ALESSANDRO

TETI

TORRICELLA PELIGNA NEGLI ANNI 50 & 60

  


LA PASQUA

E' molto probabile che almeno una volta nella propria vita ogni torricellano abbia pronunciato cantando, durante la solenne processione del venerdì Santo, questa frase: "Sono stato io l’ingrato, Gesù mio perdòn pietà”. Parole semplici, ma che racchiudono in sè uno dei principi fondamentali del Cristianesimo. Comunque si tranquillizzino i lettori perchè non s'intende intraprendere alcun discorso di tipo teologico, qui si vo¬gliono rievocare solo gli aspetti esteriori e terreni delle festività pasquali di qualche decennio fa a Torricella.
Si cominciava una settimana prima delle Palme quando tutte le sere in chiesa “nu monece” (un frate) teneva la predi¬ca ad una folla strabocchevole di donne, uomini e bambini dall'alto del pulpito.
Tutti restavano incantati dalla sua¬dente loquacità del predicatore, una via di mezzo tra il sa¬piente ed affabile padre Mariano e l'impulsivo e convincen¬te Beppe Grillo. Egli riusciva a tener desta l'attenzione dei presenti grazie alla semplicità dei discorsi inframezzati da motti, barzellette e battute spiritose che suscitavano la frequente ilarità dei fedeli. Per rispettare il precetto "Confessarsi una volta all'anno e comunicarsi almeno a Pa¬squa" si somministrava la Comunione per settori (giovani, bambini, donne, uomini).Con una certa sorpresa si notava che, specialmente fra questi ultimi, si accostavano all'altare anche persone che non avevano più messo piede in chiesa dal giorno del loro matrimonio. La domenica delle Palme si svolgeva la tradizionale benedizione dei rami d'olivo che veni¬vano scossi dai ragazzi nel momento in cui il sacerdote li apergeva con l'acqua santa.
I1 Venerdì Santo, in segno di lutto, gli altari venivano spogliati dei fiori; luci e cande¬le erano spente; le croci coperte con un panno viola; le cam¬pane "si legavano" (non suonavano), al loro posto si usavano "le raganelle" oppure "lu tacchemacch”, dei piccoli marchingegni che, percossi dai bambini, annunciavano l'inizio delle fun¬zioni religiose. Nell'antica chiesetta di San Rocco si espo¬nevano le statue del Cristo disteso coperto di un velo e della Madonna dei sette dolori. Per tutta la giornata c'era un viavai di fedeli che si fermavano in raccoglimento davanti alle sacre figure. A1 tramonto s'incamminava la lunga processione a cui partecipava l'intera popolazione, tranne gli infermi, che però facevano di tutto per assistervi, die¬tro una finestra o dall'alto di una "loggia" (balcone).
Zia Esterina e Vittorio Porreca con le loro voci bene intonate davano inizio ai canti. Le suore tenevano a bada i ragazzi più turbolenti mentre recitavano il rosario. A1 termine, dopo che il sacerdote aveva pronun¬ciato un breve discorso, i partecipanti si accomiatavano dai simulacri baciandoli con devozione. I1 Sabato Santo alle dieci (negli anni 50) e a mezzanotte (successivamente)si ce¬lebrava la messa di Risurrezione (il Gloria).
Le campane suonavano a distesa, la chiesa si illuminava, gli altari riprendevano l'aspetto consueto. Intanto nelle case si effettuavano i preparativi per il pranzo pasquale: la pre¬cedenza assoluta spettava ai dolci. Quelli a forma di cuore fatti con il pan di Spagna; "lu cavallucce" oppure "lu castell " con l'uovo sodo per i maschietti e "la bambolett" per le femminucce e soprattutto "lu fiadòne" ancor oggi vanto della cucina torricellana. I forni del paese (Ustìne, Luisètt, Vingènz de Cannone) sfornavano dolci in continuazione emanando nei din¬torni un invitante profumo da far venire l'acquolina in bocca. Cominciavano ad apparire le prime uova di Pasqua a base di un mediocre surrogato di cioccolato. Maggior fortuna eb¬bero dei dolcetti a forma di confetti con su una gallinella di zucchero impastato.
Anche in questa festività i bambini recitavano la poesia con le consuete campane che suonavano "festose vicine e lontane". A1 momento opportuno faceva la sua comparsa 1'im¬mancabile letterina zeppa di buoni propositi che duravano sì e no per l'arco di una sola giornata. "Cara mamma e caro pa¬pà, in questo giorno di gioia e di pace vi prometto che sarò più buono, più bravo,iù ubbidiente....".
Tuttavia l'atmosfera appariva meno solenne del Natale, di conseguenza anche i regali in denaro erano scarsi e inconsi¬stenti. I1 lunedì dell'Angelo e la domenica in Albis (otta¬vo di Pasqua) venivano dedicati alla scampagnata. General¬mente i ragazzi si recavano "a lu Trassègne". Era l'occasione buona per dare l'ultimo assalto ai dolci avanzati, bagnando¬li con lunghe sorsate di aranciata o di gassosa.