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di Giovanni Pacchiano
Data di pubblicazione: 06/05/1999

Quanto ci aveva deluso e irritato Oceano Mare, tanto ci cattura City, il nuovo romanzo di Alessandro Baricco (Rizzoli, pagine 321, lire 28.000). 
Un universo picaresco in movimento, favola dolceamara del nostro tempo, ma con non pochi ammiccamenti rétro. Dove i temi che si rincorrono si strutturano, appunto, come l'idea di una città: le storie narrate equivalgono ai quartieri - propone lo stesso Baricco nel risvolto di copertina -, e i personaggi sono le strade. Grandi strade e piccole; alcune, strade del destino; altre, che si perdono nel nulla.

Protagonista, Gould, un ragazzetto di tredici anni, iperdotato intellettualmente, e disadattato cronico. Un piccolo solitario (lontano il padre, un autoritario opprimente; in clinica psichiatrica l a madre), che ha bruciato le tappe degli studi ed è atteso da una prestigiosa università. Gould (sarà casuale l'omonimia col famoso e altrettanto precoce eccentrico pianista?) vive in un suo mondo di fantasia; scortato da due figure da fumetto, di su a invenzione. Il gigantesco Diesel, un armadio ambulante e il taciturno, perché muto, Poomerang. Un giorno, entra nella sua vita la giovane Shatzy Shell («niente a che vedere con quello della benzina», lei tiene a precisare). Sui trent'anni, spigliata, carina quanto basta e non immune da un fondo di spleen che le fa affrontare in maniera problematica l'esistenza. Un tipetto tutto particolare, che gira con le foto di Walt Disney e di Eva Braun, e che si porta sempre appresso, nella sua borsa gialla, un piccolo registratore. 
Shatzy conosce per caso Gould, raccogliendo al telefono, per conto della casa editrice Crb, il parere dei lettori sull'eventualità di far morire Mami Jane, la madre del mitico Ballon Mac, eroe, da ventidue anni, di una fortunatissima serie di avventure. E le capita di ricevere la telefonata di protesta di Gould. Mollerà il lavoro, diventando qualcosa come la sua governante; di qui, vivendo insieme a lui incontri e peripezie, mescolati alle storie raccontate da gli stessi protagonisti e da altre voci narranti. Storie che compaiono per un momento, per poi rapidamente svanire - barlumi di vite vissute -, o che, invece, ciclicamente ritornano. Come il western che Shatzy sta scrivendo da anni, e che, a sua volta, racchiude vicende che si dipartono e riconfluiscono nella principale. Così - magnifico - l'episodio della stralunata caccia, fino al deserto, dello sceriffo Wister sulle orme dell'indiano Bear. 

In linea con l'irrealismo generale che, frammisto a tratti iper-reali, caratterizza il libro, western ambientato tra fantasticheria e favola, in una città dove gli orologi si sono misteriosamente fermati da oltre 34 anni. O la piccola epopea a puntate del pugile Larry Gorman, un talento del ring; e la sua scalata al titolo mondiale... Illusionista di razza, Baricco gioca, come l'ultimo Orson Wells di F for Fake, sulla vischiosa, seduttiva ambivalenza di verità e menzogna: parla l'autore, dietro e con i suoi personaggi, o è il caso di un fittizio ventriloquismo che copre gli infiniti accenti di un inconscio collettivo, che ha accumulato nella nostra mente tutte le storie e la memoria del mondo? Sicché compito di chi scrive è solo quello di farle riscoprire?
Di fatto appare, City, come un'iride scente, enorme bolla di sapone in cui la vista rischia di smarrirsi: per bandolo, il filo di una scrittura fra le più belle, sciolte e all'apparenza naturali della nostra narrativa di oggi. Chimera destinata a dissolversi in un finale malinconico, volutamente minore, che lascia la bocca amara - così è la vita. Contrasta, perché risolta non narrativamente, non «raccontata», insomma, la scelta da parte dell'autore di blindare il suo libro, contro riserve o fraintendimenti, attraverso il ricorso al demone dell'analogia. 

Come non pensare allo stesso Baricco e al suo romanzo nella lunga spiegazione, per bocca del professor Kilroy, buffo insegnante di Gould, del vero intento di Monet nel dipingere le Nymphéas: «ottenere il nulla attraverso un pro cesso di progressivo decadimento e dispersione del reale»? Ovvero, arrivare al «tutto sorpreso in un istante di momentanea assenza». Lo stesso, nella digressione sull'inevitabile disonestà, tra gli uomini, nell'uso delle idee, e sulla misera bile (ahimé per noi) funzione della critica. Sviste o vendette d'autore? O, forse, invece, l'ultimo e più sottile imbroglio di carte della fredda maschera alcibiadea. Che non concede al mondo la sua vera effigie.