(foto del 1997)
Proprio di fronte a Manhattan,
nella bellissima baia naturale in cui è situato il porto di New York,
a pochi minuti di traghetto dall’isola principale che costituisce il
cuore della Grande Mela, c’è Ellis Island, un isolotto, la prima tappa
per oltre quindici milioni di immigrati che partivano dalle loro terre
di origine sperando di stabilirsi negli Stati Uniti.
Ellis Island (chiamata in origine
Gibbet Island dagli inglesi che la usavano per confinarvi i pirati
sorpresi “con le mani nel sacco” e utilizzata poi come impianto di
fortificazione e deposito di munizioni) è una delle quaranta isole
delle acque di New York: divenne famosa dal 1894 in quanto stazione di
smistamento per gli immigranti; venne adibita infatti a questa nuova
funzione quando il governo federale assunse il controllo del flusso
migratorio, resosi necessario per il massiccio afflusso di immigrati
provenienti essenzialmente dall’Europa meridionale e orientale.
La "casa di prima
accoglienza-prigione" rimase attiva fino al 1954, quando fu chiusa e
abbandonata alle intemperie. Oltre cento milioni di americani possono
far risalire la loro origine negli Stati Uniti a un uomo, una donna o
un bambino che passarono per la grande Sala di Registrazione a Ellis
Island.
Oggi è trasformata in Museo
dell’Immigrazione: l’ho visitato e ne metto a parte i navigatori della
rete.
Fino al 1850 circa non esistevano
procedure ufficiali per l’immigrazione a New York. In questa data
l’impennata del numero di immigrati europei che fuggivano dalle grandi
carestie del 1846 e dalle rivoluzioni fallite del 1848 spinse le
autorità ad aprire un centro di immigrazione a Castle Clinton in
Battery Park, sulla punta meridionale dell’isola di Manhattan. Verso
il 1880 le privazioni che si soffrivano nell’Europa orientale e
meridionale e la forte depressione economica nell’Italia meridionale
spinsero migliaia di persone ad abbandonare il Vecchio Continente. Al
contempo in America stava prendendo il via la rivoluzione industriale,
con un crescente processo di urbanizzazione.
Ellis Island fu aperta nel 1894,
quando l’America superò un periodo di depressione economica e cominciò
a imporsi come potenza mondiale. In tutta Europa si diffusero le voci
sulle opportunità offerte dal Nuovo Mondo e migliaia di persone
decisero di lasciare la loro patria. Quando le navi a vapore entravano
nel porto di New York, i più ricchi passeggeri di prima e seconda
classe venivano ispezionati a loro comodo nelle loro cabine e scortati
a terra da ufficiali dell’immigrazione. I passeggeri di terza classe
venivano portati a Ellis Island per l’ispezione, che era più dura. Il
traghetto storico Ellis Island veniva usato dal Servizio Immigrazione
per trasportare gli immigrati che arrivavano e il personale del centro
di immigrazione.
Ogni immigrante in arrivo portava
con sé un documento con le informazioni riguardanti la nave che
l’aveva portato a New York. I medici esaminavano brevemente ciascun
immigrante e marcavano sulla schiena con del gesso coloro per i quali
occorreva un ulteriore esame per accertarne le condizioni di salute;
se vi erano condizioni particolari di infermità ciò comportava che
venissero trattenuti all’ospedale di Ellis Island. Dopo questa prima
ispezione, gli immigrati procedevano verso la parte centrale della
Sala di Registrazione dove gli ispettori interrogavano gli immigranti
a uno ad uno. A ogni immigrante occorreva perlomeno una intera
giornata per passare l’intero processo di ispezione a Ellis Island.
Le scene sull’isola erano
veramente strazianti: per la maggior parte le persone arrivavano
affamate, sporche e senza una lira, non conoscevano una parola di
inglese e si sentivano estremamente in soggezione per la metropoli
ammiccante sull’altra riva.
Agli immigrati veniva assegnata
una Inspection Card con un numero e c’era da aspettare anche tutto un
giorno, mentre i funzionari di Ellis Island lavoravano per esaminarli.
