ALESSANDRO

TETI

TORRICELLA PELIGNA NEGLI ANNI 50 & 60

 

 


LA VENDEMIA

"Quand'é bbèll a ì'ngambagne, quand'è tembe de vellégne... " diceva una canzonetta lanciata da Cesare de Cesaris agli albori degli anni '60. In effetti la vendemmia ha sempre rappresentato un momento di allegria soprattutto in paesi come Torricella dove l'agricoltura veniva praticata con tanti sacrifici ma con scarsi risultati. A ottobre le calde giornate dell'estate erano ormai un ricordo, i villeggianti non invadevano più la pineta; i ragazzi tornavano a scuola; le strade apparivano solitari; l 'autunno avanzava lentamente. La zona più folta di vigne si trovava "a lu Carpene".
Di buon mattino i vignaioli, accompagnati dalle mogli e di pomeriggio anche dai figli liberi dall'impegno scolastico, si recavano verso la campagna chi con 1' asino, chi con il mulo e chi con il cavallo. Le macchine e i trattori ancora non si vedevano da queste parti, se si eccettuano un paio di vecchie "Balilla". Lungo i sentieri che portavano alle vi¬gne era un continuo e allegro vociare di gente indaffarata. Qualche ora più tardi ecco apparire il primo carico d'uva messa nei cesti e ben coperta per evitare le fastidiose ve¬spe ed api. Al ripasso dei vignaioli tanti ragazzi si appo¬stavano per chiedere in regalo qualche "scanda" (grappolo) d'uva. Bisogna dire che il più delle volte le loro attese venivano premiate, specialmente quando c'era una buona anna¬ta . In tempi di ristrettezze ricevere gratis un po’ di frutta certo non dispiaceva! Tra i più espansivi nel donare, me¬rita di essere menzionato Mario Piccoli di Cilloppòmm, da tanti anni emigrato oltre oceano. Quando lo vedevano arrivare, i bambini subito gli si accostavano e lui, con la sua na¬turale bonomìa, senza farsi pregare, fermava il cavallo, scio¬glieva la corda che teneva legato il panno per coprire i grappoli e ne dava un po' a tutti. Negli stessi giorni i falegnami del paese si davano da fare per costruire o per riparare gli attrezzi necessari alla vendemmia: "baunz" (bigon¬ce), pigiatrici, "tiniecce" (tini) , "bagnaròle" e simili.
I negozianti invece esponevano "le vott e le vasciell" (le botti nuove), che bagnandosi sotto la pioggia si stendevano. Le cantine lentamente si riempivano del prezioso prodotto destinato alla pigiatura con i piedi (op¬portunamente lavati), quindi il tutto veniva passato al torchio per un'ulteriore spremitura. Intanto per le strade si spandeva il dolce profumo dell'uva fermentata. E qui il pensiero corre subito alla celebre poesia del Car¬ducci "San Martino". "...ma per le vie del borgo/dal ribol¬lir dei tini/va 1' aspro odor dei vini/l'anime a rallegrar." L'ultima fase consisteva nel versare il mosto nelle botti, dalle quali di lì a qualche mese sarebbe uscito nelle sem¬bianze di vino.
I1 famoso proverbio: "A San Martino ogni mosto diventa vino" per i vignaioli torricelliani era alquan¬to bugiardo,infatti per assaggiare quello novello bisognava attendere le feste di Natale. I1 rito della prima degusta¬zione spettava al più anziano della famiglia dunque a "tatòne" il quale, prima di portare il bicchiere sulle labbra, ve¬rificava la limpidezza del prodotto esponendolo alla fioca luce proveniente dalle "finestrelle" della cantina.
"Gnà è chiare o trovete?" faceva una voce giovanile dalle retrovie "Statt zitt mammocce nell vide pure tu coma è?" gli rispondeva qualcun altro. Dopo l'assaggio, ancora silenzio dal grande vecchio, poi finalmente il fatidico responso: "Pò i " (può andare).
Un lampo di gioia si stampava sul volto di tutti i presen¬ti. Seguiva una meritata sbicchierata per onorare il vino novello che avrebbe tenuto una buona compagnia per tutto il lungo inverno. Cosa c'era di meglio per rendere ancora più gustosa una patata arrostita " a lu furulare "? . Ma la lieta fi¬ne non sempre era garantita, anzi...a volte dopo l'assaggio, il vino appariva "ncetito" (acetoso) oppure "sciacqua, sciacqua" o addirittura aspro al palato. In tal caso bisognava fare buon viso a cattivo gioco
Per concludere è necessario citare un altro squisito deri¬vato dell'uva: "lu mistecott" (il mostocotto) usato come compa¬natico per i bambini inappetenti; come indispensabile ingre¬diente per i rinomati "celli pieni" e per ottenere il prelibato "sanguinaccio" sul cui sapore non occorrono altri ag¬gettivi perchè molti torricellani lo conoscono. Quei pochi che ancora non l'avessero gustato, compresi i numerosi "fra¬stieri" che visitano il paese, si rivolgano a qualche brava massaia che abbia la pazienza di prepararlo: si leccheranno le dita e i baffi quando avranno avuto l'opportunità di assaggiarlo.

 

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