OceanoMare_Home PageAlessandro Baricco >> Biografia e Bibliografia

Home > Ipse scripsit (scritti da Baricco) > Miscellanea

___ MENU ___ L'enigma del fotografo (Quanto al prof. Minnemayer...)
  News
> Community
>
Ipse scripsit
> Interviste
> Speciali
> Totem
> Holden
> Opere

   » City
   » Seta
   » Novecento
   » Oceano Mare
   » Castelli di Rabbia
   » Altre opere
   » Articoli vari...
> Bio e Bibliografia
           ___

> E-mail
> Cerca nel sito
> Link 
> Mappa
> Disclaimer
> Ringraziamenti
> Su questo sito...

           

Alessandro Baricco
Data di pubblicazione: 10/09/99

In linea d'ariaChi era il prof. Minnemayer? E perche mori dopo aver scritto una teoria dell'arte?

Nella collana Traveller della Feltrinelli esce oggi il libro fotografico di Moreno Gentili "In linea d'aria. Immagini di un viaggio a piedi" (pagine 123, lire 18.000) con "le istruzioni per l'uso" e un racconto scritti di Alessandro Baricco. 

 

Quanto al prof. Minnemayer, è doveroso ricordare come le circostanze della sua scomparsa - certo singolari - abbiano finito per ingiustamente sfumare l'importanza degli studi da lui svolti in sette anni di felice collaborazione con il già citato Mark Podder, e sotto la cauta vigilanza dell'Istituto Perelpruner. Tali studi, che era sua intenzione raccogliere in un volume dal titolo Incerta Philosophica, sono tradizionalmente divisi in due periodi: uno antecedente il suo ricovero, l'altro posteriore. Il primo periodo è dai più considerato di scarso interesse, e nonostante alcune singolari teorie sull'istinto animale dei liquidi, tale giudizio risulta sostanzialmente meno ingeneroso di quanto piacerebbe pensare. All'indomani del ricovero, invece, la ricerca del prof. Minnemayer parve trovare il campo suo proprio, seppur attraverso un cammino tortuoso e non sempre cristallino. 

Fu nel 1951, dopo tre anni spesi a catalogare piante tropicali, che il professore si sentì pronto a enunciare la propria teoria sulla "fotografia come invenzione del margine". Come è noto, la repentina - e senza dubbio spettacolare - dipartita del prof. Minnemayer ci ha privati dei capitoli ultimi e decisivi di tale teoria, così da giustificare in definitiva il giudizio espresso recentemente dal prof. Karl Toddalter: "Di quella teoria non si capisce un cazzo". Lo stesso prof. Minnemayer, d'altronde, ebbe a pronunciarsi, in un dialogo tramandato dal già citato Mark Podder, con le seguenti parole: "Ciò che penso di quella faccenda continua ad essermi splendidamente oscuro". Quel che sappiamo è che tutta la sua ricerca partiva dall'opera di un fotografo dilettante, un maestro di scuola dell'Ohio sulla cui identità vigila ancor oggi il più fitto mistero. Nei suoi scritti il prof. Minnemayer lo cita sempre come "il maestro", senza offrire altri dettagli. 

Ad esempio, nella lezione n. 11 egli dice: "Caratteristica prima delle fotografie del maestro è quella di non essere immagini conclusive. Voglio dire che nessuna di esse sembra essere finita. In ciò riprendendo un privilegio che era stato della tecnica pittorica, madre della fotografia, il maestro realizza fotografie apparentemente lasciate a metà: come interrotte da improvvise, deflagranti, crisi di noia. Con termini largamente approssimativi, si potrebbe sintetizzare la cosa, in una espressione di questo genere: le fotografie del maestro sono, senza eccezioni, sbagliate. E' questo, naturalmente, che le rende oltremodo interessanti". 

In un'altra lezione, la n. 6, il prof. Minnemayer approfondisce il concetto con espressioni colorite: "Mi accorgevo che non c'era nulla da guardare, propriamente, in quelle fotografie, e che pure indubitabilmente contenevano immagini, frammenti di realtà, punti di vista, gerarchie di figure, insomma erano fotografie vere e proprie, eppure vertiginosamente inutili, o causali, e immotivate. Questo tratto alterava il compito di chi le guardava, spostandolo dal rito piacevole di acquisire passivamente un'immagine al bisogno irritante di concludere in qualche modo quelle immagini sospese, proseguendole nella propria mente, continuandole in un'estensione arbitraria estorta alla propria fantasia. Era come essere invitati a una cena a casa vostra, se capite cosa voglio dire . Benché è improbabile che lo capiate". 

La riflessione del prof. Minnemayer fece un passo in avanti decisivo nell'agosto del 1956, quattro anni giusti prima dello spettacolare incidente che troncò la carriera, e la vita, del professore. In quel periodo il professore si rese conto di ciò che rendeva uniche le fotografie del maestro: "Sono sempre un po' prima o un po' dopo: nel tempo o nello spazio: alle volte in tutt'e e due". Era come se l'obiettivo mancasse sempre di un metro, o di un istante, quello che sarebbe stato il sensato soggetto della fotografia. Un singolare slittamento spaziale o temporale faceva scivolare le fotografie del maestro ai margini dell'evento, ai bordi delle cose che accadevano, agli orli del significato. Già in studi di decenni precedenti, il prof. Minnemayer aveva segnalato come "quel che accade prima e dopo un evento è la zona di massima rarefazione dell'essere: praticamente un passaggio a vuoto del tempo". 

