UN'INTERVISTA AL CREATORE
DEI GIOCHI DI COMITATO
Ho incontrato l'inventore dei Giochi di Comitato ad Urbino, durante una manifestazione ludica e senza farmi trovare impreparato, ho pensato bene di ricavarne una breve intervista, da quella che in realtà è stata una lunga conversazione tra uno che vuole sapere (io) ed un altro che non voleva dire nulla (lui). Il creatore dei Giochi di Comitato, si chiama Riccardo Affinati, ed è un vero lupo solitario, quella è stata l'ultima manifestazione a cui ha partecipato, poi la nostra amicizia è proseguita per forza di cose tramite e-mail, essendo lui residente a Roma ed io a Parma. Non ci vediamo ormai da diversi anni eppure ancora gli scrivo con piacere, e quel colloquio mentre camminavamo per le strade di Urbino è ancora presente nella mia mente, così come sempre quando due persone che la pensano in maniera uguale, si sorprendono di avere incontrato qualcuno simile a loro.
D. Come ti è venuto in mente di inventare i Giochi di Comitato.
R. Per caso, come sempre, all'epoca giocavo a wargame, simulavamo battaglie storiche tramite soldatini di piombo, dadi, metri e regole, un amico mi fece conoscere le teorie di un insegnate inglese dell'accademia militare, le sue teorie mi stimolarono al punto da variare la sua visione militare delle ambientazioni, per riportarla al mondo ludico. Ulteriori approfondimenti, mi portarono a cercare le radici di quelle metodologie di gioco, sorpassai al volo gli scritti di alcuni psicologi americani, e lasciandomi indietro psicodrammi e giochi di ruolo, sono approdato infine all'essenza della recitazione, senza pleonastiche strutture fatiscenti. La filosofia dei Giochi di Comitato è l'interpretazione pura senza dadi o parametri e regole rigide, semmai è il metodo simulativo interpersonale a rendere variabile la simulazione.
D. Qual'è stato il primo gioco di comitato che hai creato?
R. E' stato "Il caso Ustica", un'ambientazione che purtroppo è ancora oggi di attualità, a differenza di "Carlo e Diana", che per ovvi motivi si è concluso tragicamente.
D. Qual'é il GdC che ha riscosso più successo?
R. La serie degli "Omicidi" (Omicidio a Bologna, Omicidio a Firenze, Omicidio a Milano, ecc.) e il "Sofà del produttore" sono alcuni di quelli più giocati durante le manifestazioni, ma non credo che esista una graduatoria precisa.
D. Quanti GdC sono stati distribuiti, in tutti questi anni?
R. Non saprei, per quanto riguarda quelli fatti da me, parlerei più di distribuzione amatoriale, tieni presente che nessun GdC è stato mai pubblicato da una casa editrice importante, diciamo che tramite Internet, manifestazioni varie ed il punto vendita di Roma, abbiamo superato le 50.000 copie, ma la cosa è per me irrilevante ed anche difficile da controllare.
D. Perché i GdC non sono mai stati pubblicati a livello professionale?
R. In Italia, progettare giochi di società non rende ricchi e neanche famosi, una volta superata la sana soddisfazione momentanea, tutto diventa evanescente, in genere sono le case editrici a guadagnare qualcosa, all'autore spesso non viene neanche concesso il nome sulla scatola. In passato si era parlato di una sorta di antologia di GdC, raccogliendo una parte degli autori italiani, ma poi ci siamo accorti che la distribuzione sarebbe stata irrisoria, e non se ne è fatto più niente.
Ritengo che con il fenomeno Internet, la distribuzione delle proprie idee possa avvenire in maniera rapida e più soddisfacente, rispetto alle normali vie, e con un maggior controllo sul prodotto stesso. Al momento, pare strano ma la forza dei GdC, consiste proprio nella loro mancata notorietà, per chiunque sono una scoperta continua, si rimane meravigliati di fronte alle loro possibilità e continue varianti.
D. Te li hanno mai copiati?
R. In genere si copiano le cose belle, c'è chi lo fa in buona fede e c'è chi ci marcia un po', sono accadute entrambe le cose, ma ho capito che non bisogna arrabbiarsi, protestare serve a poco. In genere, per fortuna accade che un giocatore sia talmente rimasto soddisfatto da un Gioco di Comitato, di produrre in lui la voglia di scrivere qualcosa di simile, cambiando situazione o ambientazione, per poi giocarlo insieme a qualche amico, se poi si vuole pubblicarlo su Internet o da altre parti, è buona cosa fare il nome dell'autore a cui ci si è ispirati. In fondo, ognuno di noi si ispira a qualcosa, consapevolmente o inconsapevolmente, riferire le fonti di ispirazione non rende meno grande il proprio lavoro, anzi lo rende più identificabile. Nel mondo del gioco, questo accade raramente si preferisce cambiare nome, fare qualche ritocco e spacciare il tutto come una cosa tutta sua, nei Giochi di Comitato, non essendoci dietro un interesse economico, la cosa diventa solo di cattivo gusto.
D. Ma come funzionano i Giochi di Comitato?
R. Basta leggersi la propria scheda personaggio, in genere ci sono poche righe che spiegano l'ambientazione e il personaggio da interpretare, per ultimo c'è scritto l'obiettivo principale da raggiungere se si vuol vincere.
Tutto il resto viene da se, il divertimento in genere è assicurato, provare per credere, pare strano ma è una cosa così semplice che mi resta difficile spiegare i meccanismi con i quali tutto questo avviene.
