La lode a Dio, Signore dei mondi, Creatore del creato tutto, la
preghiera e la benedizione sul Suo servo ed inviato, il Suo beneamato ed
eletto, nostro signore e Profeta, Abū ‘l-Qāsim Muhammad, la
preghiera di Dio su di lui e sulla sua pura, immacolata progenie, scevra
di peccato. Mi rifugio in Dio contro Satana il lapidato.
<<…Ma poiché essi ruppero il loro
patto, li abbiamo maledetti e indurimmo i loro cuori, sì che essi
hanno stravolto il retto senso della Parola e hanno obliato parte di
quel che fu loro insegnato…>>
(Il Santo Corano,V, al-Mā’ida, v. 13)
1.
L’alterazione di significato.
L’avvenimento storico di °ašūrā’
è stato deformato sia nella sua forma esteriore, sia in
un’ottica di significato. Questa seconda alterazione è tuttavia ben
più pericolosa, poiché rende l’avvenimento privo d’efficacia. Che
cosa intendiamo dire con l’espressione ‘alterazione di
significato’ ?
Senza aggiungere né sottrarre una sola parola del racconto, è
possibile darne un’interpretazione in modo tale che il suo significato
sia l’esatto contrario della verità.
Un solo esempio sarà sufficiente ad illustrare tutto ciò.
Nel momento in cui i Musulmani costruirono la moschea di Medina, °Ammār
bin Yāsir vi lavorò sodo, consacrando molti sforzi al
proprio compito. Tra gli hadīth autentici ascrivibili a
quell’epoca, si tramanda che il nobile Inviato (sl’m) disse lui: “O
°ammār, la fazione ribelle ti ucciderà."
L’espressione ‘fazione ribelle’ è di origine
coranica, apparve nel versetto consacrato alle lotte intestine tra due
fazioni musulmane. Essendo una delle due la ribelle, i Musulmani
dovrebbero allora adottare un comportamento che sia ad essa ostile,
ricongiungendosi all’altra fazione.
<<…e se due fazioni, di tra i credenti, si
combattono tra di loro, mettete pace fra essi. Ma se l’una si
ribellasse contro l’altra, combattete quella che di ribellione si
marchi, sino a che torni all’obbedienza degli ordini di Dio.>>
(Il Santo Corano, XLIX, al-Hujurāt, v.9)
La dichiarazione del nobile Inviato riguardante °Ammār gli
accordò un prestigio enorme in seno alla comunità. Di modo che,
al tempo della battaglia di Siffīn , allorché °Ammār combatté
al fianco dell’Imām °Alī (s), questo fu un elemento
importante a favore dell’Imām.
La gente la cui fede era debole e incerta non si era convinta, prima
della morte di °Ammār, della giustezza della sua battaglia al
fianco dell’Imām contro le truppe di Mu°āwiyya. Ma il
giorno in cui °Ammār fu ucciso dall’armata ribelle, un grido si
levò da tutte le parti, annunciando che la profezia del Profeta
(sl’m) si era realizzata.
La migliore prova, per mostrare l’ingiustizia di Mu°āwiyya e
dei suoi compagni, fu di mostrare che erano loro gli assassini di °Ammār,
avendo il Profeta annunciato – qualche anno prima – che egli sarebbe
stato ucciso dalla fazione ribelle.
In questo momento, divenne chiaro che le truppe di Mu°awiyya
rappresentavano questa fazione, ingiusta ed iniqua, laddove l’armata
dell’Imām rappresentava giustizia ed equità. In maniera conforme
all’ingiunzione coranica, i Musulmani dovevano ricongiungersi
all’armata del Califfo col fine di combattere i ribelli.
Quest’episodio demoralizzò le truppe di Mu°āwiyya. Fu
allora che questi fece circolare un’interpretazione dell’incidente
che denota tutta la sua scaltrezza. Certo non era possibile negare la
dichiarazione del Profeta (sl’m) riguardante °Ammār, i testimoni
diretti o indiretti del hadīt ammontavano al numero di circa
500 persone.
