Chicche da leggere…
di Carlo Maria Alfaro
Novella simbolica o onirica o dell’inconscio rivelato
L’indiano TAGO-KAAL-TEI-BO
(colui che "sapeva" perdersi )
Fuori
all’esterno
la polvere meschina
danza
ed anche le foglie
come ogni cosa che "sa" lasciarsi portare
buttano il capo all’indietro
su un cuscino di vento.
Un vetro
separa la mia grotta
trasformata in galera
dalla vita.
Mi manca tanto
l’esser materia cosciente
oh bello. bello
aprirsi le costole del petto
come due sportelli
il vento lasciare entrare nel corpo
di nuovo luogo aperto e spaziale
privo di segrete nicchie
dove viscida
in grumi
si raccoglie
la paura.
Domande ai felici
Ma dell’angoscia
mai nessuno canta ?
Solo dei candidi
e grandi uccelli ?
O di amori stroncati
o ricordi
o futuro
si canta ?
Di questo lento
e nero catrame
che brucia ogni poro dell’anima
di questa voglia
di non esistere
e d’esser ciechi e sordi
e senza caldo e freddo
d’aver paura di niente
terrificati d’esser vivi
mai si canta ?
E per il tempo usato
a fissare il vuoto
con il timore seppellito in petto
che uno scoppio improvviso
lo riempia
di qualcosa o qualcuno
mai nessuno canta ?
Agli opposti patiboli del cuore
Cadon le teste rosse
D’amore e non amore
Nessuno si è pentito
Lungo i sentieri
Silenti
Di taciute parole.
Nessuno ha tratto in salvo
dai dolenti gorghi del sangue
i desideri asfissiati dal convivere col mondo.
Ciarpame di diversa natura
Mi rende più facile il morire
Non passerò attraverso l’abbandono della felicità
Non dovrò filtrare ricordi apparecchiati per l’addio
approdato senza gomene
nessuno mi ha trattenuto
da sempre infinitamente libero.
Oshanna oshanna
Tripudiano gli steli del canneto
Per il fastidio del vento caldo
Venuto a cremare
Anche l’ultima calma
Come potrò giustificare d’aver perso la vita
Come un mazzo di chiavi ?
Chi mi accuserà
Chi mi difenderà ?
O vincerà di nuovo
Il predominio dell’assenza
Torsolo di privilegio
Per chi ha finito le unghie
Ed il legno.
Sempre si arriva
a un punto
in cui si narrano storie
o si ordina il conto.
Si guarda il mondo
con gli occhi stretti dei ciechi
ma stavolta è un tramonto,
abbagliante.
Il Rito degli Spergiuri
vorrà l’aspetto solenne
per l’ultima offerta
al Dio di chi soffre.
E come i lupi
offriremo il collo
e la fede si muterà in disperazione
per gli azzannati.
La sola gioia
è per queste stimmate di sogni
che mi bucano l’anima.
Novella simbolica o onirica o dell’inconscio rivelato
Del Palazzo delle Tre Torri + Una
della serie TAXIDREAMS la n.3
Erano 73 le formiche che andavano in su e 49 le formiche che andavano in giù.
Probabilmente, per scendere, servivano meno formiche di quante non ne servissero per salire.
L’enigma che mi torturava da più di mezz’ora, e Dio solo sa quanto poco basti per torturarmi o per crearmi un’enigma, era capire come potesse essere il loro numero variabile in funzione della direzione.
Ma questo pensiero, che nasceva da un osservare senza premere sul pedale del tempo, melanconico, sdraiato di traverso al posto di guida, sghimbescio come in realtà sono anche dentro, con lo sportello semispalancato ed i piedi poggiati al finestrino, le mani dietro la testa, faceva di me una creatura felice, perché mi sottraeva ad un’improbabile angoscia per l’aumento del gasolio o della posizione in classifica della Fiorentina.
