INTRODUZIONE
La nostra città è una macchina
complessa; il suo funzionamento permette lo svolgimento di molte attività
umane (abitare, lavorare comunicare, spostarsi...) ad un gran numero di
soggetti diversi; queste attività si svolgono in spazi costruiti
ed aperti, creati nel tempo per assolvere queste funzioni.
La grande espansione della città ha messo in crisi l'equilibrio
del sistema: la macchina funziona a fatica, ha bisogno di sempre più
energia e non è in grado di controllare i prodotti di scarto del
suo funzionamento, così tra alterazioni ambientali e relazionali
la città diventa invivibile.
La città è formata prevalentemente
da strade ed edifici. La superficie è quindi costituita da materiali
duri, impermeabili e cattivi conduttori di calore; di giorno si riscaldano
rapidamente e la notte riemettono, sotto forma di raggi infrarosso il
calore accumulato; oltre a ciò v'è da aggiungere la sommatoria
di tutti i processi di combustione che vi avvengano il cui risultato globale
è l'innalzamento della temperatura atmosferica (anche 2-3°C)
rispetto alla campagna. L'impermeabilità delle superfici contribuisce,
invece, ad aumentare l'aridità dell'aria poiché solo una
minima parte delle precipitazioni raggiunge il suolo, essendo captate
e smaltite dalla rete fognante; la mancanza d'acqua nel suolo limita l'evaporazione.
Questi fattori determinano un microclima più caldo e arido delle
aree circostanti tanto che le città vengono definite isole di calore
urbane.
La vegetazione in questo caso svolge un'azione di termoregolazione, dovuta
al processo di evapotraspirazione dell'acqua dalle piante che, per passare
dallo stato liquido a quello gassoso, sottrae calore all'ambiente circostante.
Oltre a ciò la vegetazione intercettando una quota della radiazione
solare, contribuisce a mitigare la temperatura dell'aria. Anche durante
la notte, infine, la vegetazione lavora per l'ambiente, assorbendo le
emissioni di radiazioni termiche (infrarosso) dalle superfici irraggiate
durante il giorno.
Un'estesa struttura urbana con tessuto edificato compatto e senza interruzioni
verdi presenterà, quindi, accentuate modificazioni climatiche e
problemi di salubrità.
Per quanto riguarda l'ambiente atmosferico,
la causa principale delle alterazioni è costituita dalle combustioni,
alla base di molti processi produttivi e attività umane. Bruciando
combustibili si immettono nell'atmosfera sostanze chimiche con minore
o maggiore potere inquinante. Le sostanze più comunemente emesse
sono gli ossidi di carbonio, di zolfo, di azoto, gli idrocarburi incombusti,
i metalli pesanti e le particelle sospese. Inoltre il pulviscolo, formato
da minuscoli granelli della dimensione di frazioni di millimetri, provoca
danni all'uomo depositandosi nei polmoni e provocando allergie.
La vegetazione svolge un'azione di filtro biologico in quanto assorbe
gli inquinanti gassosi attraverso le vie stomatiche e i metalli pesanti
attraverso il suolo, il ritidoma oppure direttamente per assorbimento
fogliare. Quando la sostanza inquinante penetra nella pianta viene assimilata
e metabolizzata (l'anidride solforosa viene infatti trasformata in solfato).
Altro meccanismo è costituito dalla captazione e deposizione di
particelle sospese sulle foglie. Oltre a questi meccanismi la semplice
produzione di ossigeno fotosintetico esercita una diluizione degli inquinanti.
Tutto ciò, in vero, è valido sino ad un limite, ad una soglia
massima oltre la quale le piante subiscono danni irreversibili e perdono
ovviamente ogni capacità di filtraggio.
L'inquinamento dell'acqua superficiale e sotterranea
è prevalentemente dovuto alla immissione di liquami di origine
industriale e urbana: si tratta di sostanze di natura organica o inorganica,
sia biodegradabili che non. Le quantità elevatissime che vengono
immesse nell'ambiente acquatico impediscono lo svolgersi dei processi
naturali di autodepurazione (biodegradazione-mineralizzazione), rendendo
così impossibile lo svolgimento dei cicli biologici.
La vegetazione dell'ambiente ripariale costituisce un validissimo filtro
contro le sostanze tossiche provenienti dalle aree circostanti per dilavamento
delle acque. Quella acquatica contribuisce invece all'ossigenazione e
favorisce la crescita e lo sviluppo di organismi: batteri, muffe, protozoi,
larve di insetti in grado di degradare le sostanze organiche sino alla
loro completa mineralizzazione e biodegradazione completa.