Un suo tentativo di studiare, nel dettaglio, quelle zone di rarefazione totale era abortito malamente in un saggio poi da lui stesso ripudiato. Le fotografie del maestro gli riproponevano adesso lo stesso enigma. Esse sembravano cogliere ciò che non è dato alla percezione quotidiana di isolare: i margini dell'evento, vale a dire l'abisso del non accadere. "Sono cieli vuoti, dove volano angeli", disse una volta il prof. Minnemayer. E nella lezione n. 21: "Le fotografie del maestro sono ritratti: tutte e indiscriminatamente ritraggono il volo di un angelo. Talvolta di due". Non era un modo di dire. Chi conobbe il prof. Minnemayer (e io ho l'onore di potermi annoverare in quell'eletta schiera) può testimoniare che, ancora pochi giorni prima di perire nel rocambolesco incidente che lo innalzò agli onori della cronaca, il prof. Minnemayer considerava come sua unica consolazione alla "volgarità del vivere" il poter contemplare, a ore precise, e mai per più di tre minuti al giorno, gli angeli del maestro. Diceva che guardarli e partire in vo lo con loro era una cosa sola, e ostinatamente cercava di convincere il suo interlocutore che in quel modo aveva viaggiato viaggi straordinari, che nessuna terra mai avrebbe potuto concedergli. "Il mondo è nascosto dove nulla accade. Il reale è l'ill usione ottica con cui ci hanno fregati", sentenziava. Poiché lo faceva con grande serietà, e sempre con la compostezza dell'uomo di scienza, molti di noi trovavano sensato concedergli una certa attendibilità. Io stesso sono incline a pensare che lo a ssistesse, in questi apparenti vaneggiamenti, la grazia della verità. 

Il 16 agosto 1960, il prof. Minnemayer si recò a pescare con il già citato Mark Podder, perse l'equilibrio e cadde in acqua, trascinandosi dietro l'amico. Non avevano scelto un g ran posto, per pescare. Cioè: era una zona molto ricca di pesci. Ma era anche a soli trecento metri dalle cascate del Niagara. Trascinati dalla corrente, i due arrivarono fin sul colmo delle cascate e poi fecero il gran salto. In certo modo, dovette essere un'esperienza elettrizzante. 

Con un certo rispetto della logica, il prof. Minnemayer perì nell'incidente. Per circostanze che occorre definire miracolose, Mark Podder ne uscì, invece, indenne. Passò ventidue anni, dopo quel fatidico giorno, a chiedersi perché Dio lo avesse voluto salvare, contraddicendo le più elementari leggi fisiche e biologiche. Immagino che si aspettasse di essere un eletto, o qualcosa del genere. Allo scadere del ventiduesimo anno, constatato che niente era success o se non l'ordinaria tragedia di una modesta vita quotidiana, Mark Podder rimise le cose a posto sparandosi un colpo in testa con la pistola del cognato. Le foto del maestro, nessuno le ha mai trovate.

Il Corriere della Sera, 10 settembre 1999.

In linea d'aria - Istruzioni per l'uso
Ad eccezione di due mie brevi note e di alcune pagine dal diario di Moreno, questo libro non ha testo. Dunque non è da leggere. E' da guardare. Contiene una sequenza di immagini: ma non è in senso stretto, un libro di fotografe. Dice Moreno Gentili che è un viaggio. Credo voglia dire che con le sue immagini ha cercato di costruire delle mappe, delle pagine di stradari dell'immaginazione: credo che si aspetti da noi che le apriamo, scegliamo una direzione, una velocità e un tempo, e poi ci mettiamo a viaggiare. Niente di mistico o di particolarmente New Age: si tratta solo di rispolverare una capacità molto ordinaria ma spesso censurata: la capacità che abbiamo di elaborare immagini in libertà a partire da un modello iniziale. Azzerato dal cinema, e concesso con parsimonia dai libri scritti, un simile esercizio di libertà ha bisogno di palestre inusuali. Questo libro è una palestra inusuale. 

Immagino che il modo sbagliato di usarlo sia sfogliarlo e dire: che belle fotografie. Mi viene da pensare che la porta migliore per entrarci sia trovare il tempo dello sguardo: il ritmo con cui girare pagina, il respiro della mente al lavoro. Escludo che ci sia, a priori, un tempo giusto. Ma so che ogni lettore ha un suo tempo giusto, per questo libro, da qualche parte, nella sua mente. Si viaggia per mondi che sono grandi come noi. L'orizzonte non è a una distanza precisa: è fin dove si riesce a guardare. In linea d'aria è una lontananza misurabile in coraggio, rabbia e fantasia.