Dalla area di sosta del taxi dominavo tutta Porta Romana e abbandonate le formiche con tutti i loro dannati problemi organizzativi, stavo ricostruendo storicamente la piazza, con particolare attenzione al periodo del tram a vapore.
Quello che andava all’Impruneta.
Avevo già risistemato le verghe d’acciaio, tolto quella stupida statua che sembra la pubblicità "per un insostenibile mal di testa", avevo disposto gli omini in costume d’epoca, come in un presepe dei Fratelli Alinari, quando una vocina sommessa, rimbalzando sul parabrezza, mi trasse dalla mia attività:
- Disturbo ?
Cercai di darmi un contegno, se possibile, tossicchiando e riassumendo una positura decente.
- Certo che no ! Ci mancherebbe altro...
- Sa ... è forse da più di dieci minuti che la osservo...mi scusi...non avrei dovuto... ma la sua aria, cosi assente e trasognata, era così invidiabile che non riuscivo ad evitare di osservarla...
- Bhe-imbarazzato-niente di male... ma mi dica...voleva il taxi ?
Fece un lieve cenno del capo.
E ripeté:
- Se non la disturbo naturalmente...
- Ma che dice...
- Mi dava l’impressione di essere in un vecchio film western, sembrava Dean Martin, un po’ più grassottello, seduto sulla sedia a dondolo che osserva il tramonto sul Texas...
- La ringrazio per il paragone...artistico... Dove deve andare ?
- Piazza dell’Apparenza. Angolo Borgo ai Tentennanti.
Lui si sedette ed io misi in moto : è così che si fa.
Poi per smitizzare la figura semiromantica, che il signore si era fatta di me:
- Stavo pensando a cose ben più banali di quanto lei potesse supporre...
- Ma si figuri, anch’io ho esagerato, per amor di celia...
M’hanno detto che voi tassisti avete tutti un soprannome: il suo ?
- Don Logos.
- Chiacchera molto ?
- Infatti .
- Ci sono delle cose che la incuriosiscono in particolare...che ne so... delle fissazioni ?
Sbottai in una grassa risata ( come altrimenti ? )
- Come mai questa domanda a bruciapelo ?
- Amo conoscere le persone, i tipi umani, cercare di capire cosa c’è dietro a quello che si vede e che spesso non corrisponde alla persona reale, amo sbagliarmi e farmi meravigliare dalla realtà, ben più divertente dei luoghi comuni e poi perché ho l’impressione che con lei si possa parlare senza convenevoli, senza preliminari...
- Si, ho una fissazione...se cosi si può chiamarla, una cosa nata piano piano, come tante cose usano fare, come i funghi, ad esempio.
Quando entro in una casa sono attratto dal pavimento.
- Pavimento ?
- Quando entro in una casa per la prima volta faccio mille congetture su come sarà il pavimento e quando finalmente varco la soglia, socchiudo gli occhi per centellinare quello che vedrò, come fanno i giocatori di poker.
- E che accade ?
- Dopo il "drin" saluto a testa bassa ed entro quasi ignorando l’ospite.
I miei occhi, due metal-detectors che indagano sul nuovo terreno, meravigliosamente ignoto ed i polpastrelli delle pupille sciamano come api in cerca di fiori.
Ma il più delle volte i miei occhi rimangono abbassati per la melanconia.
La pochezza mi avvilisce fortemente.
Infatti la maggior parte dei pavimenti sa davvero di poco, è insipiente, è inutile. Allora per non essere totalmente travolto dalla delusione, dall’emotività mi sono dato un protocollo tecnico a supporto, una sorta di decalogo, che poi in effetti è un pentalogo:
prima viene la Sostanza
poi la Varieganza
poi l’Accostanza
poi la Disponenza
infine l’Assemblanza.
A quest’ultima attribuisco una valenza esclusivamente tecnica.
Le precedenti le ritengo "doni":
Robe, che se ci sono, ci sono, se no, no.