L'inquinamento del suolo, cioè l'alterazione
del suo equilibrio chimico-fisico e biologico, è causato dall'apporto
di sostanze estranee, quali prodotti chimici, organici ed inorganici,
derivanti da attività agricole e zootecniche e da attività
industriali e civili. Un suolo che abbia una quantità eccessiva
di tali sostanze perde la sua capacità autodepurante e conseguentemente
la sua fertilità naturale, aumentando inoltre il rischio di inquinamento
delle falde d'acqua sotterranee.
Il sistema suolo-pianta garantisce la depurazione, attraverso la rimozione
delle sostanze estranee in eccesso mediante l'assorbimento diretto, mentre
la microflora ed i microrganismi svolgono un'azione di biodegradazione.
Non meno importante è
nelle città, l'inquinamento acustico prodotto dalle attività
industriale e dal traffico veicolare che influisce sul sonno e al di sopra
di certe soglie (70 dB) provoca squilibri a carattere psico-fisico. La
vegetazione può, se correttamente disposta, con fasce di almeno
50 metri di larghezza e 15 di altezza, ridurre sino al 50% la sensazione
del rumore; pertanto sarebbe opportuno che attorno alle sorgenti dei rumori
(grosse strade e fabbriche) vengano lasciati ampi spazi di separazione
e opportunamente attrezzati a verde.
POSIZIONE GEOGRAFICA
La zona oggetto di indagine è quella
dell'abitato di Manfredonia e delle sue frazioni. L'abitato è posto
alle pendici meridionali del Gargano con un territorio comunale che si
estende dal mare sino a circa 600 m di altitudine della zona montana.
Il paesaggio è caratterizzato dalla presenza di gradoni elevantisi
dal mare nel rilievo garganico; nei pressi dell'abitato la costa, irta
di scogli scende a mare a mantello terminando a ripa; la riviera a Sud
dell'abitato è caratterizzata, invece, da spiagge sabbiose, originatesi
da una duna litoranea che concludeva una laguna interna ancora presente
con relitti di paludi in alcuni preziosi lembi del territorio.
LA STRUTTURA GEOPEDOLOGICA
I movimenti tettonici che hanno portato all'emersione
del basamento mesozoico dell'intera Puglia, Gargano compreso, si sono
verificati dal Cretaceo superiore sino al tardo Miocene. Il mar Dauno
occupava l'intera zona del Tavoliere tra il Gargano e l'Appennino. Successivamente
nel Pliocene si formava lo sbarramento dunale da Manfredonia a Barletta
ed il mare diveniva laguna e lentamente si colmava dei sedimenti provenienti
dalle colline interne, sino ad essere completamente redenta dalle acque
nel Pleistocene; erano escluse le paludi della zona più bassa,
che sino ai nostri giorni hanno formato parte integrante del paesaggio.
Nel territorio sipontino possono quindi distinguersi diverse zone.
La zona montana, formata da una zolla del Cretaceo, costituita da calcari
bianchi-grigi compatti, messi a nudo durante l'emersione. Questi calcari
sono in parte ricoperti da uno strato di terre rosse, variabile da pochi
centimetri a qualche metro; terre di buona fertilità sebbene tenaci
e compatte.
La zona pedemontana, in cui si pone prevalentemente l'abitato di Manfredonia,
è formata da calcari oolitici, a grana fine, del Cretaceo inferiore
e da affioramenti di calcari sabbiosi giallastri del Pliocene (tufi).
Le falde della zona montana sono formate da alluvioni recenti a nord-ovest
dell'abitato e da brecce cementate a calcari a nord-est.
La zona piana del Tavoliere è divisa in tre parti: interna, bassa
e litoranea. La parte interna è formata da sabbioni giallastri
pliocenici coperti da alluvioni recenti mentre le altre due parti, formatesi
nell'Olocene, sono costituite da depositi recenti di materiale alluvionale
e sabbie litoranee. Nella zona interna le terre sono prevalentemente argillose,
nella zona bassa sono sabbiose coperte da argille recenti, mentre, nella
zona litoranea sono formate da sabbie levigate (arenili).
Infine è da sottolineare la presenza diffusa di terreni salsi nella
zona bassa del Tavoliere e lungo la zona litoranea, associati sebbene
distinti ai residui acquitrinosi presenti.
