E se un giorno, all'improvviso...
Decise che sarebbe partita l'indomani, con quel semplice, innocuo e banale gesto: buttò le calze per terra quella sera, anzichè riporle diligentemente nel cesto della biancheria sporca, come tutte le altre volte, come sempre. Pianificò rapidamente le azioni che avrebbero fatto seguito a quella decisione. Dove andare. Il mare, l'unico richiamo davvero forte, davvero urgente, la sua salvezza. Troppo dolore da lavare via, non sarebbe bastato un fiume o un lago. Ci voleva il mare, con la sua profondità, la risacca, l'onda schiumosa ora languida e lenta ora dirompente e bruciante. Cosa portare: i suoi vestiti preferiti, quelli in cui rannicchiarsi nei momenti tristi, quelli belli ed eleganti per i giorni di sole e di sfrontata allegria in cui mostrare il proprio corpo dà gioia e compiutezza, quelli vecchi ma tanto amati, per consolarsi quando la tristezza e la nostalgia la acchippavano e la trascinavano giù, sempre più giù. Come arrivare: senza alcun dubbio, scelse il treno. Così grande, rassicurante, protettivo e disciplinato. Le era sempre piaciuto viaggiarci. Un buon libro, un posto vicino al finestrino, tutto qui. Lui faceva tutto il resto: la cullava con il suo ritmico avanzare, la portava a destinazione senza imporle brusche sterzate, improvvise frenate, clacson esasperanti o fanali istericamente lampeggianti, ma regalandole il continuo divenire del panorama che scorreva come un infinito diorama ai suoi occhi. E poi le piaceva osservare, di nascosto, gli altri viaggiatori: intercettare le conversazioni, gli sguardi, fantasticare su un sorriso o su un sospiro, ma la cosa che la divertiva di più era spiare gli addi dal finestrino. Ad ogni stazione ce n'era uno diverso, ma i suoi preferiti, da inguaribile romantica, erano quelli tra fidanzati o amanti o chissà cosa. Gli abbracci languidi, i baci appassionati e prolungati allo sfinimento, i sorrisi stentati, quelle mani intrecciate che faticavano a sciogliersi... quante emozioni aveva assorbito riflesse dal vetro! a volte aveva pensato che non avrebbe dato una lira per essere al posto di quella coppia, ma altre volte, oh sì! Altre volte aveva davvero pensato che una volta nella vita valeva la pena essere salutati così alla stazione, sia che si partisse per un giorno o per tutta la vita. Dormì poco e male quella notte. Doveva progettare l'indispensabile ma con un occhio agli effetti collaterali di quella decisione. Sembra facile decidere di partire: siamo comunque piante che sembrano avere poche radici ed invece siamo più infestanti della gramigna. Il lavoro, la famiglia. Inderogabili scadenze. Decise che 2 telefonate al momento l'avrebbero messa al riparo dalle invettive più feroci, col tempo avrebbe lavorato di cesello e sistemato tutto, un po' alla volta, poco poco, piano piano. Sul lavoro disse che prendeva due giorni di permesso, borbottii ma tutto sommato non le fecero grosse difficoltà. Ma lunedì torni vero? beh, ti faccio sapere venerdì, ok? Al mare ci sarà certo un medico che compilerà un certificato medico, poi si vedrà. Con mamma fu un po' più complicato. I perchè i ma e i se si sprecarono, dilatarono la telefonata e la straziarono un po' più di un po'. mamma era un segugio patentato: fiutava i suoi umori come un cane da tartufi e.. individuata la scia attuava la sua storica mossa da martello pneumatico e ti stanava, non c'era scampo. Ma la notte non era stata insonne invano. 40 anni di consumata esperienze valgono ben qualcosa. E con una soavissimo tono flautato intortò la robusta genitrice: che vuoi, un convegno, già sempre all'ultimo minuto, no, non ho bisogno che mi accompagni alla stazione, ma certo che ti telefono quando arrivo. Dov'è? Behhhhhh... al mare. Dove? emhhhhhhh.... alle Cinque Terre! Quale delle 5??? Oh mamma! Scusa!!! Mi esce il latte dal pentolino!!!! Ti chiamo appena sono sistemata ok??? Ciao ciao ciaooooo! Pessima attrice. Pensò. Se non mi spiccio a partire entro 1 ora ce l'ho sotto casa e mi perquisisce il bagaglio...
Taxi. Stazione centrale. Rapida scorsa al tabellone delle partenze. Binario 1. Occhi che corrono veloci ad individuare il percorso. Un rapido controllo al trolley, alla borsa, ben posizionata a tracolla, alle persone che circolano come formichine operose (o inoperose come il barbone poco distante...) e poi via. Senza voltarsi a guardare più nulla. Solo la sagoma greve e rassicurante del treno, che pare solo attendere lei.