Quel che rende pregevole la mia "fissa" è la relazione che credo ci sia fra le caratteristiche dei pavimenti e la natura della persone che li calpestano.
I pavimenti hanno un arketipo strutturale di base,ugualissimo per tutti e a cui nessuno può sottrarsi, l’Arkè, sul quale poi poggiano le traversine, che sono sempre in numero dispari.
( La parità, quindi l’equilibrio, lo si raggiunge sommandoci, l’Arkè).
Su questa struttura, poggia l’individualità del pavimento-uomo...
- E mi scusi se la interrompo, don Logos... c’è un pavimento in particolare....
- Lei, è quel che si può dire, un astuto osservatore ed un attento ascoltatore...
- Allora, qual è ?
- Il pavimento di Chelbastro.
Ma ahimè ed ahitè, l’ultima pianta di Chelbastro è stata mangiata dall’ultimo Caccosaurus Falquiis.
- O che bestie son codeste ?
- Erano particolari sauri che non defecando mai durante tutta la loro vita non disperdevano i semi delle piante; nutrendosi di una specie durante la fioritura la portavano all’estinzione.
Ecco perché gli unici pavimenti in legno di Chelbastro si trovano solo in case o castelli antichissimi.
Ma anche qui, guerre, distruzioni, ignoranza ed anche più recenti volgarità hanno fatto scempio di quanto era arrivato fino a noi.
- Ma senti senti... ma c’avrei giurato... e mi dica oltre a fare il tassista di cos’altro si occupa ?
- Di restauro, di arredamento, di poesie, di musica, di teatro, di politica e di tutto ciò che fa costume.
- Ci speravo...
- Perché ?
- Niente... ecco siamo arrivati. Quant’è ?
- 23.000...
- Ecco.. tenga pure... ma domani, al primo quarto dopo le undici, si presenti a questo indirizzo.
E mi porse un biglietto da visita.
Non dissi si e neppure no. Per quel che importava...
Sapeva che ci sarei andato. E lo sapevo anch’io.
Venne domani, ma c’era da aspettarselo. Anche se non c’è sempre da giurarci.
Al primo quarto dopo le undici suonai il campanello all’indirizzo indicato.
Mi ritrovai dentro, senza saper come, ad ammirare un splendido arazzo vicino alla finestra quando una voce calda e gentile mi porse il Buongiorno.
Mi girai piano, in modo che l’inquadratura girasse in dissolvenza lenta da destra verso sinistra, ecco: il vecchio signore, elegante, appoggiato al bastone d’ebano col pomello bianco, d’avorio intarsiato.
Mi invitò a sedermi.
Il vecchio signore non era fisicamente imponente o temibile eppure suscitava reverenza per la forza e la determinazione che sicuramente in passato doveva aver posseduto.
Anche adesso, la dolce autorità del gesto non prevedeva per me altra ribellione che sedermi.
- Bevete qualcosa...?
- Dell’ Harmony, se volete...
- Ci mancherebbe.... berrò con Voi... Volentieri.
E dall’unica bottiglia del buffet, versò i due ultimi bicchieri del liquore.
Alzando il calice per il prosit:
- Scusate la mia ansia, Signore...
- Per quale mai motivo vi ho fatto venire qui ? E’ presto detto.
Devo affidarvi un compito. Un compito adatto a voi.
In Piazza dei Circospetti ho una proprietà.
Adesso appare come un villino dei primi del Novecento ma in effetti sotto quelle spoglie è celato il Castelletto dei miei avi e data più di mille anni.
Era noto come il Castello delle tre Torri + Una.
La quarta Torre, che avrebbe reso unitario il complesso, che gli avrebbe dato la forza di resistere agli uomini e al tempo, non è mai stato possibile ultimarla.
Nello scorrere dei secoli è sempre accaduto qualche inconveniente.
Voglio che mi prepariate un progetto che restituisca al Castello il suo originale splendore.
Vi è per cosi dire, un problema.