Da analisi chimiche svolte su terreni agrari della zona pedemontana, limitrofi
all'abitato di Manfredonia (strada per S. Giovanni Rotondo), si è
riscontrata una reazione subalcalina, buona capacità di scambio
cationico, buon contenuto di sostanza organica, basso contenuto di azoto,
discreto contenuto di fosforo e potassio assimilabile, assenza di calcare
attivo; la granulometria è argilloso-limosa con scheletro abbondante.
IL CLIMA
Nell'ampio dominio del clima mediterraneo
esistono numerose sottoregioni climatiche, causate dalle differenti posizioni
geografiche ed orografiche.
Per quanto attiene al clima di Manfredonia in particolare si è
fatto riferimento ai dati della stazione termoudometrica di Manfredonia-Bonifica
di Siponto.
La piovosità è estremamente irregolare con minimi estivi
e massimi autunnali, il valore medio annuo è di circa 450 mm che
la porta ad essere la zona più arida dell'Italia continentale.
In base al raffronto con il valore dell'evapotraspirazione potenziale
il deficit idrico annuo è di circa 350 mm.
L'andamento annuo delle temperature è invece più regolare,
grazie alla presenza mitigatrice del mare: le medie delle temperature
massime e minime sono state nei periodi analizzati di 20.7 e 9.6 °C,
mentre la temperatura media annuale è di 15.2 °C. I valori
massimi e minimi riscontrati dal 1921 al 1972 sono stati 39.2 e -6.2 °C,
con solo 21 giorni di temperatura con minime inferiori o uguali allo zero
(e di poco).
La presenza dei venti è invece creatrice di condizioni spesso avverse;
il versante meridionale del Gargano è soggetto, infatti, in estate
allo Scirocco ed al Libeccio che investono la città come venti
caldi e secchi, innalzando le temperature e l'evapotraspirazione. Azione
opposta svolge la Bora; questa proveniente da Nord, provoca abbassamenti
di temperature e abbondanti precipitazioni (nevose in quota).
In Fig. 1. sono riportate graficamente le quantità medie mensili
di pioggia; dal relativo grafico è possibile dedurre l'andamento
delle precipitazioni nel corso dell'anno. La suddivisione stagionale indica
nel semestre autunno-inverno quello più piovoso con un massimo
nel mese di novembre con 62 mm. Una sensibile diminuzione della piovosità
si verifica nella stagione primaverile cui segue un periodo estivo decisamente
scarso di piogge con un minimo nel mese di luglio con circa 14 mm.
Fig. 1 - Precipitazioni medie mensili
Pertanto, la zona è caratterizzata da un regime pluviometrico tipico
delle regioni mediterranee. In Fig.
2. è raffigurata graficamente la frequenza mensile delle giornate
piovose; il grafico conferma che l'autunno è interessato da fenomeni
temporaleschi di breve durata ma di notevole intensità.
Fig. 2 - Frequenza mensile delle giornate piovose
In Fig.3. è illustrato l'andamento medio mensile delle temperature.
La media annua delle temperature rimane intorno ai 14,5°C; il mese
più caldo è luglio con una temperatura media di 23.7°C,
e quello più freddo gennaio con 7.1° C. Temperature minime
al disotto di 0°C durante l'inverno e massime prossime a 40°C
in estate sono state registrate solo occasionalmente.
Fig. 3 - Temperature medie mensili
Per una migliore definizione delle caratteristiche climatiche dell'area
in esame è stato calcolato il bilancio idrico secondo il metodo
di THORNTHWAITE basato, essenzialmente, sul calcolo dell'evapotraspirazione,
cioè della quantità d'acqua, già precipitata ed in
parte infiltrata, che evapora per ragioni fisiche e che viene dispersa
dai vegetali per ragioni fisiologiche.
Fig. 4. Bilancio idrico
LEGENDA
- T temperatura media mensile in °C
- P precipitazioni mensili (mm)
- ETP evapotraspirazione potenziale (mm)
- PAP perdita di acqua cumulata
- ST riserva idrica della copertura (Storage)
- CxST variazione della riserva (Changes in Storage)
- ETR evapotraspirazione reale
- D deficit
- S surplus
Indice di aridità =
100 * D / ETP = 38.78 %
Indice di umidità =
100 * S / ETP = 15.74 %
Indice di umidità globale
= 100 *( S - D) / ETP = -23.04 %
Per il calcolo, è stata
attribuito al terreno una capacità di ritenzione di 100 mm. Il
bilancio idrico ha evidenziato che nella zona in esame la siccità
si concentra nel periodo da aprile ad ottobre con un deficit medio di
alimentazione di 436 mm, mentre il surplus idrico si verifica nel periodo
novembre-marzo con un'eccedenza media di 123 mm.
