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di Maria Manganaro 
Data di pubblicazione: 2001
Testata di pubblicazione: n.d. 

Eugenio AllegriConversazione con Eugenio Allegri sulla fortuna e la caduta di Novecento di Baricco. 

Novecento, lo spettacolo teatrale scritto da Alessandro Baricco, diretto da Gabriele Vacis e interpretato da Eugenio Allegri (www.eugenioallegri.it), dal suo debutto nel '94 ha girato tutta l'Italia tornando qualche volta nelle stesse sale con successo crescente. Un autentico cavallo di battaglia che l'8 aprile di quest'anno, per una serie di polemiche legate alla direzione artistica dello Stabile di Torino, finisce la sua corsa, almeno nella sua formula iniziale.
Dopo la messinscena è uscito il fortunato libro omonimo presso Feltrinelli e da questo Giuseppe Tornatore ha tratto il suo film. 

Sul piroscafo Virginian che solcando l'Atlantico toccava la sponda europea e americana , un musicista accompagnava le traversate di viaggiatori ed emigranti senza mai mettere piede a terra. Un mondo esistenziale chiuso e completo che evoca tante altre storie di solitudine e isolamento. Con Eugenio Allegri ripercorriamo la vita scenica dello spettacolo. 
"In questi 7 anni, - ci informa Allegri, - più di 120.000 persone hanno visto Novecento. Si può considerare un gran successo anche se in Brasile quello stesso numero di persone riempiono lo stadio in un solo giorno per un partita di calcio. E' una formula che ha toccato diverse generazioni. In camerino veniva gente di tutte le età, dai giovanissimi agli anziani". 

Qual è, secondo te, la ragione di un simile successo?
"Sicuramente c'è più di una di ragione. La spinta iniziale è stata data senz'altro dalla presenza di Alessandro Baricco che all'indomani della scrittura del testo teatrale, prima ancora che fosse pubblicato dalla Feltrinelli e mentre ancora lavoravamo alla messinscena, cominciò a diventare l'autore di spicco della letteratura italiana vincendo il premio Viareggio con Oceano Mare, comparendo in televisione con L'amore è un dardo e con Pickwick. In seguito, però, lo spettacolo ha proseguito la sua strada autonomamente grazie a un passaparola del pubblico a cui cominciava a piacere Novecento a teatro". 
Non essendo un attore televisivo, non mi era mai successo di riempire i teatri con un pubblico popolare che va a cercarsi qualcosa di diverso. A Napoli lo spettacolo è tornato quattro volte e a Torino sei. Sono particolarmente contento e orgoglioso di avere mantenuto un rapporto puro con il teatro".

Anche i critici hanno subito apprezzato la messinscena?
"La critica si è un po' divisa per fazioni, come sempre. Qualcuno si è nettamente schierato a favore dello spettacolo dicendo che era tutto giusto, dall'autore al regista all'attore. Altri manifestavano delle perplessità: Masolino D'Amico non sopportava la mia voce nasale, a Guido Almansi sembrava ridondante la scrittura nel finale, Franco Quadri disse che i monologhi non gli piacevano troppo anche se i risultati c'erano. Ma Novecento è piaciuto subito al pubblico perché, io credo, racconta una storia. Di fronte ad allestimenti mastodontici o a prodotti di una televisione invadente ce ti fa vedere un po' tutto, lo spettatore sente il bisogno di uno spettacolo dove non vede niente ma deve immaginare. E' un teatro di evocazione, di narrazione, fatto con semplicità. Ognuno è autorizzato a ricostruirsi nella testa quello che desidera, le parole sono elementi di evocazione. Credo che sia questo il segreto".

