ALESSANDRO

TETI

TORRICELLA PELIGNA NEGLI ANNI 50 & 60

 

 

 

LA TREBBIATURA.

"Ndunì addò sta maritt? Dije ca è arrevate la machene che trèsch, o che straffà!" "Ma come! Sapave ch’ava meni dumane! Quist nge sta, è ite a respeià la vigne!" "Siénd, i te l'aie ditt. Tu le si coma è lu fatt: o trisch, o spicce l'are!".
La donna naturalmente sa che non c'è tempo da perdere. Chiama suo figlio e gli ordina: "Pje la iumènd, va' a la vigne a chiamà piètrete e dije occarevè subbete ammond ca sema trescà!"
La trebbiatura era nel passato, per i contadini, un evento molto importante e faticoso. I1 lavoro, iniziato a ottobre, novembre con l'aratura e la semina, si presentava particolarmente difficile al momento della mietitura, quando con una piccola falce bisognava tagliare il grano ormai maturo, con l'incombente pericolo di rimetterci il mignolo, vuoi per la fatica, vuoi per i raggi roventi che dardeggiavano sui mietitori, pur se protetti al capo dall'immancabile "paiett". Dopo aver legato "li manuòppre" (i covoni) occorreva depositarli nell'are de Qurìne, de la fond de la sèlve,de lu cambe spurtìve, a la fonde de le coste... dove venivano accatastati da mani esperte, nelle cosidette "carruchele" (biche). Poi giungeva il momento della “trèsche" che non era meno difficoltosa delle precedenti operazioni. Per i bambini però l'arrivo della "machene che trèsch" rappresentava un piacevole diversivo.Non c'era bisogno di essere avvisati, primo perchè d'estate, tolti quei dieci minuti per il pranzo, tutti stavano fuori a giocare. Secondo: i trattori a testa calda che trainavano le trebbie erano talmente assordanti, che se ne percepiva l'arrivo già quando si trovavano "a la crucétt" o "a la pasture".
Una volta giunto in paese, frotte di ragazzini festanti e vocianti, si accodavano allo sbuffante convoglio, per poi assistere alle complesse manovre " p'appustà la machene". Si trattava di un vero e proprio rituale che richiedeva abilità ed esperienza fuori dal comune, soprattutto quando si doveva accedere “all'are de Qurìne" il cui imbocco era costituito da una insidiosa salitella che metteva a dura prova anche i più incalliti trattoristi. Dopo aver espletato i preliminari, ognuno prendeva il suo posto: "lu paiarìne" con paglietta ed occhiali da aviatore anteguerra, coadiuvato da due donzelle, si piazzava in cima alla macchina ed infilava i covoni sciolti fra gli ingranaggi. Altri due "stennave le manuoppre” con la forca. Poi c'erano gli addetti ai sacchi, tenuti costantemente d'occhio dal trattorista che portava il conto dei quintali prodotti incidendo "le ndacche " su una canna.
Intanto i sacchi riempiti venivano caricati sul carro dei buoi per essere condotti a destinazione. Ma non era finita! Infatti se si doveva affrontare "nu capescale" in salita, occorreva un supplemento di fatica. Tale compito veniva espletato dagli uomini più forzuti che, per mancanza di spazio depositavano il grano un po' dappertutto, perfino in camera da letto! Nel frattempo altri si incaricavano di innalzare le mucchie di paglia per mezzo dello "scalapaie". Insomma c'era un viavai di gente indaffarata in un frastuono assordante che si placava quando il trattore smetteva il suo interminabile ronzare. Allora tutti si riparavano all'ombra di una quercia frondosa, veniva steso per terra un candido "mandìle" (tovaglia) e, spossati ma felici, si dava inizio al pranzo a base di "gnuccùne" al ragù, carne e "pagnuttéll", con abbondanti libagioni di vino "casareccio". Tutti gli uomini tracannavano i bicchieri senza remore, tranne uno: lu paiarìne, che si doveva mantenere sobrio per la successiva trebbiatura. Poi la stanchezza e i fumi dell'alcool cominciavano a far sentire i loro effetti: a uno a uno i contadini si abbacchiavano per dare inizio ad un meritato riposo. Le donne no, era sconveniente per loro appisolarsi all'aperto, esse si dedicavano a "rezzelà lu mandìle e l'ieldre mbicce". A quel punto i bambini davano sfogo all'impazienza, scorrazzando tra la paglia, si buttavano sulle morbide montagne di "cama" (pula), giocavano “attinguele” (nascondino) finchè non giungevano le ombre della sera.