L'autore                                                                                                                                  

                                                             La copertina della raccolta (Grafica Pigliacelli - Frosinone)

 

 

LA “CITTADELLA”

 

Da dentro il Camposanto io estatico t’ammiro:

la chiglia d’una corazzata tu m’appari

pronta nel mare aperto a entrare pel gran viaggio.

                                                              Un sogno il mio?

Ahi “Cittadella”, decenni sono che attendi il tuo pilota

che salpar ti faccia nella Valle ed oltre i suoi confini

Trascurata e immota invece, solo affronti subir ti tocca

                                                              da figli ingrati!

  Chi per ignavia, chi per livore, nessuno dalla darsena

leva le tue ancore per farti navigar in alto mare

e riscoprir il fascino di verdi allori del tuo passato

                                                               dimenticato!

  Nella tua gigantesca forza scuotiti, esci in battaglia,

sgomina chi ferma vuoi tenerti, mentre il tuo destino

è cimentarti sempre con la modernità dei tempi

                                                               in mare aperto!

  E’ bene ricordar ai troppi immemori quel che la Storia dice

Patrica t’han chiamata “ i Padri “ da Patricia gente nati

e che di Roma ha titoli pel mondo intero ancora

                                                               e a noi ci onora!

  Non è un sogno questo che vado raccontando in versi e in prosa

perché presto inverar lo vedo e dentro e fuori della Porta

in una realtà tutta unita, e Te tornata grande in Ciociaria

                                                               Patrica mia!

  Patrica, 10 agosto 1992

 

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PRESENTAZIONE

 

                                                                             di Pierino Montini

1982: Balcono beglio dulla uallo;. 1986: Inquietudini; 1983: Aneliti d’infinito. Dalla scansione ritmica delle pubblicazioni precedenti eravamo stati indotti a credere nell’opportunità di attendere ancora qualche anno, prima di vedere pubblicata questa raccolta, che ha il titolo significativo Dedicato a Patrica.

Non dubitavamo, infatti, di vedere approfonditi o rielaborati temi abituali nella poetica del p. Ernesto, come quelli contenuti nel presente volume, quanto del tempo di attesa per la stampa.

Dedicato a Patrica ha un significato fondamentale per il cammino poetico del nostro poeta. Il titolo denota ciò e lo si dimostra a partire dal fatto che il titolo stesso venga recepito non soltanto come una semplice dedica, ma come qualcosa in più. E’ come un complimento che si può scrivere al proprio amore. Dedicato a Patrica è tutto questo e, sopratutto, non è la ricerca di specchiarsi nei propri pensieri, ma la rincorsa verso il luogo dove si cela l’amore ed il motivo per cui un amore diventa il proprio amore.

Il volume raccoglie 24 componimenti di vario genere, scritti per lo più tra gli anni 80 e 90. Come già risulta dalla suddivisione, non cronologica ma espressivo - tematica, l’insieme è formato da tre sezioni. Ognuna di esse, poi, affronta temi solo apparentemente distanti nel lessico e nei contenuti, ma molto vicini a motivo del fondamento che li accomuna.

In essi p. Ernesto manifesta una maturità artistica, che raggiunge il livello di altri componimenti presenti nelle altre raccolte, e una linearità espositiva e contenutistica, che è sinonimo di sapienza che sottende equilibrio e profetismo. Vale a dire, egli coglie non solo il giusto senso di quanto dice e di come lo dice, ma anche la qualità intrinseca della testimonianza e della trasparenza.

Risulta, quindi, un insieme armonico nel quale con­fluiscono l’uomo, il poeta ed il religioso francescano, Esiste un filo conduttore all’interno di tutta la poetica di p. Ernesto, evidenziabile nell‘atteggiamento “dell’uomo che alto guarda - con quella fede che da Dio gli viene” (il chicco di grano). Può parlare di tutto: del suo paese, de/la città, di altri; può usare registri diversi: quello pedagogico, quello didascalico e altri; può usare toni sommessi, sprezzanti; può raccontare fatti del Vecchio e del Nuovo Testamento, della spiritualità francescana, oppure della cultura greco - romana, eppure egli è lì, come una sentinella che si sintonizza tra il passato ed il presente, tra l’ironico ed il caustico, tra ciò che è caduto nella dimenticanza e ciò che ancora chiede di esistere.

