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di Magda Poli
Data di pubblicazione: 30/06/94

Un lungo monologo è il felice esordio drammaturgico di Alessandro Baricco 

Siamo nei ruggenti Anni Venti, negli anni della "generazione perduta" e della Festa mobile. Siamo nell'età del jazz, quando il mondo sembrava muoversi seguendone il ritmo irresistibile. 

In questo clima Alessandro Baricco immerge Novecento, la sua prima fatica drammaturgica, un lungo monologo, carico di swing che sembra nascere dagli umori, dalle suggestioni, dai sapori catturati da grandi innamoramenti letterari. Vi si ritrovano echi di Francis Scott Fitzgerald, di Hemingway e di altri ancora. Echi che, quasi fossero degli accordi musicali, degli accenni di melodia, delle tracce di ritmo carpiti qua e là, vanno a comporre una partitura originale, gradevolmente densa. 

Il monologo ha il sapore alla Conrad di un racconto ascoltato, nell'ozio di un porto, dalla bocca di un ex marinaio le cui parole fluttuano tra incanto e disincanto, tra verità e allucinazione. La storia, evocata con grande bravura da Eugenio Allegri, è quella di Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento, un pianista, anzi il più grande pianista del mondo, nato su una nave e lì vissuto senza mai scendervi. E malgrado ciò non si può dire che Novecento non conoscesse il mondo, perché il mondo passava su quell'isola galleggiante e lui lo spiava e gli rubava l'anima. 

Quando, dopo la Seconda guerra mondiale, la nave fu mandata in demolizione, Novecento decide di seguirne il destino: non si può scendere dal proprio mondo, dal proprio immaginario, dalla propria arte, da se stessi. La figura del pianista si disegna attraverso le parole dell'amico in un buon crescendo, la capacità affabulatoria di Alessandro Baricco trova linfa e sostegno nella regia creativa, elegante e raffinata di Gabriele Vacis e dalla ottima prova di Allegri che sembra recitare seguendo il fantastico ritmo interiore che ha governato la vita di Novecento, irresistibile il confronto sfida giocato sui ritmi di ragtime con "l'inventore del jazz" Jelly Roll Morton. 

Solo sul finire, dopo quasi due ore, il ritmo cambia, i l racconto perde di magia, impastoiandosi in inutili "spiegazioni" sul perché della scelta finale del pianista. Lo swing si annulla e tutto sembra scivolare in un pesante rotolarsi di note trattenute. La favola di Novecento che sapeva accarezzare con malinconica voluttà le curve di un ragtime, avrebbe dovuto chiudersi senza troppe risposte, lieve e incantata come la musica della sua vita. All'attore, al regista e all'autore presente in sala il pubblico ha tributato un'accoglienza sinceramente calorosa. 

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Ultimo Aggiornamento_Last Update: 2 Mag. 2002