D. Da come parli sembra che scrivere i Giochi di Comitato, sia una cosa semplicissima?
R. E' semplice giocare ai Giochi di Comitato, scrivere invece GdC, diventa più complesso, perché non si tratta solo di progettare una situazione geometrica, ma entra nel complesso la metodologia della scrittura creativa. E' come quando leggi un bel libro e ti pare così bello e fluido da poterlo scrivere anche tu, poi quando ti metti davanti al foglio di carta ti viene a mancare quella ispirazione, che ti pareva così facile ed intuitiva.
D. Che pensi dei Giochi di Ruolo?
R. L'avvento dei giochi di carta ha spazzato via, in un attimo, i Gdr e spesso sono stati gli stessi giocatori ed autori a non capire, che il loro successo avrebbe costituito la fine del sistema dadi e tabelle. La scomparsa dei GdR è stata per gli USA, un fatto economico, cioè la chiusura di aziende ed il loro tentativo di riciclarsi, mentre in Italia, vivendo di riflesso, cioè di traduzioni o di prodotti importati, ha significato la fine di una era di giocatori. Resiste ancora un piccolo zoccolo duro di irriducibile, assai attivo e vitale, ma si tratta di tutta una nuova generazione, i vecchi stanno a guardare, sperando che negli USA nasca una nuova moda, che possa soddisfare i loro gusti. Il popolo amante dei GdR non è certo morto, ma ha dovuto limitare la propria passione ed in qualche caso, riconvertirsi in altre attività telematiche, sono crollate riviste e morte case editrici specializzate esclusivamente in Gdr, secondo me è terminata un'era ludica, ora siamo in una sorta di medioevo, non so quando avremo il rinascimento, comunque sia, non credo utile una lotta contro i mulini a vento, guai censurare o vietare il collezionismo cartaceo e la loro indubbia assuefazione, i giocatori dovranno fare tutto da soli, non c'è altra via, è il mercato a decidere le nuove strade.
D. Prima mi hai detto che sei un praticante del wargame, cosa hanno da spartire GdC e Wargame?
R. Come ti spiegavo hanno radici in un comune, e poi per me hanno un effetto benefico, sono due volti della stessa maschera, io pratico il wargame storico e mi appassiono di storia militare, tattiche e strategie che sono anche le armi con le quali si vince nei Giochi di Comitato. Il sistema si evince in particolare nelle simulazioni aziendali, parenti strette dei GdC, progettati per l'apprendimento e l'addestramento del personale. Inoltre, mi piace pensare che il popolo del wargame abbia resistito sia al fenomeno giochi di carte che al tentativo colonialistico di alcune case inglesi di impossessarsi del mercato, in pratica attraverso tutta una serie di scatole cinesi, un miliardario australiano acquistando una sorta di monopolio del settore, ha tentato con prodotti multicolori ed ambientazioni fantasy e fantascientifiche di colonizzare l'intero panorama wargamistico.
R. C'è il rischio di vedere anche questo settore in pericolo?
D. Attraverso una rivista a colori, campagne di pubblicità professionali, la fabbricazione di modelli in plastica e di tutta una serie di prodotti ben rifiniti, si è tentato di applicare la stessa metodologia di conquista dei giochi di carta collezionabili. L'impatto c'è stato e la guerra è ancora in corso, ma il popolo del wargame è riuscito a pattare la situazione predominante di questa azienda, che richiedeva ai suoi clienti di dipingere esclusivamente con i suoi pennelli e le sue vernici acriliche, di utilizzare solo i propri soldatini, le proprie basette, le proprie bandiere, le proprie innumerevoli espansioni, la propria erbetta, i propri metri e dadi, ecc.
La resistenza maggiore è nata in Inghilterra, e diciamo che in questo caso sono stati proprio i vecchi giocatori a resistere all'invasione ed a rifiutare inorriditi la globalizzazione del mercato, in Italia invece le belle scatole a colori dei soldatini fantasy, hanno avuto il loro periodo di successo, ma il mercato italiano non possiede ancora un numero elevato di clienti, così appetibile per questa grossa azienda, sono sbarcati in alcune città del nord, ma non si è trattata di una invasione in grande, e leggendo i loro ultimi bilanci economici, penso che stia arrivando per loro un brutto periodo di recessione, perché pur avendo un buon mercato, non riescono a crescere, e per queste grosse entità economiche, per sopravvivere è necessario aumentare costantemente il loro fatturato, non possono permettersi cali o pareggi di bilancio.
D. Insomma anche nel mondo dei giochi di società esiste una sorta di lotta commerciale?
R. Tutti i giocatori devono rendersi conto, che dietro ad ogni loro passione esiste un mercato, fatto di aziende e di uomini che puntano allo sfruttamento delle loro passioni, finché il giocatore viene rispettato, la cosa può anche essere accettata, quando si creano situazioni di monopolio pratico, la cosa può diventare pericolosa. Insomma, è sempre bene che ci siano cento e più aziende piuttosto che una sola, a coprire l'intero settore.
D. Tu pensi Riccardo, che ai giocatori interessino queste lotte economiche?
R. Non credo proprio, al giocatore interessa solo divertirsi, e che i soldi usati per farlo siano ben spesi, ma forse questo vale anche per altre cose, al giorno d'oggi conta più l'apparenza rispetto all'essere. Tu non credi?
Alberto Camini