Dopo l’ispezione, gli immigranti
scendevano dalla Sala di Registrazione per le “Scale della
Separazione” che segnavano il punto di divisione per molte famiglie e
amici verso diverse destinazioni. Il centro era stato progettato per
accogliere 500.000 immigrati all’anno, ma nella prima parte del secolo
ne arrivarono il doppio. Truffatori saltavano fuori da ogni dove,
rubavano il bagaglio degli immigrati durante i controlli, e offrivano
tassi di cambio da rapina per il denaro che questi erano riusciti a
portare con sé. Le famiglie venivano divise, uomini da una parte,
donne e bambini dall’altra, mentre si eseguiva una serie di controlli
per eliminare gli indesiderabili e i malati. Questi ultimi
venivanoportati al secondo piano, dove i dottori controllavano la
presenza di “malattie ripugnanti e contagiose” e manifestazioni di
pazzia.
Coloro che non superavano gli
esami medici venivano contrassegnati, come già accennato, con una
croce bianca sulla schiena e confinati sull’isola fino a diversa
decisione, oppure venivano reimbarcati.
I capitani delle navi avevano l’obbligo di riportare gli immigrati non
accettati al loro porto di origine. Secondo le registrazioni ufficiali
tuttavia solo il due per cento veniva rifiutato, e molti di questi si
tuffavano in mare e cercavano di raggiungere Manhattan a nuoto o si
suicidavano, piuttosto che affrontare il ritorno a casa.
Veniva anche effettuato un esame
legale, che controllava la nazionalità e, cosa molto importante,
l’affiliazione politica. L’afflusso di immigranti era sempre altissimo
e imponente il lavoro dei funzionari che sottoponevano a ispezione e
interrogatorio le persone: nel giro di alcune ore veniva deciso il
destino di intere famiglie, un fatto che meritò a Ellis Island il nome
di “Isola delle lacrime”. La maggior parte degli immigrati
veniva esaminata e quindi convogliata verso il New Jersey; una volta
arrivati a destinazione gli immigrati si stabilivano in uno dei
distretti etnici in rapida espansione.
Il complesso di edifici a Ellis
Island è imponente. Il primo edificio fu distrutto da un incendio nel
1897, quello che attualmente è destinato a museo fu costruito nel 1903
e negli anni successivi ne furono edificati molti altri, su
interramenti che vennero aggiunti all’isola per adeguare gli spazi
disponibili al sempre crescente numero di persone che dovevano
transitare di lì. Gli edifici, poi, furono abbandonati fino alla
metà degli anni Ottanta, quando l’edificio principale a quattro
torrette venne completamente ristrutturato e riaperto nel 1990 come
Museo dell’Immigrazione. E’ un museo che ricrea con forza espressiva
l’atmosfera del luogo con film e mostre fotografiche che celebrano
l’America come nazione di immigrati.
Circa 10 milioni di americani
possono rintracciare le loro radici attraverso Ellis lsland. Al primo
piano, sul retro, c’è la mostra "La popolazione d’America", che
narra quattro secoli di immigrazione americana, offrendo un ritratto
statistico di coloro che arrivavano: chi erano, da dove venivano,
perché venivano.
I’enorme Registry Room (Sala di
Registrazione), a volta, al secondo piano, teatro di tanta repidazione, e, qualche volta, di disperazione, e stata lasciata
vuota, a parte un paio di banchi degli ispettori e di bandiere
americane. Nel salone laterale una serie di stanze per i colloqui
ricreano passo per passo la trafila alla quale dovevano sottoporsi gli
immigrati per il loro riconoscimento: le stanze
rivestite di piastrelle bianche ricordano più una prigione o un istituto per
malattie mentali piuttosto che apparire come una tappa nel
cammino verso una vita libera e confortata dalla speranza.
