SCANDIANO (Reggio Emilia) — Arnoldo Foà
, uno dei maestri del teatro italiano, interpreta Novecento. Lo fa quasi da fermo, perché non c'è azione, solo ricordi. Dice che «gli uomini non cambiano mai». I monologhi invece sì: questa è la seconda versione del testo di Alessandro Baricco per la regìa di Gabriele
Vacis, che Foà ha presentato martedì al Boiardo di Scandiano e ieri a
Conselice.
«Il testo — racconta l'attore — è bello. Mi sono chiesto: chissà se interesserà alla gente, ora che viviamo un momento poco tranquillo, tra guerra o non guerra, destra o sinistra, ma
il pubblico ha risposto. Merito di Baricco, ma anche mio, credo».
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Che cosa racconta il monologo?
«Una storia lontana dalle preoccupazioni attuali, quasi una favola. C'è un pianista straordinario che nasce e muore, senza mai scendere, su una nave. Baricco si concentra sul pensiero, non sulla scrittura: comincia un periodo, questo richiama un'altra immagine, e quindi passa a un nuovo periodo, e così via. Come la vita».
Chi è l'attore secondo lei?
«Non credo all'attore che si cala nella parte. È un falso. Il dolore del personaggio non è il dolore dell'attore. Io non mi sono mai calato in un personaggio perché io faccio il personaggio. Il falegname non diventa l'abete che sta lavorando: semplicemente lo lavora. L'attore è un mestierante. Se il mestiere è buono, ecco l'artista. Anche se spesso il mestiere è una necessità».
Quali difficoltà ha incontrato di fronte a un testo contemporameo, non classico?
«E chi l'ha detto che non è classico? Può darsi che lo sia. Perché definiamo classici Aristofane e i pittori del Rinascimento? Se prendiamo El Greco non era affatto classico: figure dal collo lungo, simili a quelle di Modigliani, che all'epoca nessuno faceva. Ora El Greco è un classico, ai suoi tempi no. Lavorando al Pluto di Aristofane, una frase mi ha colpito in particolare: “gli uomini, qualunque sia il governo al quale sono sottoposti e il luogo in cui si trovano, sono sempre uguali”. Prima, senza aver letto Aristofane, i classici li facevo moderni.
Come si pone Novecento rispetto al secolo da cui trae il titolo?
«Novecento è un passaggio, un racconto che si svolge prima e durante il secondo conflitto mondiale, sull'Atlantico. Tim Tooney, il personaggio che regge il monologo, è americano, e la guerra c'è stata, ma non in America. Forse se fosse stato europeo avrei provato altre emozioni. Lui ha perso soltanto un po' di lavoro, con la guerra».
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