Nella proprietà, risiede da gran tempo un Signorina credo che ormai dovrebbe essere vecchia, benché non abbia di lei un ricordo giovanile; ella usa delle dodici sale del castello, soltanto le quattro che corrispondono, nella pianta originale, alle basi delle quattro torri, compresa la quarta, quella mai completata.
Non vi darà gran che fastidio in quanto per la massima parte del giorno si trova fuori in non so che cosa occupata.
Molti anni or sono mi chiese di poter fare dei lavori al pavimento della quarta torre.
Le domandai perché avesse deciso di spendere tanto tempo e tanto denaro per il restauro di un pavimento fra l’altro non di sua proprietà.
Mi rispose che aveva bisogno di un luogo bellissimo e di gran pregio, dove accogliere senza vergogna tutte le persone che aveva a cuore.
Nonostante le avessi fatto presente che tutta la struttura era di ragguardevole ed antico prestigio e che quindi l’attenzione e l’impegno richiesti sarebbero stati notevoli, sotto ogni punto di vista, ella insistette affinché almeno un luogo in particolare fosse curato con la massima attenzione e le sarebbe stato estremamente gradito farsene carico.
A fronte di tanta insistenza, acconsentii.
Volli pensare ad una civetteria da donne ed alla particolarità della persona.
Ecco, questo è tutto. Credo di non avere altro da dirvi.
Sorseggiammo a lungo, degustando l’Harmony.
- E... per quando vorreste il progetto ?
- Presto...molto presto, anzi, prima.
- Lo avrete allora fra sette giorni da oggi, ad un quarto dopo le undici.
- Ci accomiatammo con un sorriso ed una stretta di mano.
Per la data e l’ora convenuta, preciso come una ghigliottina, m’appressai per bussare al portone del palazzo, ma fui anticipato dall’uscita di due nerboruti operai; questi trasportavano con non poca fatica una grande cassa di legno all’esterno; mi feci superare dai due ed entrai nell’androne vasto e semiscuro, qui altre decine di casse di legno ed imballaggi, sparsi erano in attesa di miglior collocazione.
In assenza di impedimenti continuai a curiosare e constatai che ciascuna stanza era stata sparecchiata: per una lunga assenza.
Nello studio infine, sprofondato nella poltrona di velluto damascato, stava il Visconte De La Croix che mi sorrise immancabilmente e mi fece cenno di avanzare:
- Eccovi dunque...
- Siete senza servitù ?
- Mai avuta servitù...
- Ma l’altra volta ?
- Nessuno vi ha aperto e siete entrato, ricordate ?
E’ cosi che funziona caro amico.
Nessuno apre, ma qualcuno, comunque, entra. Credetemi.
- Non comprendo...
- Siete amabile...
Avviene tutto, tutto quello che fate avvenire.
E’ il solo fatto che voi esistiate, a determinare il caso e non viceversa.
Questo discorso ci porterebbe lontano ed è perfettamente inutile...
Ma sappiate che tutto quello che esiste, esiste perché è già dentro di voi, deve essere
solo tirato fuori...come i conigli dal cilindro, dovete fare solo la fatica di sognare.
Non ci sono vie maestre o metodi: voi siete già l’intero universo.
Quando ne prendete coscienza e ve ne meravigliate compiacetevi di goderne, farne
godere gli altri e che anch’essi si meraviglino.
Qui si fondono il tempo e lo spazio.
Qui si filano le esistenze e ci si veste di amorosi panni.
Guai ai distratti.
I distratti saranno puniti.
Noi siamo il risultato della solitudine di Dio.
Lui aveva bisogno di qualcuno da amare e da cui essere amato.
Per questo siamo liberi. Altrimenti che saremmo ?
Aveva bisogno di qualcuno con cui giocare a scacchi.
E con chi ci piace giocare se non con qualcuno bravo almeno quanto noi ?
