CHI
è favorevole dica yes, dice la guardia del corpo. Yes. Chi è contrario
lo dica. Silenzio. Bene, approvata, e la guardia del corpo se ne va. Il
tutto è durato dieci secondi.
Mi
risiedo. Sullo schermo gigante parte un film. C'è una guida alpina che
racconta di quando ha portato Al Gore sulla vetta di non so che
montagna. Dice che a metà se la son vista brutta, una tormenta li aveva
fregati, e così lui decise che era il caso di tornare indietro. Fu a
quel punto che Al Gore disse: no, si va avanti, siamo qui per salire
lassù e lo faremo. We will. E lo fecero. Fine del film. Applausi. Al
microfono arriva il governatore delle Hawaii. Dice che i suoi avi
giunsero in America, dal Giappone, cento e uno anni fa. Non avevano
nemmeno i soldi per pagarsi una casa. E adesso lui è lì, governatore e
felice. Thank you e aloha. Una voce che non si sa dove arriva dice che
bisogna fare la foto, e che i delegati sono pregati di alzarsi, guardare
in un certo punto e possibilmente stare immobili. La cosa dura un po'.
Smile, dice la voce, ironica, a migliaia di persone che nella foto
saranno puntini colorati. Tutti immobili, comunque. Dura più della
votazione. Applausi e via a un nuovo filmato: Missy Jenkins era una
ragazza carina e piena di vita: il primo dicembre 1997, dei ragazzi si
misero a sparare, nella sua scuola, a Paducah, Kentucky. Lei fu ferita e
rimase paralizzata dalla vita in giù. Centinaia di ore spese in cure
massacranti, ma al momento di ritirare il diploma lo ha fatto in piedi,
camminando sulle sue gambe. Finisce il filmato e lei è lì sul palco,
di fianco al suo dottore. Abbozza qualche passo. I democratici sono per
disarmare l'America. Per Missy Jenkins parte un'ovazione.
Cercavo un posto per pensare un po' a cosa diavolo sta diventando la
politica in Italia. È un po' fuori mano, ma l'ho trovato.
Ad esempio: questa storia della corsa al centro. In Europa è una cosa
che ormai abbiamo imparato a conoscere molto bene: cadute la grandi
fedi, tutti ad ammassarsi in centro. Qui in America è una cosa
abbastanza recente. Aveva iniziato Clinton, otto anni fa, andando a
stanare i votanti repubblicani sul loro terreno. Bush ha imparato la
lezione, ha messo nel cassetto le tirate da uomo di destra e parla come
un kennediano convinto. Il risultato è che, a livello di programmi, la
distanza tra i due poli si è ridotta al lumicino. Qualcosa di più che
la sfumatura che divide Mastella da Casini, ma comunque sempre lumicino
è. Sembra una faccenda di pura strategia politica, ma purtroppo non lo
è. Semplificando il panorama politico con la teoria del bipolarismo e
spostando i due poli al centro la politica non va, semplicemente, in un
luogo: lo crea. Mentre insegue gli elettori, in realtà anche se li
trascina dietro, fa del centrismo l'ideologia unica, innalza il buon
senso a unica intelligenza rispettabile, impone la logica del
moderatismo come sola strategia per governare il reale. Il centro
diventa, pensa tu, un valore. IL valore.
La pressione, in questo senso, è talmente forte che la gente, in
assenza di vere posizioni alternative, ormai percepisce le scelte
politiche come obbligate, quasi che il pianeta avesse una sorta di
pilota automatico e il problema fosse solo quello di trovare un pilota
che tenga per finta il volante in mano e che, tutt'al più, sia in grado
di intervenire se qualcosa si rompe. Qui in America, ad esempio, gli
otto anni di Clinton hanno portato il Paese a un livello di ricchezza
mai raggiunto prima. Dice Bush: alla guida poteva esserci chiunque,
sarebbe accaduto lo stesso. Lo dice perché gli fa comodo dirlo, ma in
certo modo interpreta un sospetto che è di molti. L'idea è che
cavalchiamo onde che nessuno sa da dove vengono, quando finiranno, come
funzionano. Il luogo delle decisioni diventa un punto invisibile, una
qualche autorità sommersa, probabilmente banche e multinazionali, ma
poi chissà. Da noi è stata la creazione dell' Unione Europea ad
assolvere con eleganza questo ruolo di fantasma. L'alibi di doversi
allineare all'Europa risolve, nel bene e nel male, qualsiasi conato di
dibattito. È un totem indiscutibile a cui si sacrifica ogni
immaginazione. Ed è un totem che si pone come necessità oggettiva:
dalle norme sul fumo ai diagrammi del Pil, le regole piombano dall'alto
come verità ovvie che da sempre stavano lì, solo aspettando che
qualcuno decidesse di applicarle. La politica cessa di essere
invenzione del possibile e diventa gestione del necessario.
