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di Franco Brevini |
Il libro di Baricco, e l'ultimo esempio di un fenomeno ormai diffuso: il riscatto della narrativa metropolitana
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L'ultimo libro di Alessandro Baricco testimonia, sin dal titolo, City (Rizzoli), e dalla copertina, l'intenzione di entrare in uno dei grandi luoghi del nostro immaginario. Baricco esemplifica un processo che ha investito la narrativa italiana degli ultimi anni. Sono stati in particolare gli scrittori trenta-quarantenni a mettere finalmente in soffitta la tradizione del romanzo psicologico e poi psicoanalitico otto-novecentesco. I protagonisti dei libri di oggi non «pensano», ma «guardano». Quanta letteratura con ambizioni alte e risultati medi non ha fatto che riproporre instancabilmente drammi psicologici, diari dell'anima, memorie d'infanzia eccetera? Il successo perdurante di due generi come il romanzo familiare e il romanzo storico la dice lunga sulla difficoltà a rappresentare la realtà contemporanea. Questo quadro è rapidamente mutato negli ultimissimi decenni. Nelle opere dei giovani scrittori sembra che la dimensione urbana sia ormai una sorta di a-priori, importato dal cinema e dal fumetto espressi da civiltà più «moderne». Sul versante della narrativa pulp e cannibale la città si offre come luogo di orrore concentrazionario, come labirinto violento. La sua rappresentazione in termini di sesso e violenza si deposita di solito nei calchi del giallo o del noir. Ma gli scenari sono poco riconoscibili e tendono piuttosto verso lo stereotipo. No n è un caso che Milano conosca poche attestazioni: penso a Aldo Nove, ad Andrea De Carlo, a Bruno Pischedda. Più originali e caratterizzati i ritratti di altre città italiane, dove la giovane narrativa ha potuto valorizzare i propri strumenti, cogliendo l'intreccio di modernizzazione e vecchi problemi, di anonimato e colore locale tipici della provincia dell'impero che siamo. Mi sembra il caso soprattutto di Roma e di Napoli. Della prima i libri di Marco Lodoli, Eraldo Affinati, Sandro Veronesi, Niccolò Ammaniti, Sandro Onofri, Edoardo Albinati ci offrono un'immagine di promiscuità levantina ed estraneità. La seconda si presenta invece con le caratteristiche di un Sud America italiano, il cuore di un meridione che continua a battere tra decomposizione sociale e sprazzi di vitalità. Si vedano le pagine di Erri De Luca, di Fabrizia Ramondino, di Peppe Lanzetta, di Giuseppe Montesano, di Francesco Piccolo. Libri come City e come gli altri che ho citato, da una prospettiva straniata, ci pongono di fronte al grande, inconsistente, delirante Barnum della postmodernità urbana in cui siamo immersi. Soprattutto ci parlano con quello stesso linguaggio, con la sua scorciata sintassi. Per chi sia convinto che la città è davvero grande, più grande dei nostri piccoli io, è un gran bel risultato.
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