Quando i Siriani protestarono contro Mu°āwiyya, non arrivando a
comprendere che potevano essere loro a rappresentare la fazione ribelle,
Mu°āwiyya disse loro: ‘Voi vi sbagliate. È vero che il
Profeta aveva annunciato che °Ammār sarebbe stato ucciso da una
fazione ribelle. Ma non siamo noi ad averlo ucciso. Fu ucciso da °Alī,
che lo ha trascinato sul campo di battaglia, causando la sua perdita.’
°Amr ibn al-°āh aveva due figli. Uno dei due era identico al
padre, laddove il più giovane, °Abd Allāh, era un uomo credente,
e nulla spartiva col padre nella sua indole. Egli era presente quando Mu°āwiyya
si espresse con questo sofisma. Disse allora: ‘Quali argomenti falsi e
pretestuosi! Se allora è così, è il Profeta che ha ucciso
Hamza, il decano dei martiri, poiché la presenza di Hamza al campo di
battaglia la si doveva al Profeta!’
Mu°āwiyya andò in collera e domandò ad °Amr di
correggere suo figlio.
Ecco, questo è quello che noi intendiamo per deformazione di
significato.
Il significato di Karbalā’ in che modo fu alterato e
deformato?
Ogni avvenimento storico è, da un lato, prodotto da cause e,
dall’altro, inspirato da intenzioni e finalità ben precise. La
mistificazione di un avvenimento storico consiste nell’imputargli
cause o motivazioni diverse dal vero, o di aggiungerne di supplementari.
L’avvenimento storico di Karbalā’ è retto da cause,
motivazioni e finalità precise, e le sue intenzioni sono sublimi.
L’Imām al-Husayn (as) aveva, scatenando la sua rivolta,
motivazioni e finalità ben definite, ma noi gliene abbiamo attribuito
delle altre.
Un movimento sacro.
Abū °abd Allāh (s) diede inizio ad una insurrezione di
rara grandiosità e sacralità. La sua insurrezione possiede tutte le
caratteristiche di un movimento sacro ed unico nella storia del mondo.
Quali sono tali caratteristiche.
Le caratteristiche di un movimento
sacro.
- La prima condizione di un movimento sacro è che non dovrà mai
perseguire finalità e obiettivi personali, o riconducibili ad
individui. Dovrà essere universale e interessare l’umanità
intera. Accade tuttavia qualche volta che gli individui scatenino
insurrezioni per fini personali, ma accade parimenti che i loro
movimenti arrivino a rispondere a necessità sociali o umane, o che
abbiano per obiettivo la ricerca della verità, l’instaurazione
della giustizia, dell’uguaglianza, o del monoteismo.
Coloro che danno origine allo scatenarsi di simili movimenti, si
ergono a rappresentanti di tutti gli esseri umani. Ed è per questo
che gli uomini, le cui azioni e movimenti non rispondono a
motivazioni personali ma anzi al contrario, si muovono nel senso del
bene dell’umanità tutta, per l’amore dell’Unicità e della
conoscenza di Dio, sono amati e onorati dalle genti. Ed è proprio a
cagione di ciò che il Profeta (sl’m) ebbe a dire: “al-Husayn
è mio, ed io di al-Husayn.” Egualmente noi diciamo: “al-Husayn
è dei nostri, noi siamo di al-Husayn.” Perché? Perché
l’Imām al-Husayn si sollevò, quattordici secoli fa,
per noi e per il bene dell’umanità tutta. La sua interruzione fu
sacra, capace di trascendere ogni utile personale.