In questo modo tutta la complessità di un'intera civiltà, quella
occidentale, si coagula intorno a un unico asse, in un' orgia di
omologazione che con un colpevole eufemismo si spaccia per pacifica
corsa al centro. Non è che si corre al centro: è che non c'è più
terreno, altrove. Politicamente, intorno hanno fatto terra bruciata. Si
sta lì perché non c'è nessun altro posto dove stare.
Lì è un posto che, se sei un elettore, non richiede grande
intelligenza. Se devi scegliere il pilota di un aereo che va
praticamente da solo, finisce che accondiscendi alla scemenza, e scegli
quello che ha la faccia simpatica, la pettinatura che ti va e un bel
modo di fare. Per cui diventa fondamentale il ruolo dei media.
L'apparenza diventa (quasi) tutto. Fino a che punto si può scivolare,
mettendosi su una china del genere? Una convention democratica, ho
effettivamente verificato, è il posto giusto per sapere la risposta.
Il luogo è lo Staple Center, cattedrale nuova di pacca consacrata
all'entertainment e ai grandi raduni. Qui giocano gli splendidi Lakers
di Shaq e Kobe. Qui, da ogni parte degli Stati Uniti sono venuti a
giocare la loro partita decine di piloti che fanno volare, sempre a
pilota automatico, milioni di persone. Salgono in processione sul palco
e hanno tre minuti e mezzo per dire la loro. La loro è un discorsetto
smerigliato, una lezione per qualsiasi politico italiano. Di solito è
costruito in tre parti. Prima: euforia e fierezza per essere lì.
Seconda: incupimento del tono, e breve momento di preoccupazione per i
destini del Paese. Terza: trionfale indicazione della strada per vincere
y apoteosi final (God bless you). Certe cose non smettono mai di
funzionare. Allegro, Adagio, Allegro: lo schema di tante Sonate di
Beethoven, per dire. Comunque. La prosa è secca, evita troppe
subordinate, esclude qualsiasi metafora, si concede una breve citazione,
non di più (più gettonato: Kennedy). Battute, poche: una battuta che
non fa ridere distrugge più di quanto una battuta riuscita possa
costruire. Gesti: pochissimi: fanno troppo ispanico e poi tanto le
telecamere, che restano sul primo piano, li perderebbero. In compenso la
voce accenta almeno una parola ogni due frasi. Se annoi, sei finito. L'
esecuzione, in tutti, è perfetta. Ho dovuto aspettare due giorni per
vedere finalmente una simpatica signora del Maryland farsi andare di
traverso qualcosa, incespicarsi e tossire. Ho applaudito solo io. Gli
altri: impeccabili. Te li immagini che studiano e ristudiano il loro
discorso a casa, in ufficio, in macchina, lo ripetono alla moglie e ai
figli in pigiama, in memorabili dopocena finita la partita di baseball.
Ma la realtà è meno poetica. In realtà leggono. Hanno un gobbo di
fronte e due ai lati su cui scorre il testo: tutti invisibili ai più.
La cosa fa sì che praticamente loro abbiano solo tre posizioni
possibili: guardano dritto, guardano a sinistra, guardano a destra.
Naturalmente guardano con uno sguardo piuttosto strano: fanno finta di
guardare il pubblico o la telecamera, ma in realtà gli occhi ce l'hanno
sul testo che scorre, a grandi lettere, con le parole da accentare
sottolineate. Così c'è sempre qualcosa di minuscolo che non funziona,
in quello sguardo. Qualcosa di artificiale. Abbinato a quei tre
movimenti obbligati, genera l'effetto automa. Pochi sono quelli riescono
a far filtrare, da quella maschera da replicanti, una carica umana, una
comunicativa vera. Non ci riesce Hillary, che fa il compitino e poco di
più. Ci riesce qualche vecchio senatore che ne ha già viste di tutte,
o qualche giovane di talento. Lunedì sera, ho visto il migliore: niente
da dire: il migliore. È arrivato al microfono, ha ringraziato, poi si
è sporto un po' verso la gente e con un sorriso da avance al bar se ne
è uscito con un: bello essere tutti qui in California eh?
Chi
si vede. Bill Clinton.
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