No, non temete, non vi sto dicendo che siete Dio... ma che potete essere sicuramente fiero
di voi.
Tenne il capo chino per tutto il tempo che parlò e non lo rialzò.
Un silenzio lungo un pelo di stella.
- Ed ora veniamo a noi !
Non so perché ma la mia reazione a quel complesso discorso fu semplicemente di iniziare a spiegare quanto avevo fatto:
- Ecco Signore..., e glielo porsi, questo è il totale del preventivo di spesa... qui di seguito sono elencati tutti i particolari relativi agli addobbi, ai colori delle pareti, ai decori, ai mobili, ai marmi, ai graniti, alle pietre del rivestimento esterno, la disposizione delle piante del parco,
il costo della mano d’opera... etc etc.
Mentre io dipanavo l’illustrazione, particolareggiata fin nei minimi dettagli, di tutto quello che sarebbe stato fatto, il vecchio Signore di tanto in tanto sorrideva, a volte bofonchiava soddisfatto, a volte rumoreggiava fra se e se, come se complicati e numerosi pensamenti gli entrassero e gli uscissero dal cervello, senza mai dare il tempo alla porta principale di richiudersi.
Ad un certo punto, colto da un raptus risolutivo e conclusivo, alzò le mani al cielo e come un direttore d’orchestra che chiude il gran finale, le riabbassò, repentino, a pugni chiusi.
Sbarazzò tavola dagli incartamenti che avevo portato , e toltisi gli occhiali si puntò nei miei occhi come se si appoggiasse al mio essere interiore per verificarne la tenuta, ma io non seppi far di meglio che sentirmi imbarazzato.
Portata a fine la TAC dell’anima:
- Sentite mio caro giovanotto, voglio che voi eseguiate per filo e per segno quanto mi avete descritto nel progetto.
Questa borsa contiene denaro sufficiente a fare dieci volte il lavoro e questo è l’atto della proprietà trasferito a vostro nome.
- A "vostro nome", di chi ?
- Ma "vostro", non sapete leggere ?
- Signore...non mi va di possedere qualcosa. Mi da impedimento.
- Tacete ! Ed ascoltate piuttosto !
M i avete dimostrato intuito, acutezza, determinazione e buon gusto, tutto quello che mi avete esposto è semplicemente perfetto ed in sintonia.
Non ho avuto figli, ma se mai ne avessi avuti, avrei voluto che vi somigliassero, voi siete il solo in grado di apprezzare il valore, lo spessore, la qualità...
Chi l’abiterà deve rendersi conto che non è una casa normale, una semplice casa.
Solo se si hanno certe caratteristiche si può cogliere tutta la forza che vi è riposta, tutta l’energia che sa esprimere e che contiene.
In questa casa io sono stato felice e felici sono stati i miei avi per innumerevoli generazioni.
La nostra è una stirpe che sa gioire. Sappiamo essere felici.
Questo ci rende invulnerabili ed immortali.
Agli uomini che sanno amare, che sanno esprimere l’amore, niente può accadere.
- Ma io...
- Tacete quindi ed accettate... che io non ho molto tempo.
- State partendo...
- Si.... in un certo senso, diciamo che sto partendo, per un lungo viaggio e credo che per molto tempo ancora non ci vedremo, per cui lasciate che vi abbracci...
E mi abbracciò fortemente, come se avesse voluto "trasferirmi" quanto mi serviva.
- Ma partite cosi, all’improvviso...
- All’improvviso dite ?
Niente, assolutamente niente, accade all’improvviso.
Tutto si srotola e si disvela con indicibile lentezza, siamo noi, con i nostri limiti, che ad un certo punto o momento, ci accorgiamo di quello che accade.
Fate bene attenzione alle mie parole, ho detto "ad un certo punto " e mi riferivo allo spazio, poi ho detto anche "o momento" e mi riferivo al tempo.
Noi siamo il punto d’incrocio, di fusione fra queste due variabili ed esclamiamo:
"all improvviso".