Vagone. Scompartimento. E' la vigilia del weekend e c'è parecchia gente. Ma il posto vicino al finestrino c'è. E' per lei. Con qualche sforzo e una piccola imprecazione (che non fa ma aiuta!) issa la valigia sul portabagagli. E con un sospiro si siede (ma darebbe più onesto dire "si abbatte") sul sedile. Che non sarà il massimo della pulizia (anche il vetro non vede da tempo uno straccetto pietoso..) ma è il suo rifugio, il passaporto per la fuga.
L'orologio- Inutile negarlo: non può vivere senza darci un'occhiata ogni.. 5 minuti? per controllare che il treno parta in orario, per rassicurarsi sul tempo già trascorso, per conteggiare quanto manca all'arrivo... Ma tra le mani ha un libro, insostituibile compagno di viaggio ed astuto dissausore di conversazioni indesiderate. Perchè è risaputo che quando ti siedi in uno dei 4 sedili negli altri tre, o almeno in uno, si siederà un indesiderato conversatore compulsivo di cose inutili, che si premurerà di esprimere opinioni discutibili su tempo, politica e salute, più o meno in quest'ordine. Lo farà dapprima genericamente a voce alta, come se parlasse tra sè e sè, poi si volgerà ai presenti cercando di intercettare anche il minimo sguardo obliquo che gli venga rivolto, attento a non farsi sfuggire l'occasione di proseguire e prolungare la conversazione a dismisura, nutrendosene ed alimentandola dei "sehhh" o degli "eggià" dell'involontario e ritroso interlocutore.
Il libro. La cortina fumogena della comunicazione interpersonale. Quel discreto e così cortese separè che ti avvolge ed estrania dal mondo. Lo tiene tra le mani, lo apre e lo chiude a seconda delle fermate, si sa che mai si perdesse un salire e scendere particolarmente significativo. Era troppo di fretta per una scelta ragionata e così ha afferrato al volo e ficcato nello zaino quello che giaceva da tempo immemore sul comodino, così facente ormai parte della consuetudine da sembrare più che altro un oggetto da spolverare.
Si sente maledettamente in colpa per questo suo improvviso digiuno letterario, come se le si fosse asciugata una vena. Da famelica ed onnivora lettrice ad anoressica consumatrice di blog o sbocconcellatrice casuale. Mai più una di quelle intense e gastronomiche passioni che la portavano a comprare uno dietro l'altro tutti i libri dell'autore del momento: c'era stato Pennac e poi Montalban e poi De Carlo e poi la Harris e poi anche la Meyer che,,, diciamolo.. era già un segno premonitore che più che gastronoma stava diventando consumatrice da fast food... dal peso che le gravava in grembo si rese conto che il libro scelto era un mattone in tutti i sensi, fisici financo che letterari. Ma era la sua giusta espiazione. Romanzo storico sulla costruzione dell'ennesima cattedrale, poteva prolungarne la lettura nei secoli... tanto la fabbrica del duomo è sempre aperta...no?
I suoi vicini. Un rapido cenno di saluto al loro arrivare ed un breve sorriso già rivolto a guardare il finestrino le sembravano di fatto un buon deterrente. E il conversatore compulsivo? Al momento latitante, era sostituito da uno studente nettamente in ritardo sull'orario d'ingresso che messaggiava come un forsennato al ritmo di chissà quale musica che gli sferragliava i timpani attraverso le cuffiette ben calcate. Adeguatamente svaccato sul sedile, sì che le sue ginocchia si sarebbero scontrate con quelle di lei se solo la medesima non le avesse contratte e ripiegate accuratamente di lato... dove sedeva invece una distinta signora dall'aria assorta che probabilmente aveva un appuntamento importante, tanto scrutava ansiosa il nome di tutte le stazioni. Nel quarto sedile c'era una vistosa nordafricana con un variopinto foulard in testa ed un abito etnico che odorava di fritto e di kebab... non il massimo per stuzzicare l'appetito a quell'ora. Lei parlava al telefono concitata ed a voce alta, uno sproloquio simile ad un rosario di giaculatorie di chissà quale dialetto berbero, su chissà quale argomento (ma non poteva che essere un problema economico...). Ogni tanto riagganciava stizzita ma poi ricomponeva il numero ancor più stizzita... tra una pausa e l'altra si sventagliava il seno prosperoso guardandosi intorno, pronta a schizzare verso l'uscita se avesse intravisto arrivare il bigliettaio...
Il telefono. Già il telefono!!! lo aveva spento alla stazione in un indomito afflato di indipendenza, una sorta di Mazzini alla guida della Giovine Italia, decisa a combattere e vincere la dolorosa tentazione di riaccenderlo e controllare ogni 5 minuti, cioè appena dopo aver sbirciato l'ora, se ci fossero chiamate o messaggi. Ma di chi? della mamma, della famiglia, del lavoro, degli amici, di... chissà se mai l'avrebbe cercata ANCORA....