OceanoMare_Home PageAlessandro Baricco >> Biografia e Bibliografia

Home > Ipse scripsit (scritti da Baricco) > Sulle elezioni presidenziali americane 2000

___ MENU ___ Nel regno della Tv vince il presentatore 
  News
> Community
>
Ipse scripsit
> Interviste
> Speciali
> Totem
> Holden
> Opere

   » City
   » Seta
   » Novecento
   » Oceano Mare
   » Castelli di Rabbia
   » Altre opere
   » Articoli vari...
> Bio e Bibliografia
           ___

> E-mail
> Cerca nel sito
> Link 
> Mappa
> Disclaimer
> Ringraziamenti
> Su questo sito...

           

Alessandro Baricco
Data di pubblicazione: 18/08/00
La  Repubblica

Staples Center, cuore della tele-democrazia - Dal palco messaggi chiari e veloci come in uno spot; fuori le proteste e i cortei di quelli che non si allineano

LOS ANGELES - Succedono cose come questa. A metà pomeriggio il governatore dello Stato di Washington (dico, il governatore, non Daniele Piombi) invita gongolante sul palco tale Marilyn Casey, di Chantilly, Virginia. Parte un filmato. Il filmato spiega che la signorina ha avuto un genitore malato terminale. Poi spiega che lei ha potuto astenersi dal lavoro, senza perderlo, e curare il genitore fino alla sua ultima ora. E questo grazie a un provvedimento di legge che è stato la prima cosa fatta dall'Amministrazione Clinton-Gore. Finisce il filmato, applausi.

 Non basta. Il governatore si avvicina a Marilyn e inizia a intervistarla: con una scioltezza che Bruno Vespa non avrà mai. Lei non sbaglia una battuta e conferma tutta la storia. Durata: tre minuti. Cosa stanno facendo? Grande televisione, stanno facendo. In tutto e per tutto, quella è roba da palinsesto televisivo; i tempi, la logica, la tecnica, la sequenza drammatica, il materiale, la scenografia: è tutta televisione. Sto seduto allo Staples Center di Los Angeles alla Convention dei democratici: e quello che vedo è gente che fa la televisione.
Si potrebbe mettere un punto qui, scuotere la testa, e andarsene. Invece bisogna provare a capire. Dunque. Perché quelli fanno la televisione? Non credo che gli piaccia. Non credo che il governatore dello Stato di Washington si diverta a farla. Gli farà schifo farla. Ma la fa. Perché lui, come tutti i politici, ha bisogno di far arrivare un messaggio in modo chiaro e veloce. Chi sa fare questo, oggi? La televisione e la pubblicità. Incrociatele: otterrete le televendite. Cosa fa il governatore? Una televendita. Vende Al Gore (bisogna riconoscergli che farebbe meno fatica con il salvavita Beghelli).

Ancora un passo indietro. Perché hanno bisogno di mandare messaggi chiari e veloci? La prima risposta che viene è: così la gente capisce. Però non è la sola risposta possibile. Ce n'è una più scomoda: perché quello che hanno da dire è così povero ed elementare che tre minuti e il linguaggio televisivo sono più che sufficienti. Perché non hanno niente da dire che noi già non sappiamo. Perché stanno ripetendo delle parole d'ordine. Perché non stanno spiegando qualcosa da capire: stanno ripetendo slogan da imparare a memoria. Non stanno inventando qualcosa: stanno mitizzando l'esistente.

Ho passato ore, là dentro, e non ho sentito una sola domanda che non fosse retorica: di cui già non si sapesse la risposta. Nessun dibattito, nessuna obiezione, nessuna apertura di nuovi scenari. Solo l'ossessivo, quasi ipnotico, ripetersi addosso alcuni slogan. Fino a quando non finisci per crederci. Tutto ciò ha molto a che fare con la contrazione del paesaggio politico di cui si diceva ieri: con la grande e allegra corsa verso il mitico centro, con la eliminazione delle differenze, con l'avvento di una sorta di Pensiero Unico, che ha poi interpreti con stili e genealogie diverse, ma insomma sempre quello è: la politica come gestione del necessario, non come invenzione del possibile. Per questa politica, capace ormai di muoversi solo in un terreno di scelte obbligate, di percorso già tracciato, di assenza di alternative vere, la limpida velocità del linguaggio televisivo è necessaria perché ruba il tempo alla riflessione, tramanda lo slogan e tiene lo sguardo incollato a un orizzonte molto vicino. L'incubo è che qualcuno si sottragga a quella bonaria ipnosi e si ricordi che, volendo, sapremmo guardare più lontano.