In effetti tutto era già cominciato da sempre.
Noi siamo i proprietari del tempo.
Noi, siamo il tempo.
Lo spazio: un’occasione per esistere.
Mi congedò definitivamente e non ci vedemmo mai più.
Una delle mie caratteristiche è l’efficacia.
Non tanto per amore dell’ordine di cui ho ben poca cura: gli è, che essendo dotato d’energia sovrabbondante, quando ho da fare qualcosa, la faccio.
Diedi inizio ai lavori e preparai in modo che ogni cosa andasse per il verso giusto, l’unico.
Dovevano incastrarsi le esigenze di idraulici, imbianchini, muratori, tappezzieri, stuccatori, elettricisti, falegnami, senza che l’uno nuocesse all’altro.
Per la signorina Alma decisi che la cosa migliore, per non turbarla, era di non dirle niente: ella era una delicata creatura, sostanzialmente metodica e strutturata.
Rivelarle questo gran cambiamento, metterla a parte di tutto questo andirivieni, l’avrebbe sicuramente destabilizzata.
La quarta torre sarebbe stata restaurata in un secondo momento.
Dopo che lei se ne fosse andata.
Quindi lei non si sarebbe accorta di niente, usciva prestissimo e per l’ora in cui aveva l’abitudine di rientrare, gli operai rimettevano tutto a posto.
Del resto l’ambiente era talmente vasto che il suo percorso non ne rimaneva neppure coinvolto.
Molte volte mi ritrovai a passare presso il salone, quello della quarta torre, cui non avevo accesso in quanto dotazione personale della signorina Alma e di cui solo lei aveva la chiave.
Forte era la curiosità di sbirciare dentro al salone.
Mi vinceva sempre l’imperioso senso di discrezione che mi impediva ogni tipo di forzatura.
Sapevo che la mia esuberanza avrebbe potuto prevaricare i tenui argini, le labili difese della mia inquilina, ma proprio per questo la difendevo da me stesso.
Ho sempre preferito l’invito, all’intrusione.
Per circa tre mesi i lavori ebbero il loro corso ed in questo periodo, esattamente come avevo voluto che fosse, la signorina Alma non ebbe ad accorgersi di alcunché.
Cionondimeno, giusto in concomitanza con la fine dei lavori, ella dette un gran ricevimento, per il quale, tutti i suoi amici, che si rivelarono poi una quantità, intervennero.
Le persone invitate dovevano essere tutte leggerissime in quanto non lasciavano sul pavimento alcuna impronta.
Infine parlavano pianissimo ed io non avevo modo di intendere alcunché della loro, apparentemente, fitta conversazione.
Dal mio nascondiglio dietro alle tende dell’androne, dando la massima apparenza di casualità, feci in modo di passare nell’ingresso, giusto nel momento cui ella riceva l’ultimo ospite dei suoi.
Mentre ella si girava dischiudendo la porta del salone, mi inchinai nel saluto, con viscida, ignobile affettatezza.
Ebbi in risposta la naturale offerta della sua mano al bacio d’ossequio e per nulla si sottrasse al soffermarsi delle mie labbra sulla sua pelle.
Tale indugio, benché qualcuno maligno lo pensi sensuale, era invece dovuto allo sbigottimento, alla meraviglia.
I piedi della signorina Alma poggiavano su un pavimento: di legno: di Chelbastro.
Ero talmente preso dalla fascinazione delle trasparenze, dai ritmi delle insenature, dai giochi della trama dell’incredibile legno, che restai con la sua mano nella mia mano e la bocca incollata semiaperta, sul delicato intreccio delle sue vene.
La signorina Alma sorrise compiaciuta:
- Che fate...? Vi piace dunque cosi tanto ? Cercando di sottrarre le candida appendice.
- Ca... se mi piace ?
Voi neppure immaginate l’emozione che tutto mi pervade.
- Signore, suvvia non esagerate...