- La seconda condizione di un movimento sacro è l’essere ispirato
da una visione possente e penetrante. Immaginiamo una società dove
la gente sia ignorante e incapace di comprendere gli accadimenti che
la circondano. Un uomo perspicace e dalla visione penetrante sorge e
comprende i mali di cui tale gente soffre, ed i rimedi che devono
applicarsi, un secolo prima che questa stessa gente sia in grado di
comprendere di cosa soffra. Nel mentre che tutti gli altri sono
incapaci di comprendere e di discernere, quest’uomo percepisce in
maniera netta e chiara, distinta che cosa si debba fare per loro. Lo
proclama loro, ma gli anni passano. Venti, trenta, cinquanta anni
dopo, la gente si risveglia e comprende solo allora il senso di
quanto quest’uomo aveva detto ai loro genitori e avi. Giusto per
fare un esempio, Sayyid Jamāl al-dīn al-Afġānī
iniziò un movimento islamico all’incirca un secolo fa nei
paesi musulmani. Quando noi oggi leggiamo di quest’uomo, ci
accorgiamo che fu un uomo solitario, e isolato. Aveva conoscenza dei
mali dei Musulmani, così come dei rimedi necessari da
apportarvi, ma la gente lo ignorava. Fu insultato e ridicolizzato
dalle masse, che lo disapprovavano. Ora che gli anni sono passati,
ci accorgiamo che aveva compreso certe cose che la gente
dell’epoca non era in grado di vedere. Il suo movimento fu sacro,
perché intrapreso da un uomo che si era trovato a vivere in
un’epoca difficile, ed aveva visto la realtà di là dalle
apparenze.
Il movimento dell’Imām al-Husayn è un movimento di questo
tipo. Oggi noi siamo in grado di comprendere il carattere
comportamentale di Yazīd e le conseguenze del suo governo.
Sappiamo quel che fu capace di fare Mu°āwiyya, quali fossero i
piani dei Banū Umayya. Ma i Musulmani dell’epoca, diciamo
all’incirca l’89% di loro, non avevano compreso la natura del
potere dei Banū Umayya, visto e considerato che i media
dell’epoca non erano certo sviluppati come lo sono oggi. La gente
di Medina non poteva immaginare l’esistenza di una simile
situazione. Ne divennero consci quando l’Imām al-Husayn venne
ucciso. Ne rimasero scioccati, e si domandarono come una cosa simile
fosse potuta accadere. Inviarono una delegazione in Siria, composta
da eminenti notabili e guidata da °abd Allāh bin Hanzalah,
conosciuto con il nome di Ġasīl al-Malā’ika.
Compirono il viaggio da Medina sino alla corte di Yazīd, in
Siria, e lì finalmente compresero. Di ritorno a Medina,
quando gli altri li interrogarono in merito alla situazione, dissero
loro: “Tutto quello che noi possiamo dirvi è che per tutto il
tempo che siamo rimasti a Damasco, abbiamo temuto che le pietre ci
piovessero, dal cielo, in testa [a lapidarci N.d.T.].”
Raccontarono loro di aver visto il califfo bere platealmente alcol,
praticare giochi d’azzardo, giocare con cani e scimmie,
abbandonarsi a rapporti incestuosi con le donne della sua famiglia.
°abd Allāh aveva otto figli. Proclamò agli abitanti
della città: “Che voi vi ribelliate o meno, io mi ribellerò,
fossi anche solo con i miei figli.” Egli mantenne la sua
promessa e durante la rivolta di Harrā contro Yazīd, ebbe
a perdere i suoi figli, prima di cadere egli stesso martire. °abd
Allāh bin Hanzalah non era minimamente conscio della
situazione, due o tre anni prima, al tempo della rivolta dell’Imām
al-Husayn. Quando, allora, preparandosi l’Imām a lasciare
Medina, ebbe a dire: “Dobbiamo dire addio all’Islam, se
questo è afflitto da una guida quale può essere Yazīd.”
Husayn bin °Alī doveva essere ucciso, e il mondo musulmano
doveva subire uno choc per far sì che persone come °abd Allāh
bin Hanzalah e le altre centinaia di Medina, di Kūfa e degli
altri luoghi aprissero gli occhi, ed arrivassero a comprendere il
significato delle parole di al-Husayn (s).
- La terza caratteristica di un movimento sacro è la sua natura
solitaria ed isolata. È come un lampo di luce in una totale
oscurità, un grido nel mondo del silenzio e un moto immerso
nel mare di immobile distesa. Nelle condizioni di implacabile
repressione, allorché la gente non ha la possibilità di
esprimersi, quando la tenebra è totale e regna la disperazione, il
silenzio assoluto, l’immobilismo, ecco improvviso un uomo appare,
e spezza quest’incantesimo di silenzio. Egli dà vita ad un
movimento che si rassomiglia ad un bagliore in piena oscurità.