Quelli che se ne ricordano, qui a Los Angeles, stanno fuori, braccati dalla polizia e tallonati dai media. Chiamiamoli il popolo di Seattle? Chiamiamoli così. In realtà sono un mondo che nessuno ha ancor ben capito. C'è di tutto, da quello che ce l'ha con i Mac Donald's, a quello che difende il diritto di andare in bicicletta. C'è, letteralmente, di tutto. Ma se cerchi un minimo comun denominatore quel che trovi è proprio ciò che la politica teme: quella è gente che non ci sta ad allinearsi. Non crede che la Storia proceda col pilota automatico, non crede all'inevitabilità delle cose, e non vuole intrupparsi al centro per la sola fragile ragione che, tutti stipati lì, le cose funzionano meglio. Non ne farei degli eroi, e probabilmente a conoscerli uno ad uno ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli. Ma sono quelli fuori dal gruppo. Sono quelli che continuano a tenere aperto il campo da gioco, mentre la politica ha ormai deciso di giocarsi la partita in un fazzoletto di campo. C'è troppa polizia, qui intorno, per pensare che siano un fenomeno come un altro. Io tanta gente così, in divisa e in assetto di guerra urbana, l'ho vista solo in Godzilla. Viene da chiedersi cosa mai possano fare, quelli là, per essere così temuti. Di cosa sono simbolo per atterrire così. Mi viene in mente solo una cosa: fanno paura perché non ce l'hanno con Gore, ma con qualcosa che sta ben sopra Gore. Sono lì a dire che l'esercizio della democrazia può diventare una forma di tirannide.
Posso citare? Grazie. Toqueville, uno al di sopra di ogni sospetto. "Le repubbliche democratiche rendono il dispotismo superfluo, perché è la maggioranza che stringe un formidabile laccio intorno al pensiero". Ancora una e poi basta. John Stuart Mill, un altro incensurabile: "Quando è la società stessa che diventa tiranno, pratica una tirannia sociale più formidabile che non molti tipi di oppressione politica, dal momento che lascia minori possibilità di sfuggirle, perché si insinua più profondamente nell'intimità della vita e incatena la stessa anima. Occorre pertanto essere protetti anche contro la tirannia delle opinioni e dei sentimenti della maggioranza, contro la tendenza della società a imporre le proprie idee e abitudini come regole di condotta a coloro che se ne discostano, obbligando tutti i caratteri a conformarsi al suo proprio modello". Voilà. Chiaro e veloce. Figurerebbe bene anche in tivù.

Quelli là fuori sentono puzza di tirannide. La parola dà fastidio? Fa fatica sovrapporla a quella, deliziosa, di democrazia? Sì. Molto fastidio. Tanto da scomodare l'intera polizia della Contea. Sono dei pazzi? Credono di vivere in un film di fantascienza con il Grande Fratello che li frega? Sono mitomani? Sono semplicemente cretini?

Stacco.
Interno dello Staples Center.

In una breve pausa tra un automa parlante e l'altro, via con la musica. Melissa Etheridge, chitarra in mano, dirige il coro. Compilation di canzoni buoniste. E il popolo della Convention ci sta, canta e balla. Tutti in piedi, le telecamere vanno in orgasmo, vecchie signore coi capelli gialli e ragazzini neri con il cappellino dei Lakers diventano una sola America, scatta a tradimento un Woody Guthrie infallibile, Questa terra è la mia terra, decolla la fierezza patriottica, vicino a me il giornalista della radio che ha sonnecchiato allegramente fino a quel momento accende il registratore, allunga il microfono e forse neanche si accorge che sta cantando anche lui, è di una radio del Nevada, pensa te, quel coro arriverà in qualche assurdo incrocio di freeway in mezzo al nulla, in un bar dove qualcuno ci spenderà una lacrima, abbiamo costruito un ponte verso il nuovo millennio, ha detto Clinton, l' abbiamo attraversato, ha detto, e non torneremo indietro.
Chissà. Cantare con gli altri, o uscire dal coro e correre veloci con la polizia alle calcagna? Usare quel ponte o scaricarci sopra una camionata di letame? Ostinarsi a credere nella democrazia, o attrezzasi per difendersene? Al confronto, scegliere tra Bush e Gore è una roba da ridere. Scegliere i calzini al mattino è più difficile.

La Repubblica, 18 agosto 2000.

_____________________________________

Home :: News :: Community :: Ipse scripsit :: Opere :: Interviste :: Totem :: Holden :: Speciali :: E-mail :: Ringraziamenti  :: Mappa :: Disclaimer :: Link

 Français :: English : Deutsch

Ultimo Aggiornamento_Last Update: 10 Nov. 2001