Dal calcolo del bilancio idrico e dall'indice di umidità globale
(-23,04%), secondo Thornthwaite, la zona in esame è da considerarsi
a clima subarido.
In Fig. 5. è riportato il diagramma del bilancio idrico; in esso
l'inizio e la fine dei periodi di eccedenza, di deficit e di ricostituzione
della riserva sono determinati dall'intersezione delle curve delle precipitazioni,
dell'evapotraspirazione potenziale e dell'evapotraspirazione reale.
Fig. 5 - Diagramma del bilancio idrico.
La ventosità è caratterizzata dalla frequente presenza di
venti di forte intensità: tramontana in inverno e favonio in estate
provocano fortissime evaporazioni con danni alle colture. Eccezionale
è la caduta di neve e grandine; mentre è spesso presente
in primavera la nebbia di provenienza marina.
Fig.6 - Altri indici climatici
per la zona di Manfredonia
Dall'analisi degli indici si può stabilire che il territorio appartiene
in linea generale al Piano Mesomediterraneo con ombrotipo secco/subumido,
anche se si presenta ai limiti di questa tipologia per una minore oceanicità,
per le precipitazioni totali e la temperatura media annua minore. Le fasce
montane e pedemontane appartengono invece al Piano Collinare con ombrotipo
subumido.
PRESENZE BOTANICHE ED USO
DEL SUOLO
Le millenarie pratiche agricole effettuate
nella zona dell'abitato hanno perlopiù distrutto ogni residuo delle
antiche foreste che dovevano coprire la regione e un'analisi delle forme
botaniche spontanee è difficile operazione, essendo state le piante
trattate in base al loro utilizzo economico, distrutte o ampliate se inutili
o economicamente sfruttabili.
Tra le conifere la specie più rappresentativa è il Pinus
Halepensis seguito da esemplari di Cupressus Sempervirens, Arizonica e
Macrocarpa, queste due ultime specie sono di importazione . Infine il
Pinus Pinea presenti con esemplari isolati vicino a vecchie masserie.
Tra le latifoglie la più diffusa è l'Ailanthus Glandulosa
specie esotica che si sta diffondendo da nuclei presenti nell'abitato
di Manfredonia su substrati poveri.
Altre specie presenti sono la Robinia Pseudoacacia, l'Ulmus Campestris
e l'Eucaliptus sp. che provengono però da piantagioni eseguite
lungo le strade.
Oltre a queste specie sono state riscontrate anche alcuni esemplari di
Salix sp., Popolus Alba, Ceratonia Siliqua, Pistacia Terebinthus e il
Perastro (Pyrus amigdaliformis).
Tra le colture arboree che caratterizzano l'ambiente sono sicuramente
gli oliveti, intercalati spesso da mandorleti, mentre interessanti sono
i ficodindieti situati ai margini della città.
Nei pressi di diverse masserie sono coltivati ad uso familiare singoli
esemplari di Morus sp., Ficus Carica, Laurus Nobilis e Punica Granatum.
Su ampi tratti di terreno superficiale si sviluppa una steppa con predominanza
di graminacee quali la Cerere (Aegilops sp.), il Lino delle Fate (Stipa
capensis), i Sonaglini (Briza sp.) ed in genere piante spinose o velenose
che prendono il sopravvento a seguito del pascolo intensivo e selettivo
degli ovi-caprini come i Cardi (Carlina sp., Carduus sp. Cirsium sp.),
gli Asfodeli (Asphodelus aestivum e Asphodeline lutea), la Scilla (Scilla
marittima) e la Ferula (Ferulago campestris) le rare Orchidee i Muscari
e le Centauree. La gariga ridotta a poche zone nelle valli presenta tra
gli arbusti il Paliurus spina-christi, e alcuni suffrutici quali il Salvione
(Phlomis fruticosa), lo Gnidio (Daphne gnidium L.) e l'Asparago pungente
(Asparagus acutifolius). Altri arbusti presenti sono il Pistacia Lentiscus
a formare caratteristici cuscini sferici, l'Olea Oleaster, il Capparis
Spinosa e l'Opuntia Ficus-Indica.
