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Alessandro Baricco |
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NEW YORK - Risalendo il lato occidentale di Central Park, da giù, dal ventre di Manhattan, come per puntare al Museo di Storia Naturale, anche senza volerlo si arriva alla Sede della New York Historical Society. Lì, da mesi, in una stanza neppure troppo grande, con qualche teca in mezzo e un tavolo in fondo con due computer, c'è una strana mostra: niente di artistico in senso stretto, brandelli di Storia, piuttosto, e brandelli è la parola giusta; decine di foto, spesso stampate in formato cartolina: il soggetto è uno solo: rivoltante. Gente impiccata dopo essere stata linciata. |
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Nella stragrande maggioranza sono neri. Nella stragrande maggioranza sono circondati da bianchi vestiti bene che guardano e si fanno fotografare. La mostra si intitola Without Sanctuary. Le foto risalgono ai decenni tra il 1870 e il 1940. Sono un pezzo, per quanto schifoso, di storia americana. Per un europeo sono intollerabili. Chissà che botta, per un americano. Quella del linciaggio è stata a lungo, da quelle parti, una specie di ordinaria straordinarietà. Soprattutto quando il sospettato era nero (omicidio, molestie a qualche ragazza bianca, furto) la sosta in tribunale sembrava, a molti, un'inutile perdita di tempo: lo andavano a prelevare in casa, lo seviziavano in piazza, e poi lo impiccavano. Alle volte lo bruciavano: in quei casi lo chiamavano Negro Barbecue. Alle volte la polizia riusciva ad arrivare per prima e a mettere il sospettato al sicuro, in galera. Allora, se il delitto in questione era particolarmente offensivo per la razza padrona bianca, si formavano spontanee bande di gentiluomini che prendevano d'assalto la galera per andarsi a riprendere ciò che era loro. Quando riuscivano ad appropriarsene (e ci riuscivano) la punizione diventava qualcosa di più del gesto rabbioso di un animale ferito: diventava rito, e cerimonia, e festa collettiva: venivano da paesi lontani chilometri, a vedere, si vestivano bene e riempivano la piazza, portavano anche i bambini, perché imparassero, e anzi è documentato che in alcuni casi le scuole ebbero cura di chiudere, quel giorno, per consentire ai ragazzi di assistere al inciaggio: alcuni riportavano a casa, come souvenir, pezzi dei vestiti delle vittime. Era una festa: potevano mancare i fotografi? No. E infatti c'erano, sempre, e quelle foto le usavano per pubblicizzare la propria ditta. Commercialmente erano un affare: confezionate a cartolina andavano a ruba: quelli che avevano assistito al linciaggio le mandavano ai parenti lontani, con vergate a mano annotazioni anodine, come se fossero state foto di paesaggi: tanto infinitamente povera può essere la crudeltà umana. A un certo punto il traffico di foto di questo tipo diventò talmente imbarazzante che, nel 1908, le Poste americane decisero di rifiutarsi di consegnare quelle cartoline. Continuarono a circolare in canali meno ufficiali. L'uomo che si è messo in testa di andarle a cercare e di collezionarle si chiama James Allen. È un antiquario di Atlanta. Without Sanctuary è il risultato del suo lavoro. La mostra ha attirato talmente tanta gente che l'hanno prorogata: chiuderà il 13 agosto. Le foto sono intollerabili perché sono foto di morti impiccati, questo è ovvio: i corpi sono spesso seviziati, e i modi dell'esecuzione umilianti. Ma è abbastanza chiaro che quelle foto hanno qualcosa di assurdamente ipnotizzante - e totalmente intollerabile - a causa della lora composizione. Al centro c'è sempre il corpo morto, e intorno c'è la gente. È la somma dei due elementi che crea la violenza devastante dell' immagine. Nel cuore della foto c' è un brandello di mondo senza più tempo, rovente e freddo: tutt' intorno c'è mondo ancora in azione, il mondo della vita. Quel che fa venire la vertigine è che non riesci a stabilire un nesso tra quelle due parti della composizione. Sai che il nesso c'è, sei anche preparato a capire che è terribile (quelli sotto hanno fatto fuori quelli appesi e ne sono fieri e ne sono fieri al punto da farsi fotografare lì), ma i nervi non conoscono questo tipo di logica mostruosa che solo la Storia produce, i nervi non conoscono ragioni, e si ribellano come di fronte a qualsiasi altra insensatezza: come di fronte a un'immagine assurda, vengono colti da vertigine. Marion,
Indiana, 7 agosto 1930. A scattare la foto fu uno che si chiamava
Lawrence Beitler. Passò dieci giorni e notti a stamparne migliaia di
copie, tanto gli era venuta bene. E' buio, e il flash ritaglia via dalla
notte solo quello che serve. Il grande albero, il ramo, i due corpi
appesi per il collo, i vestiti strappati, le facce sanguinanti, il collo
spezzato; e nella parte inferiore della foto, la gente, stipata in piedi
sotto gli impiccati. Sulla destra un gruppo di uomini, il cappello
elegante, uno fuma alzando lo sguardo verso i due morti. A destra ci
sono due ragazze, avranno quattordici anni, guardano eccitate il
fotografo, una stringe un pezzo dei pantaloni di uno dei due neri
impiccati, l' altra è carina, un bel vestitino, i capelli ben
pettinati, dietro a loro un giovanottone che ci sta provando, cravatta,
camicia a maniche corte, brillantina in testa e un sorriso da fiera
dell'anguria nella città delle angurie. In centro ci sono tre
personaggi: una donna grassottella, per metà voltata, col volto perso,
come cercando un parente smarrito, una vecchia che si guarda attorno,
con lo sguardo infinitamente normale di una sera in piazza, d'agosto, e
poi un uomo, sui cinquant'anni, forse meno, guarda fisso nell'obbiettivo
(nei miei occhi, cioè), ha immobilizzato il volto in un maschera
serissima, e tiene il braccio sinistro sollevato e sta puntando il dito
indice verso gli impiccati. Ti guarda e indica. P.S. A proposito di testimoni. Nei due computer sul tavolo, lì alla mostra, due bei Mac blu, ti puoi sedere e scrivere una tua opinione, un messaggio, qualcosa. O leggere quelli degli altri. Sono stato lì a leggere per una buona mezz'ora. C'erano molti americani sinceramente stravolti dallo scoprire di cos'era capace la loro patria. C'erano neri che dicevano che i linciaggi esistono ancora. C' era uno che diceva di essere un discendente di uno degli impiccati, e raccontava la sua storia. Molti scrivono soltanto: che Dio ci aiuti. Ho cercato a lungo e in tanta addolorata e sincera costernazione non ho trovato nessuno, dico nessuno, che accennasse alla prima cosa che è venuta in mente a me: la pena di morte. Non dico che il linciaggio sia tout court paragonabile alla pena di morte; mi rendo conto che ci sono delle differenze. Ma comunque non è la prima cosa che ti viene in mente? Sei negli Stati Uniti, vedi una mostra così, e non ti viene in mente la pena di morte? Ma quanto è strana la gente? Ma com'è costruito il loro cervello? Tutti zitti a guardare, testimoni muti? La Repubblica, 14 luglio 2000 |
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_____________________________________ Ultimo Aggiornamento_Last Update: 10 Nov. 2001 |