Di sicuro i monologhi narrativi hanno avuto ultimamente grandi consensi anche da parte di spettatori che il teatro lo hanno seguito solo in televisione, penso a Paolini o a Baliani con le loro storie politiche che riguardano la coscienza collettiva di una nazione. Cosa appartiene a te a al pubblico del personaggio Novecento?
"Solo da poco posso finalmente dire che quell'esistenza me la sento addosso. In realtà io so benissimo di averla avuto dentro da sempre. Bisogna ricordare che c'erano dei presupposti precisi per la scrittura che Baricco rivolgeva a un attore e a un regista che conosceva, con i quali condivideva un sentire. Con i dovuti distinguo, Novecento rappresenta dei personaggi che esistono nelle nostre periferie, anche se è facile pensare a certe figure felliniane. Io, che ho vissuto nella periferia torinese fino alla metà degli anni '70 e fino a che non sono maturati i terribili anni '80, questi personaggi li ho visti, li ho conosciuti e quindi li ho riconosciuti in Novecento. Per certi aspetti è stato facile lavorare su una sorta di identificazione. Quasi tutti i passaggi dello spettacolo mi fanno venire in mente persone che ho conosciuto, ogni sfumatura di Novecento, che in qualche modo ho assunto su di me, mi ha formato. In sette anni, butti via molte di queste cose perché le passi al pubblico mentre, d'altra parte, si innesca uno strano meccanismo di rigenerazione per il quale quando consumi una battuta quella battuta stessa ti rivive addosso e la volta dopo ne scopri un motore diverso. Questo forse è un altro dei segreti dello spettacolo.
Ieri sera, a Torino, è venuto un ragazzo da Foligno a vedere lo spettacolo per la decima volta. La cosa strana è che un sacco di gente torna a vederlo E' raro ormai trovare gente che abbia visto Novecento per la prima volta e vengono a dirtelo che è la terza o la quarta volta. Per me è un fenomeno incredibile, non credevo fosse possibile senza essere un attore televisivo. Lo stesso Baricco credo che lo abbia visto sei o sette volte." 

E cosa dice Baricco che per il teatro ha continuato a scrivere Davila Roa messo in scena da Luca Ronconi e quella bizzarra forma di lezione scenica che è Totem?
"A parte le perplessità iniziali, fino alla scorsa stagione veniva a vedere il suo gioiello, incantato anche lui. Questo me lo ha confessato e mi sembra la più sincera testimonianza di una sorta di adesione al lavoro che io e Vacis abbiamo fatto sul palcoscenico, altrimenti non credo che sarebbe tornato così tante volte anche se il testo è suo. E' tornato con la famiglia, con gli amici, ha portato un sacco di gente. E' un riconoscimento importante".

A differenza di Vajont di Paolini e di Corpo di stato di Baliani, Novecento non è passato per la Rai. Perché?
"Abbiamo fatto una ripresa per Telepiù nel '99 mandata in onda alla fine di quello stesso anno insieme al film di Tornatore La leggenda del pianista sull'oceano. 
La ripresa televisiva fatta con 5 telecamere al Carignano con la regia di Gabriele Vacis è di notevole fattura, io stesso starei davanti al televisore a guardarmelo aldilà del mio lavoro. Purtroppo la decisone è di Baricco che è proprietario dei diritti ed è il solo a poter decidere se quella registrazione possa andare in Rai oppure no. E' questo l'unico problema, io ci andrei domani e non per una questione economica ma perché un milione di persone possono vedere lo spettacolo. Ci sarebbe anche un problema con quei brani musicali che non sono autorizzati per riprese televisive ma teatrali. Anche questo però si potrebbe risolvere e, d'altra parte, è già andato in onda su Telepiù e su radio Tre nel dicembre '94. La registrazione in cassetta c'è, se la rai dovesse decidere di mandarla in onda è lì".

