Afro Celt Sound System
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Afro Celt Sound System

Afro Celts – Seed

 

Sono passati sette anni da quando gli Afro Celt Sound System hanno iniziato la loro scalata al successo grazie a una sintesi innovativa tra ritmi africani, armonie tradizionali irlandesi e musica elettronica: un mix esplosivo e ricco di impatto, che ha reso per molti versi questa band il fenomeno musicale più interessante della musica celtica di quest’ultimo decennio.

Gli Afro Celts ritornano oggi sulla scena discografica con un nuovo album, Seed, un nuovo nome (il “Sound System” è scomparso) e un nuovo approccio, se possibile ancora più innovativo.

La scelta di cambiare nome non è stata casuale: stando alle dichiarazioni del chitarrista-produttore Simon Emmerson, semplicemente la band si è resa conto che quel “sound system” non rispecchiava più la musica prodotta, sempre più distaccata dall’elemento elettronico (loop e campionatori vari): gli Afro Celts di Seed sono molto più attratti dall’uso di strumenti “veri” (ci si passi il termine…) e dalla sfida di una composizione “organica” rispetto al passato.

I musicisti sono cresciuti, pare voglia dirci questo quarto album, e proprio quando tutti attingono a piene mani ai loop “etnici”, ecco svilupparsi il desiderio di staccare, e testimoniare su disco tutti gli anni passati a suonare dal vivo, a interagire tra musicisti, invece che con le macchine.

Lo stesso nome Seed, ovvero “seme”, sta proprio a indicare una vera e propria rinascita, l’origine di qualcosa di nuovo, chiaro nelle intenzioni del gruppo e che ci rende la musica degli Afro Celts, se possibile, ancora più “simpatica”.

Spesso ci è capitato di affrontare l’argomento Afro Celt Sound System con i musicisti tradizionali irlandesi, e quasi sempre abbiamo colto nei commenti, al riguardo, un misto di incomprensione, insofferenza e dileggio, sentimenti legati proprio ad un uso, giudicato eccessivo, dell’elettronica e delle campionature. Chissà che il rinnovato approccio non contribuisca a smorzare i toni nei loro confronti…

Gli Afro Celts sono cresciuti, quindi, e anche i rispettivi ruoli dei singoli musicisti si vanno rimodellando: la chitarra di Simon Emmerson “si sente” di più; N’Faly Kouyate, “il Jimi Hendrix della kora” contribuisce in modo più determinante alla sonorità complessiva, le percussioni (vere) di Johnny Kalsi hanno il sopravvento sulle drum machine, e anche il basso è reale, e la presenza di un grande bassista come Jah Wobble la dice lunga sulle nuove intenzioni della band: il risultato di tutto ciò è l’album più “musicale” degli Afro Celts, un disco che, per stessa ammissione dei musicisti che compongono il gruppo, poteva nascere solo oggi, dopo quasi dieci anni di musica insieme.

Le innovazioni, tuttavia, non finiscono qui: pur mantenendo la consueta forte impronta di base di musica africana e irlandese (ben rappresentata dai fiddler Martin Hayes ed Eileen Ivers), si avverte anche lo sforzo di aprirsi verso nuove culture musicali: non a caso tra gli ospiti si segnalano il chitarrista canadese di flamenco Jesse Cook e la vocalist brasiliana Nina Miranda.

Un’ultima cosa va segnalata, a proposito di questo disco: nei tre album precedenti si notava la presenza di cantanti “di peso” come Peter Gabriel, Sinead O’Connor e Robert Plant, scelta abbandonata in Seed. Il motivo di questa decisione? Stando alle affermazioni del keyboardist James McNally, gli Afro Celts si sono resi conto del fatto che la presenza di voci così importanti e riconoscibili concentrava l’attenzione dell’ascoltatore proprio su questi personaggi, a discapito della musica della band. Anche una riflessione del genere non fa altro che confermare l’accresciuta auto-consapevolezza, e in definitiva la crescita artistica, della band sicuramente più rivoluzionaria della scena musicale che ha a che fare con il mondo della Celtic music.

 

                                                                                                          Testo di Alfredo De Pietra

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Afro Celt Sound System - Anatomic

 

E così anche gli “afrocelti” sono arrivati al loro decimo anno di attività. Simon Emmerson, Martin Russell, Iarla O’Lionaird e James McNally ritornano per questo loro Anatomic (quinto album del gruppo) al loro nome originario, accantonato per motivi abbastanza fumosi in occasione del precedente Seed: allora si era deciso di togliere “Sound System” dal nome della band.

La sostanza comunque cambia poco: gli Afro Celt Sound System hanno raggiunto nel corso degli anni vette di popolarità impensabili per un gruppo di ethno-fusion, e il motivo sta nella capacità di questi musicisti di organizzare un sapiente mix di elementi apparentemente inconciliabili tra loro, ma che nelle loro mani riescono a prendere una coerenza sbalorditiva.

Anatomic è da questo punto di vista album che ricalca in grandi linee i precedenti dischi della band: sognanti composizioni che vedono protagonista l’eterea voce di Iarla O’Lionaird si alternano a furiosi, infuocati brani iper-ritmati con percussioni e uillean pipes a farla da padrona (la title-track e la scatenata “Mojave” ad esempio). I tanti appassionati del genere, insomma, non rimarranno per nulla delusi: anche in Anatomic si celebra l’unione della world music con il pan-celtismo, per giunta con sintetizzatori, loop e drum-machine a far da testimoni. È forse un album che stenta a decollare e che talvolta dà la sensazione di “già sentito”, ma che comunque pian piano ti prende, anche se siete allergici a synth e percussioni africane. Scommettiamo che, come per tutti i dischi precedenti degli Afro Celts, questi brani li sentiremo in gran copia come sottofondo di servizi e pubblicità televisive, nei prossimi mesi?

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