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Alessandro Baricco
Data di pubblicazione: 16/06/99
La Repubblica

Ogni tanto qualche scrittore riesce a cambiare le carte in tavola. A creare nuovi paesaggi. Non si limita a scrivere libri belli. Scrive libri che sono mondi radicalmente inediti. è come se aprisse ai viaggi dell' esperienza territori inesplorati. Spalanca la geografia della scrittura. Negli ultimi vent' anni, di tipi del genere non ne sono mancati: uno è Cormac McCarthy. Se siete pigri o non avete tempo di pensare, potete cavarvela dicendo che è poi sempre un Faulkner rivisitato, e liberarvi dall' incombenza. Ma se vi importa di capire qualcosa, allora leggete McCarthy rimanendo in ascolto: quella musica non la suonava nessuno, prima di lui. Non in quel modo, almeno.

 La musica di McCarthy è crudele. Miseria, violenza, orrori e tragedia sono il filo con cui tesse le sue storie. Se però immaginate qualcosa di pulp, siete sulla cattiva strada. Qui la violenza è sacra, è un simulacro che si aggira per la terra come un testo biblico che promette apocalissi. Non c' è niente di grottesco, e non c' è niente da ridere: l' orrore ha la serietà di un profeta: e non ha mai la futilità del presente: prescrive il futuro. La musica di McCarthy è lenta. I suoi libri aprono un tempo molto particolare, indescrivibile, bisogna provare. Impongono un tempo (di solito un buon indizio per riconoscere il grande scrittore). Ti rallentano. Sminuzzano l' accadere in una rete di microeventi che sgranano il tempo fino a una lentezza in cui tutto suona solenne e definitivo. Chi non riesce a calarsi in quell' andatura, chiude il libro e se ne va. Chi si piega, entra in un mondo inedito: che è una delle buone ragioni per aprire un libro, qualsiasi libro. La musica di McCarthy è gelida e scotta. Questa è una vera acrobazia. Qualsiasi narratore cerca il suo cammino in mezzo a quelle due sponde: una freddezza insignificante e inutile, e un' ipertrofia sentimentale kitsch e truffaldina. Le due sponde sono più vicine di quanto generalmente si pensi. E quel cammino è sovente una sottile striscia di terra su cui è difficile mantenere l' equilibrio necessario. McCarthy ha inventato una traiettoria geniale che avvicina all' estremo le due sponde, fino a farle fondere una nell' altra. Apparentemente molto freddi, i suoi libri sono in realtà di un' intensità ossessiva. Ci potete trovare un sguardo che impassibile registra eruzioni spettacolari e una pagina dopo cartoline sentimentali che in qualsiasi altro libro suonerebbero deplorevoli. C' è qualcosa nella sua scrittura che ricorda l' autorità che hanno le pietre. Come un' umanità pietrificata. Passato che è diventato terra, indurito dal tempo, ma non ucciso. Memoria fossile. Scrittura nel senso più alto, e carismatico, e sacro. Non che gli riesca sempre, è ovvio. Ma spesso. E vedere accadere una cosa del genere è uno spettacolo. La musica di McCarthy è furba. Nel senso che tecnicamente è molto sofisticata. Ma usa trucchi inediti, e dunque in gran parte invisibili. Nasconde con enorme abilità i dialoghi nella voce del narratore; usa sovente lo spagnolo (quasi tutte le sue storie vagolano, anche linguisticamente, intorno al confine tra Stati Uniti e Messico) ottenendo zone di semi-incomprensibilità che danno un bellissimo ritmo sincopato alla narrazione; adotta l' orizzonte epico del western, spostandolo però fuori dalla tradizione del genere, riuscendo così a conservarne la forza ma ad annullarne il tratto ideologico e truffaldino; "scarica" con grande abilità tutti i passaggi forti della narrazione nascondendoli, circondandoli di gelidi ammortizzatori, disegnandoli obliqui tra le righe di una trama geometrica e impassibile. Tecnica pura. Ma fusa nel corpo della narrazione, e pressoché invisibile. Ci puoi ragionare dopo aver letto. Ma mentre leggi, subisci e basta. Un bel modello per chi si interroga sul ruolo della tecnica pura nel gesto dello scrittore. La musica di McCarthy suona una sola canzone e sempre quella. Racconta di gente che con pazienza infinita cerca di rimettere a posto il mondo. Di riportare le cose dove dovrebbero stare. Di correggere le impurità del destino. Che sia una lupa, o dei cavalli rubati, o un cadavere, o un bambino perduto: quello che fanno è cercare di riportarli al loro posto. E non c' è spazio per la ragionevolezza o il buon senso: è un istinto che non conosce limiti, un' ossessione incurabile. Se occorre la violenza, si usa la violenza. Se bisogna morire, si muore. Con la ferocia e l' ottusa determinazione di un giudice che deve riequilibrare i torti della sorte, gli eroi di McCarthy vivono per ricomporre il quadro sfigurato del mondo. Il reale è una Ferita, e loro ne cercano i lembi, e inseguono la saggezza che saprebbe riunirli nella salvezza di qualche cicatrice. Immaginare quel gesto, già è un viaggio. Raccontarlo, questo è quel che riesce a McCarthy.

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Ultimo Aggiornamento_Last Update: 10 Nov. 2001