Nelle altre sale le esperienze di
vita vissuta sono ricostruite mediante fotografie, testi
esplicativi, piccoli oggetti domestici, oggetti d'uso utilizzati per il
lungo viaggio (valigie, ceste, sacchi, fagotti...) e le stesse
voci registrate dei protagonisti. Vi sono descrizioni dell arrivo e dei
successivi colloqui, esempi delle domande poste e degli esami medici
effettuati. Uno dei dormitori, destinato a coloro che sostavano
per i controlli e la “quarantena”, è rimasto pressoché intatto ed è
l'ambiente che più emoziona, oltre a dare, come un flash,
l'impressione del "campo di concentramento" .
Al piano superiore, alle pareti, è
allestita una imponente mostra fotografica dell’edificio prima
che venisse ristrutturato: moltissime sono anche le
fotografie di singoli emigranti o di interi nuclei famigliari. Quando gli Stati Uniti entrarono
nella prima guerra mondiale nel 1917, i sentimenti
anti-immigrazione e le ostilità isolazioniste erano all’apice. Il Klu-Klux-Klan,
costituito nel 1915, rifletteva le opinioni di coloro che
disprezzavano gli immigrati non inglesi considerandoli di “razza
inferiore”.
Mentre gli immigrati dovevano
affrontare ostilità di ogni tipo, il ruolo di Ellis Island cambiava
rapidamente da centro di smistamento per gli immigrati a centro di
detenzione. Dopo il 1917 l’isola divenne
principalmente campo di raccolta e di smistamento per deportati e
perseguitati politici. L’immigrazione diminuì sensibilmente all’inizio
della prima guerra mondiale e i decreti sull’immigrazione del 1921
e del 1924 di fatto posero fine alla politica di “porte aperte”
degli Stati Uniti. Cittadini giapponesi, italiani e tedeschi
furono detenuti a Ellis Island durante la seconda guerra mondiale
e il centro venne utilizzato principalmente per detenzione fino
alla sua chiusura, il 12 novembre 1954.
Oggi Ellis Island, dopo ampi
lavori di restauro, è sede del Museo dell’Immigrazione; le esposizioni
del Museo, oltre a mostrare oggetti cari portati dalla terra
di origine come vestiti, tessuti, fotografie, utensili, illustrano
la storia dell’isola, mostrano come gli immigranti venissero
ispezionati e narrano come l’edificio fu ristrutturato.
Dall’isola si possono osservare
sia la punta sud di Manhattan, sia l’isoletta contigua sulla quale
sorge la Statua della Libertà.
Concludo questo breve excursus con
un "appunto" del 28 dicembre 1939 dello scrittore e giornalista
praghese Egon Erwin Kisch (1885-1948) tratto dal suo libro Sbarcando a
New York.
“Sono di nuovo prigioniero sulla
nave. Dall’oblò chiuso vedo il Nuovo Mondo verso il quale da due
settimane, due settimane di guerra, sto navigando sulla
‘Pennland’ della linea olandese-americana [...]. L’immigration
officer dice che il mio passaporto non è valido, perché un
visto cileno ottenuto a Parigi non è sufficiente come visto di
transito per l’America [...] Mentre parlava con me, un funzionario gli
mostrò un fogliettino, senza dubbio conteneva qualcosa sul mio
conto. ‘Lo so’, disse. Quindi mi tocca andare a Island - un
eufemismo per Ellis Island, L’isola delle lacrime [...] Giù dalla ‘Pennland’ sulla quale
abbiamo trascorso più di due settimane, giù con tutto il
bagaglio (il mio è rimasto in Belgio), nei dock gelidi dove fanno la
revisione doganale, poi con un tender all’isola-prigione sorvegliata
dalla Statua della Libertà (si riempiono la bocca con la Statua
della Libertà) [...]. Ciò che contraddistingue la nostra
prigione da ogni altra è la cabina telefonica. Una cella del carcere
con cabina telefonica non esiste da nessun’altra parte. Ammesso che
uno abbia un nichelino, si può mettere in contatto con il resto
del mondo, e al tempo stesso non può. Nessuno può chiamarti [...].
Faccio una passeggiata nel cortile che invece di quattro pareti ne ha
soltanto due: quelle mancanti sono acqua.”
Su un muro commemorativo adiacente
l'edificio principale di Ellis Island è riportato un
elenco di nominativi di oltre 500mila immigrati.
|