Al di là dei modi di dire semplici, quotidiani e non, sia nella versione italiana che vernacola, si erge una simbologia che raccoglie in sé una sorta di presenzialità derivata dai Testi sacri e dalla traditio francescana. Siamo di fronte ad una sintesi convergente di elementi laici e cristiani, mediati entro l’ottica su accennata, cioè la sapienzialità.

Senza alcun dubbio la figura simbolica più significa­tiva ed emergente è quella relativa alla cittadella, alla quale è dedicata la composizione omonima. La cittadella è per i forestieri, il punto più alto e granitico del paese. Essa, se da una parte sovrasta il cimitero, dall‘altra accoglie nel prolungamento del suo corpo buona parte dell’abitato. Su di essa un tempo sorgeva un castello, ora scomparso, del quale resistono solo brandelli di mura antiche. Cittadella, per ciò, come fonte di storia e di giudizio, di ciò che è stato e di ciò che potrebbe essere, ma non è.

Significativo, a questo proposito, il fatto che il nostro ammiri la cittadella da una sorta di lontananza che non sa né di tempo, né di spazio, ma d’anima.

La roccia, che è la cittadella stessa, è pietra viva e solida, tanto resistente da creare un insuperabile divario tra la vita e la morte. il poeta la contempla stando dalla parte del cimitero, non avendo di fronte a sé l‘abitato. Il messaggio non riguarda gli abitanti dell’uno e dell’altro luogo, ma quanto di radicale accomuna entrambi. Essa è come un‘ipotesi di giudizio storico per i viventi e di giudizio escatologico per i morti: lo storico, come tale è racchiuso in sè, non ha alcuna possibilità di orientarsi al valore del giudizio finale se non nella misura in cui si incanala in esso già da ora.

Così sembra di assistere ad una trasfigurazione assiologica ed assommativa tra quanto p. Ernesto opera poeticamente e quanto è stato già operato precedentemente nel Vecchio Testamento, riguardo all‘arca del popolo eletto, nel Nuovo Testamento, in relazione al monte della morte e della trasfigurazione del Cristo, ed, infine, nello scoglio sul quale per frate Francesco si attuò il miracolo del primo presepe vivente.

Presepici, poi, sono il paesaggio, gli abitanti e le interrelazioni instaurate tra gente - animali - luoghi. Più che Fedro ed Esopo, più che Paolo degli Atti dgli Aøostoli i brani e le parabole presenti in questa raccolta sono di sapore francescano. Il poeta è un alter Franciscus un altro Francesco, il quale, anche se ciociaro e con un linguaggio attinente a questa reliquia della Ciociaria, attualizza le meraviglie della poesia e del miracolo dietro le distanti orme, direbbe Virgilio, di frate Francesco. Si attua un‘attua­lità analogica e non univoca. Anche se nel raccontare, se con gli animali viene usato un metodo di approccio, che rispecchia i toni di Esopo e Fedro, il contenuto, qualcuno direbbe la morale, è di stile meramente francescano.

A questo punto il vero poeta trae a sé tutto, passato, presente e, purtroppo, il timore di un futuro incerto, ma anche gli uomini e le cose, per far di sé un altro dono di amore attuale. Stessa melodia, stessa spiritualità, ma attualità che dà un significato all’oggi. E non è da dimenticare, anche se lo diciamo per inciso, che p. Ernesto dimostra con ciò di darsi totalmente a Patrica e unicamente a Cristo.

Poeticamente parlando, la roccia presenzializza la continuità dell’esigenza di una significanza storica, che taluni uomini grandi hanno attuato per Patrica, ma che oggi sono così pochi, se non assenti.

Non è di poco conto se, leggendo alcune composizioni, si ha la conferma di un poeta che sa cosa dire e sa come dirlo.

In p. Ernesto i reticolati, costituiti dalle scale, dai vicoli, dalle piazzette, dalle terrazze e, per certi aspetti, dalle rughe dei suoi compaesani, i reticolati così cari all’illustre Libero de Libero, sui quali dominava l’immobile “grande Forse” si spandono o, meglio, si generano entro insperate e nascoste significanze. Libero ha evidenziato le meraviglie che nascono da esse, p. Ernesto ne coglie il  miracolo.