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Alessandro Baricco
Data di pubblicazione: n.d.
La Repubblica

Dentro la pancia del teatro Flaminio, Italia-Inghilterra di rugby, dieci minuti al fischio d'inizio. il tunnel che dagli spogliatoi porta al campo è breve. una decina di metri e poi due scale di ferro che ti portano in superficie, dove tutto è erba, pali strani e tifosi ululanti al gusto di birra. senti qualche porta sbattere e poi li vedi arrivare.

Ventidue in maglia bianca, ventidue in maglia azzurra. Non ce n'è uno che ride, che parla, niente. sguardi fissi davanti e facce che sembrano ordigni con la miccia corta. accesa. lentiggini e occhi chiari montati su fisici impressionanti, frigoriferi di forma umana, orecchie smangiate, mani ridisegnate da ortopedici pazzi.

Su una maglia azzurra scivola via, clandestino, un segno di croce. quintalate di forza e velocità salgono di corsa le scale e i tacchetti sul ferro regalano un bellissimo rumore di grandinata improvvisa, subito ingoiato dall'ululato dello stadio che li vede sbucare. Baila, baila, oggi suonano il rugby.

Musica geometrica e violenta. gli italiani la suonano a orecchio, gli inglesi ci ballano su da generazioni. è una musica che ha una sua logica quasi primitiva: guadagnare terreno, guerra pura. far indietreggiare il nemico fino a schiacciarlo contro il muro che ha alle spalle. quando gli rubi anche l'ultimo metro, di terra è meta. un goal o un canestro da tre, al confronto, sono acqua tiepida, un giochetto di bravura per abbonati alla manicure. una meta è campo cancellato, è scomparsa totale dell'avversario, è alluvione che azzera. ci puoi arrivare per due strade: o la forza o la velocità. gli italiani scelgono la prima, cercando il muro contro muro, dove il cuore moltiplica i chili per due e il coraggio trova strade impensabili tra tibie, tacchetti, colli e culi.

Gli inglesi per un po' ci stanno, si trovano sotto sette a sei. allora fanno mente locale, si ricordano di quanto è largo il campo e iniziano a ballare. si aprono a ventaglio, piazzano un paio di frustate sulle ali, fanno girare il pallone come una saponetta tra mani di ghiaccio. lo score del primo tempo dice ventitre a sette per loro. dice che la musica è la stessa per tutti, solo che noi suoniamo, loro ballano.

Nell'intervallo gli azzurri non scendono negli spogliatoi. rimangono in mezzo al campo, a guardarsi negli occhi. calcisticamente parlando, sono sotto di due goal. rugbysticamente parlando, non gliene frega niente. "Dai Italia, che ce la facciamo" grida uno con un accento veneto da far paura. capisci che loro, negli occhi, hanno solo la meta con cui hanno azzerato gli inglesi al settimo minuto, tutto il resto è inutile decorazione.

Cos'è il rugby te lo trovi riassunto quando Alessandro Troncon, lì, in mezzo al campo, appoggia un ginocchio per terra, e gli altri si stringono intorno a lui, e d'improvviso c'è solo più silenzio. Troncon ha il numero nove sulla schiena, ma non ha niente a che vedere col centravanti fighetta che aspetta in area e poi raccoglie gloria con stilettate da biliardista. Troncon è il capitano, che nel rugby non è una fascia bianca al braccio del più pagato: lì capitano è il cuore e i marroni della squadra, uno che quando pensi mi arrendo lo guardi e ti senti un verme. Troncon è quello che appoggia un ginocchio sull'erba, e poi si mette a urlare uno strano rap battendosi la mano sul petto, e il rap dice "qui dentro ci deve essere solo la voglia di andare DI LA', placcare DI LA', solo questo, correre DI LA', spingerli DI LA', schiacciarli DI LA', vaccalamiseria". di là è il campo inglese, of course.

Ci passeranno 25 minuti su 40, nel secondo tempo, gli italiani, di là. ma alle volte non basta. gli inglesi prendono martellate e restituiscono veroniche, e il campo sembra in salita, noi scaliamo, loro scivolano. su tutta questa geometrica esplosione di elegante battaglia, domina l'assurdità di quel pallone ovale, geniale trovata che sdrammatizza con i suoi rimbalzi picassiani tutta la faccenda, scherzando un po' tutti, e riportando il generale clima vagamente militare ai toni di un gioco e nient'altro. gli ultimi secondi ce li giochiamo a un soffio dalla linea di meta inglese, buttando dentro tutti i muscoli rimasti e folate di appannata fantasia.

Non ci sono altri sport così. voglio dire, sport in cui a trenta secondi dalla fine trovi gente disposta a buttarsi di testa in una rissa per perdere 17 a 59 invece che 12 a 59. forse il pugilato. ma un pazzo lo si trova sempre: quindici è più difficile. i nostri quindici escono dal campo con gli inglesi che li applaudono, e sono soddisfazioni. a seguire, il terzo tempo: di solito una bella sbornia al pub, tutti insieme, vincitori e sconfitti. Ma qui è il Sei Nazioni, una cosa solenne. quindi cena in smoking. Ammesso che esistano smoking di quelle taglie.

 

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Ultimo Aggiornamento_Last Update: 10 Nov. 2001