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di Aldo Lastella |
Dal 14 novembre al festival RomaEuropa il 'City Reading Project' ideato dallo stesso scrittore. In scena con Benni, Air e Sollima. Lo spettacolo è in tre parti, ciascuna replicata per tre sere, durerà fino al 24: 'Faccio teatro per cercare una nuova forma di vita alle mie invenzioni' |
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ROMA - Non sono molti gli scrittori, soprattutto italiani, che come lei, Baricco, hanno un rapporto così assiduo con il teatro. «In realtà di teatro ne ho scritto poco ma ne ho fatto molto, con Totem. E questa è una nuova prova che a Totem va collegata. Scrivere è un lavoro solitario e mi piace, ma andare davanti al pubblico è una cosa forte, mi ridà passione, mi rimette in circolo, mi aiuta a non restare freddo e cinico. Totem è stata un' esperienza di intensità particolare e diretta, ha stupito tutti il risultato sproporzionato rispetto ai mezzi utilizzati: un paradosso che ha continuato a frullarmi in testa. Mi ha indicato una direzione possibile di ricerca. In questo senso, ho pensato che si poteva allestire un "reading", con una voce e mezzi semplici cercando la stessa intensità di Totem. Non a caso nel titolo l' ho chiamato "project", è un passaggio come era Totem all' inizio». Stavolta però ha scelto un libro suo, City, e inserisce la lettura dentro una struttura teatralmente più ricca. «City si presta bene: è un libro lungo costruito con pezzi brevi, quindi è smontabile. Senza sangue è invece come un 45 giri, con un pezzo per facciata. Ho scritto una versione teatrale prima della storia western e poi di tutto City, e l'ho intitolata The clockmaker. L' ho fatta leggere a Luca Ronconi e mi ha detto che in Italia non avrei trovato gli attori adatti a farlo. Per un progetto come City il problema è proprio questo: con quali attori? Con quali voci? Con che stile? Quando gli scrittori ascoltano un "reading" dei propri libri hanno una sensazione sgradevole, non ci si riconoscono. E' come per un regista teatrale non trovare l' attore giusto». Come ha selezionato le parti del romanzo da portare in scena? «Ho scelto le parti che potessero "sopravvivere alla voce", quindi abbastanza narrative e figurative, con poche riflessioni e molte immagini. Poi le ho selezionate in base alla composizione con il resto, con le musiche». A proposito di musiche, saranno eseguite dal vivo? «Sì. La musica dà forza alla lettura, ammesso che non la sbagli. E anche questo l' ho imparato con Totem. Quindi con i due Air, Nicolas Godin e Jean-Benôit Dunckel, ho studiato e lavorato molto a Parigi e mi sembra che abbiano composto i pezzi giusti. Da parte loro ho trovato molta disponibilità, tanto più che avevano già un' idea analoga: e non è detto che la nostra collaborazione finisca qui. Mi piacciono perché hanno la mia stessa idea di tempo: una lentezza molto ricca, come succede nella lettura». E la presenza di Giovanni Sollima? «Suonerà il violoncello dal vivo. Mi piace il suo modo di comporre alla ricerca di emozioni e sentimenti e non come puro esercizio intellettuale. Avevo ascoltato un suo lavoro sulla voce che mi ha affascinato per l' uso del canto e per il montaggio. A entrambi, Air e Sollima, ho chiesto anche un pezzo puramente musicale, come un singolo, in cui si elabori la voce in modo da non tenere conto della comprensione del testo. Gli Air hanno scelto la mia voce che legge un brano su un pistolero, Sollima ha scelto la parte sul pugilato». Perché ha coinvolto un suo collega scrittore come Stefano Benni, ma fuori ruolo, come voce recitante? «Anni fa lo sentii leggere Gadda e mi impressionò molto. Benni è uno scrittore, quindi come "attore" ha una istintiva comprensione del testo, ne capisce l' architettura. E poi ha un bel rapporto con il pubblico e una sua diversità, un modo tutto suo di essere riconoscibile. Credo che in gioventù abbia studiato recitazione, ha una bella impostazione». Molti critici letterari la accusano di fare meta-romanzi, senza passioni, "senza sangue" ha detto qualcuno citando il titolo del suo ultimo libro. Questo sangue lo cerca in teatro? «Ho molte difficoltà a capire cosa sto facendo quando scrivo libri, ma mi pare che anche i critici ci capiscano poco. Alla fine, mi diverte anche vederli così in difficoltà. E mi piace stare su un terreno che non ha definizione. Non credo però che Senza sangue sia senza forza e non credo di dover cercare forza a teatro. Si fa teatro per cercare un' altra forma di vita della medesima invenzione». |
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