È solo allora che gli altri si risvegliano e che,
progressivamente, si mettono in marcia dietro di lui. La rivolta di
al-Husayn non fu forse un movimento simile? Certo che lo fu.
Così fu il movimento che l’Imām al-Husayn fu capace di
scatenare. Ma quali furono i suoi obiettivi? Perché gli infallibili Imām
ebbero ad insistere così tanto perché la cerimonia di lutto in
memoria dell’Imām dovesse essere sempre tenuta in vita? Certo noi
non abbiamo bisogno di andare a cercare lontano le risposte. Husayn bin
°Alī annunciò egli stesso le ragioni del suo movimento: “In
verità, non mi ribellai per commettere degli errori, né tanto meno per
spirito di avventuriero, né per causare la corruzione e la tirannia. Mi
sollevai in rivolta unicamente per riformare la comunità di mio nonno.”
In altre parole: “La nostra società è divenuta una società
corrotta, e la comunità di mio nonno è scaduta nello svilimento. Mi
sono sollevato in rivolta per realizzarne la riforma. Io sono un
riformatore.”
“ Voglio ordinare il bene e proibire il male, seguire la via di
mio nonno e di mio padre °Alī bin Abī Tālib. Non vedete
che il vero è rigettato e che il male non è vietato? In una simile
situazione, l’uomo di fede non può, non è in grado di poter
incontrare il suo Signore… Non vedo nella morte se non una felicità,
e la vita sotto gli oppressori non è altro che un’infamia.”
L’Imām al-Husayn ha detto: “Mi sono sollevato in rivolta per
poter realizzare l’amr bi ‘l-ma°rūf (ordinale il bene)
per vivificare nuovamente la fede e per lottare contro la corruzione. Il
mio movimento è un movimento islamico e mira alla riforma.”
Ma noi abbiamo preteso altre cose. Abbiamo operato due abili
manipolazioni. In una abbiamo affermato che Husayn bin °Alī si sia
ribellato per morire, col fine di espiare i peccati della comunità. E
se qualcuno ci venisse a chiedere in conformità a quali fonti noi
asseriamo una cosa simile, noi non sapremmo che rispondere, giacché una
tale idea non fu mai espressa dall’Imām al-Husayn, né
dall’Inviato di Dio, né dagli Imām.
Perché allora abbiamo preso a prestito questo concetto
d’espiazione dei peccati dal cristianesimo? I Musulmani, in effetti,
hanno preso a prestito, senza quasi accorgersene, molte nozioni
cristiane, non conformi all’Islām. Il concetto di crocifissione
di Cristo, inteso come sacrificio atto ad espiare i peccati dei mortali,
rappresenta una dottrina del cristianesimo. Gesù è inteso come
‘’sacrificio’’, e si tratta di una parte fondamentale della
dottrina cristiana. Ma simile concetto non corrisponde in nulla e per
nulla allo spirito dell’Islām. Noi calunniamo al-Husayn se gli
attribuiamo cosa siffatta. Quando l’Imām al-Husayn si ribellò
contro il peccato, contro il commetterne, possiamo noi accettare
l’idea che lo abbia fatto per divenire rifugio di peccatori?
Così è come se noi professassimo che l’Imām al-Husayn
ha fondato una compagnia d’assicurazioni per garantire la protezione
dei peccatori. Ci assicurerà contro le conseguenze dei nostri peccati
chiedendo le nostre lacrime come contropartita. Non dobbiamo fare altro
che versare lacrime ed egli ci garantisce l’immunità dai peccati. Ma
secondo una simile idea, l’Imām al-Husayn non avrebbe fatto altro
che augurarsi la proliferazione degli Ibn Zyād e degli °Umar ibn
Sa°d col fine di proclamare che avrebbe assicurato loro salvezza.
Un’altra alterazione è intervenuta nella nostra comprensione
dell’avvenimento di Karbalā’. Si tratta di affermare che l’Imām
al-Husayn si rivoltò e fu ucciso per portare a compimento un
ordine speciale che era stato il solo a ricevere. Doveva sollevarsi in
rivolta e morire. Il suo agire, di conseguenza, non ci riguarda, non
rappresenta una via che noi dobbiamo seguire, né tanto meno imitare,
poiché non ha legami con i precetti dell’Islam che sono, loro sì,
generali ed universali. Ma quale enorme differenza tra ciò che
l’Imām ha detto e ciò che noi interpretiamo. L’Imām
al-Husayn annunciò ben chiaramente che le cause e le intenzioni
del suo movimento sono sulla scia dei principi generali dell’Islām.