E' cambiato qualcosa per te dopo l'uscita del libro e del film di Tornatore? 
"Tornatore è partito dal libro e da un suo rapporto con Baricco. E' venuto a vedere lo spettacolo dopo aver letto il libro. A questo proposito devo dire di un'ingiustizia: nonostante la pubblicazione del testo sia successiva alla messinscena, molti continuano a scrivere che Novecento è "tratto" da Baricco anche sui giornali di Torino, dove tutti sanno tutto delle vicende di un testo che non è un romanzo ma un testo teatrale. Alessandro Baricco ha scritto un copione teatrale che è andato in scena il 28 di giugno del 1994 e poi nell'ottobre dello stesso anno, cinque mesi dopo, è uscito il libro presso la Feltrinelli. Sappiamo tutti che poi si è imposto come racconto perché la forza di questo spettacolo risiede anche nel fatto di poter essere letto come racconto ma il pubblico non legge Goldoni prima di andare a veder uno spettacolo.
Il libro ha venduto 650.000 copie, Tornatore ha fatto il suo film sul libro. Quel film è ciò che il libro ti fa immaginare mentre lo spettacolo teatrale è lavoro che era già nelle corde del nostro sentire comune. Anche Novecento, come tutti i testi, è un pretesto, ti concede la libertà di non seguire le didascalie che, d'altro canto, sono abbastanza elementari per una messinscena teatrale. 
La scrittura di Baricco possiede una dimensione spettacolare dell'immagine adatta al cinema. Tornatore ha visto due volte lo spettacolo prima di cominciare a lavorare al suo film che poi è diventato molto americano con una fotografia molto bella e una grande importanza sul piano produttivo essendo costato 50 miliardi. 
Durante la tournée,il pubblico veniva a teatro con il libretto, come all'opera, per vedere se saltavi qualche battuta. Sotto questo aspetto, i primi spettatori sono stati privilegiati, uscivano intontiti perché non conoscevano la storia. Per una settimana sono rimasto a Milano quando il libro non era ancora stato pubblicato ma nelle ultime repliche il pubblico si aspettava di vedere Baricco in scena e certe signore sono rimaste molto deluse. E' stato difficile confrontarmi con il libro prima e con il film che successivamente Tornatore ha fatto per gli americani ma è un testo scritto per la scena e alla fine ha vinto il teatro".

Qual è l'elemento negativo di questa esemplare esperienza?
"L'unico fatto negativo è che finisca in mezzo alle polemiche e sono solo io a rimetterci. Forse è anche giusto che a un certo punto l'avventura si concluda ma è anche un grande sacrificio. In un articolo apparso sulla Stampa qualche mese fa, Baricco scrive che Novecento si farà senza Allegri. Dal 9 aprile Baricco riprende tutti i diritti di Novecento mentre il teatro stabile li perde. Quest'anno in sole cinque repliche abbiamo avuto 3000 persone. A Parigi lunedì 12 marzo sono state mandate via 300 persone e così è successo anche in Italia, al Carignano era esaurito ogni posto due mesi prima della data dello spettacolo. La gente viene a vederlo anche perché sa che finisce nelle Marche nei primi giorni di aprile".

Si tratta di una messinscena molto agile.
"La squadra è composta da quattro persone: due tecnici alla consolle, uno a manovrare il telo e io. Tutto sta dentro un solo furgone ci sta tutto e fino a due anni fa quando non c'era lo Stabile di Torino non era ancora entrato nella produzione del Laboratorio Settimo, tre tecnici viaggiavano sul furgone. Siamo stati a Vienna, Francoforte, Parigi, Zagabria dove era stato appena tradotto in croato e gli studenti seguivano ogni battuta, dovunque è andato benissimo. Abbiamo fatto 315 repliche dello spettacolo, Arlecchino servitore di due padroni ne ha fatte 4000 in 50 anni: è un bel risultato. Nel tempo, tutti si sono affezionati a Novecento, i direttori dei teatri lo volevano, i tecnici lo difendevano quando lo facevamo in ogni condizione e luogo".

Cosa farai dopo l'8 aprile?
"Prossimamente nel campo del ghetto ebraico a Venezia, dopo Novecento e La storia di Cyrano, faccio il terzo monologo Shylock scritto da un attore-autore che lo ha presentato due anni fa a Edimburgo. Il 20 giugno ci sarà un appuntamento con Pirandello là dove Sanguineti riscrive l'incontro con i sei personaggi. Si tratta di un taccuino del 1901 ritrovato cento anni dopo e sarà allestimento itinerante di cui curo la regia a Coazze dove Pirandello passava le vacanze a casa della sorella sposata a un ingegnere, a ridosso delle Alpi. Una curiosità: sul campanile di Coazze c'è scritto "ognuno a suo modo", è da lì che Pirandello preso il suo titolo. Preparandomi alla pensione, riprenderò anche i miei spettacoli sulla commedia dell'arte. A parte gli scherzi, negli ultimi dieci anni ho lavorato moltissimo ed ho bisogno di un tempo di riflessione per poi ripartire".

www.eugenioallegri.it