- Signorina Alma, non comprendete la gioia, l’entusiasmo per avere finalmente visto e riconosciuto all’istante, un vero, autentico, pavimento di Chelbastro !!!
- Ah... il pavimento, e già il pavimento... che sciocca, certo il pavimento...
Bravo , è raro il legno ma ancor più raro è trovare un pavimento cosi ben tenuto e conservato.
Io non sono certo ricca ma ho dedicato ogni mia risorsa a questa impresa.
Ho trascurato la mia famiglia, io stessa non mi sono sposata, ne ho permesso ad alcuno di distrarre la mia attenzione da quello che facevo.
Ma oggi è cosi difficile fare le cose per bene.
- Signorina Alma, sentite..
- Tacete, so già tutto...
- Ma no, volevo dirvi...
- ... che posso restare a vivere qui ?
Posso dirlo ? : lo sapevo già.
- Ma come ?
- Sappiate che sono una cartomante adamantina.
- Quelle che splendono quando dicono la verità ?
- Certo.
- Allora spenderemo un nulla, per la luce, in questa casa.
Questa banalità, questa frase cosi’ altamente inutile ci fece ridere da morire e quando smettemmo di ridere, gli altri, gli invitati, se ne erano andati, non so se in silenzio, di fatto non c’erano più, pluff !, e noi eravamo rimasti soli: si fa per dire: ma altro non serviva.
Il giorno seguente, alla luce del sole, il restauro della casa apparve in ogni particolare: tutto era stato fatto cosi come conveniva che fosse.
Come altrimenti non avrebbe potuto essere.
La signorina Alma, come ogni altro giorno, si recò al suo da fare.
Finalmente libero ed esausto, decisi di dedicare un po’ di tempo a me stesso.
Feci una bella passeggiata lungo il fiume, comprai il giornale e rientrai nella mia nuova casa.
Era freddo come quando fa freddo e cosi decisi di accendere il fuoco, quello vero, nel camino del salone della quarta torre.
Mi sedetti nella grande poltrona in mezzo alla grande stanza e cominciai a leggere.
Man mano che il calore si propagava nella stanza la cera del pavimento si ammorbidiva ed il legno di Chelbastro scricchiolava e mugghiava.
Quando ebbi finalmente paura non mi restò che capire che era soltanto la cera che teneva tutto l’insieme dell’antico pavimento, l’unico non sottoposto al restauro.
Mi alzai dalla poltrona giusto in tempo per vedere i listelli di Chelbastro che sbuzzavano fuori come tante molle abbandonate a se stesse, e sotto si potevano vedere i travetti di sostegno completamente marci, se non addirittura mancanti: i punti d’appoggio dell’architrave si sfaldavano uno dopo l’altro come fossero stati di burro.
Con un movimento a macchia d’olio il pavimento cominciò a sprofondare su se stesso ed il fuoco del camino fece il resto.
Verso sera la Signorina Alma, tornando a casa, dette appena un’occhiata ai resti fumanti della casa e non tentò di scorgere una mano rattrappita nella cenere.
Si involtolò strettamente nell’ oscura gabbana e mentre si allontanava qualcuno l’ha udita mormorare: sono confusa... sono confusa...
Altro non seppe dire.
Di lei non si seppe più niente ed è certo meglio cosi’.
Io, mischiato alla folla dei curiosi, estraneo fra gli estranei, cercai con lo sguardo il devoto Atene 29: sornione nell' angolo della piazza mi aspettava e non frangea la biada con rumor di croste.
Entrai, appoggiai la nuca allo schienale con l’intenzione di un attimo: mi addormentai.
Sulla vasta area dove sorgeva la casa, un tizio ci ha fatto un cimitero canino.
Ma pare che anche loro ci stiano malvolentieri.
Infatti, ogni tanto, passando a piedi o col finestrino aperto nelle calde notti d’estate, si può udire un sommesso: BAU-BAU.
Fine
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