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Alessandro Baricco |
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Prima vai su per la Gravellona Toce, la gentile creatura del Nicolazzi, tre corsie quasi regolarmente deserte, uno dei tanti monumenti alla Prima Repubblica, un'autostrada della nostalgia, ormai. Poi giri a destra e arrivi a Varese, che detto così non promette niente di straordinario, e infatti. |
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Se
però poi segui le frecce per Monte Sacro, lì è diverso, perché
superi lo stadio (ricordo improvviso e veltroniano: ma una volta il
Varese era forte, ci giocava anche qualcuno di speciale, forse Anastasi,
prima di andare alla Juve, possibile? Anastasi, che nome, sembra una
figura retorica, l'anàstasi, però lui accentava sulla a dopo, veniva
dal Sud e doveva andare in Messico, ai Mondiali, dove non andò mai
perché lo fregò l'appendice, qualche giorno prima, potrei andare
avanti ore, mi fermo qui), superi lo stadio e incominci a salire in uno
di quei posti tutto. La
sua voce scende E'
per il palcoscenico che sono andato fino a li (tutto il resto mi è
arrivato in regalo, ed è sempre una bella impressione): perché su quel
palcoscenico davano una cosa strana, che si chiama Missa Luba, uno di
quegli ingorghi religioso-etnico-musicali dove mi piace rimanere
inbottigliato. Il testo è quello, in latino, del rito cattolico: Kyrie,
Gloria; Credo e così via. Però la musica è africana (congolese),
l'hanno scritta nei mitici Anni '60 e viene su da secoli di danze canti
melodie tribali, dal cuore del tempo. C'è anche qualche inflessione da
gregoriano, ma affogata nell'ondeggiante salmodia afro, e, sballottata,
con dolcezza, da un piccolo complesso di percussioni. Fa effetto,
sentire il tutto. Intanto è l'unica Messa in cui stai tutto il tempo a
battere il tempo e a ondeggiare sulla sedia, mentre la senti. Tra
fedeli danzanti
Dopo aver griffato la Missa Luba si è portata sul palco i suoi strumentisti e ha staccato un tre quarti d'ora di show, dal Calypso ai canti dì liberazione, un'unica strisciata di sound nero. Non fa molta differenza se canta le parole politiche di una canzone per il Mozambico o sculetta alla grande sul motivetto idiota di una musichetta da Henry Belafonte: c'è sempre dietro quella specie di inossidabile, invincibile vocazione all'allegria, che a noi proprio non appartiene, che forse è la forza di quella gente, forse il limite, è difficile capirlo. Comunque ballavano tutti, lì a Varese, e non solo perché faceva un freddo dell'ostia, ma perché proprio non potevi evitare di farlo, avrebbe ballato anche Cioran, valga come un saluto, adieu maestro, chissà la fatica, fare il nichilista, in Paradiso. La
Stampa, 28 maggio 1996. |
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_____________________________________ Ultimo Aggiornamento_Last Update: 10 Nov. 2001 |