Non aveva bisogno di un ordine speciale. Dopotutto, gli ordini speciali,
sono dati laddove le prescrizioni generali non trovano adeguata
applicazione. L’Imām al-Husayn dichiarò, senza equivoco
alcuno, che l’Islām è una religione che non permette ad alcun
credente (non dice Imām) di restare indifferente davanti
all’oppressione, all’ingiustizia, alla perversità ed al peccato.
L’Imām al-Husayn basò la sua pratica sui fondamenti
ideologici dell’Islām. L’Islām espose i principi, l’Imām
li mise in pratica. Noi abbiamo spogliato questi avvenimenti del loro
contenuto ideologico. Così mutilati, questi avvenimenti non sono
più adatti ad essere seguiti e, incapaci di essere seguiti, ci diviene
difficile poter far tesoro degli insegnamenti dell’Imām al-Husayn
e trarre lezione dalla vicenda di Karbalā’. Abbiamo reso
quest’avvenimento sterile. Perciò abbiamo detto, all’inizio,
che la deformazione di significato è più pericolosa di quella formale.
Perché allora gli infallibili Imām volevano che questo
movimento continuasse ad essere vivo? Perché si auguravano non cadesse
nell’oblio? Che la gente commemorasse, celebrandolo, il lutto
dell’Imām? Qual era il loro obiettivo quando ci comandarono di
farlo? Noi abbiamo deformato questo obbiettivo, dichiarando che le
cerimonie di cordoglio debbono essere compiute per confortare e
consolare Fātima al-Zahrà, che la Pace sia su di lei.
Altri sostengono che l’Imām al-Husayn sia stato ucciso, in
stato d’innocenza, da aggressori, e che questa sia una tragedia. Senza
dubbio è vero che l’Imām al-Husayn sia stato ucciso innocente.
Ma è tutto qui il significato di quest’evento? Ogni giorno, centinaia
e centinaia di persone innocenti vengono uccise e liquidate da
criminali, ed è una tragedia.
Ma se è così, perché allora celebriamo dopo secoli il lutto
dell’Imām al-Husayn, che fu ucciso in piena innocenza? Forse
possiamo noi osar dire che la sua morte fu vana e il suo sangue
inutilmente versato? Una sola persona al mondo rifiutò che anche
una sola goccia del suo sangue venisse versata invano. È Husayn
bin °Alī.? Una sola persona al mondo rifiutò che anche una
sola particola della sua persona venisse sprecata. È Husayn bin
°Alī.
Egli accordò un valore talmente alto ad ogni goccia del suo
sangue che è persino inimmaginabile pensarlo! Possiamo forse pretendere
che un uomo abbia sprecato la propria vita e il proprio sangue sia stato
versato in vano? Siamo noi stessi, meschini e ignoranti, che sprechiamo
le nostre vite. Noi insultiamo al-Husayn, al solo pensare che la sua
vita sia stata sprecata. Husayn bin °Alī è colui di cui si è
detto: “In verità, tu sei in uno stato di intimità con Dio, che
non può essere raggiunto se non con il martirio.”
È mai possibile che Husayn bin °Alī volesse morire in
vano, quando aspirava al martirio?
Gli Imam ci hanno chiesto di preservare viva la tradizione di
cordoglio per Husayn bin °Alī poiché il suo era un obbiettivo
sacro. Egli ha fondato una scuola di pensiero, e gli Imām
desiderarono che questa scuola continuasse ad esistere ben viva e
fiorente.ù
2. La Scuola del Terzo Imām
(s).
