più a quella di Bob Dylan che a quella di Hevia.”

E secondo voi, qual’è attualmente lo spazio per questa musica in Italia?

“Io credo che la musica irlandese in Italia goda di ottima salute. Spesso ai concerti, nostri o altrui, sento gente che si lamenta della poca diffusione della musica irlandese in Italia. Non mi trovo assolutamente d’accordo: siamo in Italia, mica in Irlanda, di musica irlandese ce n’è eccome; d’altronde parliamo di una tradizione che non è autoctona. In più, negli ultimi anni, si incontrano nuovi musicisti giovani di grandissimo talento, e saldamente ancorati alla tradizione; la musica irlandese, anche in Italia, scoppia dii salute. I legami col celtismo hanno promosso moltissimo la diffusione della musica, ma al contempo hanno avuto l’effetto collaterale di confinare questo tipo di musica all'ambito dei festival celtici; gruppi come i Lúnasa dovrebbero avere l’opportunità di farsi sentire anche nei teatri e nelle piazze, si tratta di musicisti di un talento mostruoso, al di là del genere.”

Come è stato accolto il vostro album di esordio, e che programmi avete per il futuro?

“Mi piacerebbe rispondere “stiamo pensando al prossimo disco”, ma non è così. L'album è uscito da un paio di mesi, ma non abbiamo ancora avuto l’opportunità di fare un lancio in grande stile; come accennavo, suonare a Verona non è facile; mi piacerebbe fare un bel concertone per presentare il cd nella nostra città. Ora vogliamo continuare a distribuire il nostro Arrivano gli Cnó, ci divertiamo un sacco a fare concerti; ma dobbiamo anche introdurre nuovi brani, e migliorare. Ultimamente abbiamo lavorato un po’ sul suono e sulle armonie; stiamo cercando di ottenere un suono compatto e più ricco; “The Rocky Road to Dublin”, presente anche sul cd, è un pezzaccio da Dubliners, ma il nostro arrangiamento la fa respirare, la “allarga”: è in questa direzione che vogliamo andare. Comunque può star certo, se ci salta il matto e ci viene in mente di fare un nuovo album, voi di “Keltika” sarete i primi a saperlo.”