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di Giuliano Gramagna
Data di pubblicazione: 07/07/93

Le capricciose metafore di Alessandro Baricco.

Certi giudizi prodotti da Alessandro Baricco, vincitore del "Viareggio" con il suo secondo romanzo, Oceano mare, hanno innescato una piccola polemica letteraria. Ma converrà resistere alla mala tentazione di leggere il libro attraverso quei giudizi, alcuni sottoscrivibili (come la denuncia del "sonnecchiamento" attuale), altri meno, e ricevere Oceano mare per ciò che è, o sembra essere.

Innanzi tutto, una confluenza di storie, in qualche modo coagulate in un episodio, una figura, un tic. Nella locanda Almayer, sulla riva del mare (mare nordico; epoca indeterminata, presumibilmente Ottocento; geografia fantasiosa), si trovano adunate alcune persone alquanto bizzarre: Plasson, che dipinge le sue marine con acqua salmastra, su tele che restano bianche; il professor Bartleboom, impegnato a scoprire "dove finisce il mare"; la ragazza Elisewin, ammalata di paura e mandata, chaperonnée da padre Pluche, a "salvarsi con il mare" . e lo sarà invece con il sesso; la bella adultera Ann Deverià; Thomas Adams, che aspetta il momento del delitto, ossia della vendetta. Destini che si incrociano e in parte si condizionano, rispetto ai quali la locanda Almayer funziona da luogo e da strumento, un po' come il ponte mortale nel romanzo di Thorton Wilder, Il ponte di san Luis Rey. Si osservi che nel titolo di Baricco, il primo elemento ha valore d'intensificativo del secondo. Se "mare" è il tema del romanzo, "oceano" ne prèdica la smisuratezza, i poteri di fascinazione e dominio: essere mitico e forma di sape re. Insomma, già il titolo introduce il tono del libro, che è nell'ordine del sovraccarico fantastico stilistico. Il "sopra le righe" sembra la norma della scrittura di Baricco . il che non stupirà chi ricordi il suo esordio in Castelli di rabbia. La figura prediletta è quella dell'accumulo, accumulo volentieri iterativo, come nel pezzo di bravura della zattera alla deriva con i suoi sventurati: "La prima cosa è il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che v iene... etc". Dove non basti il linguaggio a lardellare i sensi, le allusioni, interviene il segno tipografico, per esempio, l'impiego ostinato del corsivo; o l'inserzione di materiali fàtici ossia di elementi morti della lingua, a caratterizzare un certo discorso: i "se capite cosa voglio dire", i "va da sè", i "ma comunque", "è ovvio", "altro che scherzi"... Niente è semplice in Baricco, perché moltiplicato da specchi retorici. Egli maneggia con perizia questo apparato; forse con troppa. Il lettore percepisce a tratti come un turbinio a vuoto, intorno al vuoto, quantunque sontuoso ("sanno che, ad averne il coraggio, solo il silenzio lo sarebbe, musica, esatta musica... radura del commiato e stanco lago che infine cola nel palmo di una piccola melodia, imparata da sempre, da cantare sottovoce..."). Direi che i rischi che lo scrittore corre provengono da un eccesso di fiducia nella forza incantatoria (autoincantatoria) di tali manipolazioni, nel "mito personale" così costruito fra barocco e patetico. Ma un libro, peraltro, è un insieme; e se s'invischia nei propri echi per una buona metà, ritrova speditezza e giustificazione nel finale. Vola, via, letteralmente, si disfa nell'aria la locanda Almayer, che a me pare una trovata di humor profondo, degna di Alice, cioè di un capolavoro capriccioso metaforico non poi così distante da Oceano mare. Tutto sommato, alla domanda cardine, se Baricco debba essere considerato uno scrittore su cui contare, si potrà rispondere sì. 

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Ultimo Aggiornamento_Last Update: 2 Mag. 2002