Questo tipo di vegetazione si inquadra nella associazione fitosociologica
Hyparrhenietum hirto-pubescentis (A. & O. Bolòs & Braun
Blanquet 1950) della classe Lygeo-Stypetea (Rivas Martinez 1978) ed identifica
l'habitat "percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei
Thero-Brachypodieta". Gli hyparrhenieti sono stati dichiarati habitat
prioritari dalla Direttiva 92/43/CEE in quanto ricchi di specie perenni
e considerati come primo stadio di degradazione della macchia a mirto
e lentisco. Sono formazioni vegetali estremamente ricche di specie e rappresentano
veri e propri "serbatoi" di biodiversità. Ovviamente
per il plurimillenario uso agro-pastorale del suolo non c'è più
traccia del bosco climax di sclerofille sempreverdi, mentre esistono zone
significative a steppa e gariga. Le
specie censite sono caratteristiche di ambienti a clima caldo-arido, termofile
ed eliofile. Sotto l'aspetto dell'adattamento alla stagione più
avversa (l'estate), le essenze presenti appartengono per la maggior parte
alla categoria delle Terofite, Emicrittofite e Geofite. Complessivamente
rare sia le Camefite (frutici e suffrutici) che le Fanerofite (arbusti
e alberi).
Alla stregua delle analisi eseguite
si ritiene suddividere l'area in diversi comprensori con altrettanti tipi
vegetazionali, tra di loro accomunati da una specie comune il Leccio che
definisce la classe fitosociologica Quercetea ilicis.
1) Partendo dal piano montano è possibile definire quale associazione
tipica l'Orno-Quercetum ilicis (Lecceta ad Orniello) che trova nella zona
montana il limite superiore e che qui si incontra e mescola con una associazione
limitrofa con specie spogliante quale l'Orno-Quercetum pubescens (Roverella)
che fa parte dei querceti misti spoglianti più termofili. Le due
associazioni presentano una sinecologia simile in quanto si sviluppano
in zone collinari più fresche ed umide ma con chiaro periodo siccitoso
estivo; la differenza fondamentale è nell'esposizione dei versanti
delle colline (nord-sud) e nella profondità del suolo essendo la
lecceta ad habitus più xerofitico. Specie comune alle due associazioni
è il Fraxinus ornus. La Lecceta ad Orniello scende dal piano montano
ed abbraccia sicuramente tutta la fascia pedemontana sino al Torrente
Candelaro. Le specie arbustive che fanno da contorno floristico sono:
Rosa sempervirens, Asparagus acutifolius, Myrtus communis, Daphne gnidium,
Calicotome spinosa, Teucrium flavum, Phillyrea angustifolia,Lonicera implexa
Erica arborea, Arbutus unedo, Pistacia terebinthus, Pistacia lentiscus,
Rhamnus alaternus, Juniperus phoenicea, Carix distachya, Olea oleaster,
Viburnum tinus, Ceratonia siliqua. La presenza delle diverse specie differisce
sia spazialmente che temporalmente in relazione allo stadio di successione
ecologica dell'ecosistema. Difatti si parte dalla gariga, per passare
alla macchia e quindi alla foresta sempreverde o viceversa per azione
del fuoco e/o del pascolo.
2) Nello scendere verso la pianura aumenta la termofilia dell'associazione
e si passa al Viburnum-Quercetum ilicis mentre nelle zone ancor più
aride all'Oleo-Ceratonion. In quest'area è notevole la presenza
di Pinus halepensis. Addentrandoci verso l'interno del Tavoliere è
presente qualche relitto di bosco planiziale con Quercus virgiliana o
troiana che fanno riferimento di nuovo al querceto misto termofilo. L'area
in cui si osservano queste associazioni è l'area del Tavoliere
e della linea di costa laddove non è presente una falda salmastra.
3) Particolare invece sono gli ecosistemi costieri su duna sabbiosa e
delle retrostanti paludi che presentano perennemente falde superficiali
ed acque affioranti salmastre. La classe di riferimento è la Nerio-tamaricetea
ma la specie arborea è la Tamarix africana, che forma estesi boschetti
a portamento arborescente con corteggio di vegetazione alofita e psammofila.
4) Ultima fascia è quella ripariale che si trova nelle golene e
nei canali dei fiumi che attraversano in nostro territorio: Candelaro,
Cervaro, Carapelle e Ofanto, dove è possibile trovare acqua dolce
anche in estate. In queste situazioni la classe di riferimento è
ancora la precedente Nerio-tamaricetea, ma in questo caso le specie caratterizzanti
sono diverse e vanno potenzialmente dal Platanus orientalis alla Tamarix
gallica e africana, Vitex agnus-castus; nella stessa area è possibile
trovare mescolanze con Salix pedicellata ed Alnus glutinosa.
Dott. agronomo Alfredo De
Luca |