Nessun’altra scuola di pensiero al mondo ha continuato ad essere
così viva come quella di Husayn bin °Alī. Se voi siete in
grado di trovare un esempio di questo spirito manifestato da Husayn
bin °Alī nel corso dei fatti di °Ašūrā’,
nelle identiche condizioni sopportate, del senso del Tawhīd, di
fede, di conoscenza di Dio, di perfezione, di fede luminosa
nell’altro mondo, di sopportazione e rassegnazione, di coraggio, di
fermezza e di animo saldo, di onore e dignità, di amore e ricerca di
libertà, di profonda cura per l’umanità, di questa passione nel
servirla, se voi siete in grado di trovare un solo esempio nel mondo
intero, voi potete allora porvi la domanda su quale sia il bisogno di
commemorare questo avvenimento ogni anno. Ma è unico, è
incomparabile. La finalità di preservare viva la memoria del suo nome
e del suo movimento è quella di illuminare il nostro spirito della
luce dello spirito di al- Husayn bin °Alī (s).
Se la lacrima che noi versiamo per lui ha solo il significato
di un’armonia tra la nostra anima ed il suo spirito, si tratterebbe
allora di un viaggio fugace del nostro spirito in direzione del suo.
Se la lacrima creasse in noi una breve incandescenza del suo coraggio,
una particola della sua natura libera, una particola della sua fede,
della sua pietas, una scintilla del suo mettere in pratica
l’Unicità di Dio, una lacrima simile avrebbe un valore infinito. Si
direbbe il valore del mondo intero, anche se fosse piccola come
l’ala di un moscerino. Credetelo! Ma non è una lacrima versata per
una morte inutile, è una lacrima per la gloria di al-Husayn e per il
suo nobile spirito, una lacrima simile significa armonia con al-Husayn
e l’adottare la sua via. Una lacrima simile ha un valore
incalcolabile.
Gli Imām hanno voluto che quest’ideologia pratica
continuasse ad esistere per sempre, per testimoniare che la famiglia
del Profeta è una prova, una testimonianza del Profeta stesso. Se si
dicesse che un certo combattente mussulmano ha mostrato una grande
fede e coraggio nella tale o tal altra battaglia contro l’Iran e
Bisanzio, per esempio, non sarebbe una prova evidente della veridicità
del Profeta. Ma quando noi osserviamo la sua stessa famiglia, alla più
alta sommità della fede e della sincerità, noi abbiamo prova
evidente e ben migliore della veridicità del Profeta.
Non vi fu persona più vicina al Profeta di °Alī. Crebbe al
suo fianco. Non vi fu persona che confidò nel Profeta tanto
quanto lui, o gli fu devota più di lui. È la prima prova
evidente della veridicità del Profeta. Husayn bin °Alī è il
figlio del Profeta. Quando manifesta la sua fede negli insegnamenti
del Profeta, è una manifestazione del Profeta stesso. Le cose che da
sempre sono predicate dagli esseri umani senza che siano messe in
pratica, sono in maniera chiara e distinta visibili nell’esempio di
al-Husayn. Cosa è mai a rendere invincibile un uomo?
Gloria a Dio! Vedete dunque a quali vertici può giungere
l’essere umano! Vedete dunque l’invincibilità dello spirito di un
essere umano il cui corpo ha sopportato sofferenze infinite, i pargoli
furono massacrati davanti ai suoi occhi, egli ha sofferto di sete
indicibile e quando volgeva lo sguardo al cielo, non vedeva che
tenebra, sapeva che i membri della sua famiglia sarebbero stati
catturati. Egli ha perduto tutto quello che aveva, non gli restò
che il proprio spirito invincibile.
Mostratemi dunque un avvenimento in cui la grandezza umana sia
stata celebrata all’istessa maniera, ed io ne celebrerò la
memoria al posto di Karbalā’. È per questa ragione che
noi dobbiamo preservare nella memoria un simile accadimento,
ricordarci di un gruppo di settantadue persone che schiacciò e
dominò lo spirito di un’armata di trentamila uomini. E come
inflissero loro una simile disfatta? In primo luogo, pur essendo una
minoranza davanti alla morte, nessuno di loro si schierò col
nemico. Viceversa uomini appartenenti al gruppo dei trentamila li
raggiunsero, compreso uno dei comandanti, Hurr bin Yazīd Riyāhī,
insieme con altri trenta. Questo fatto è indice di vittoria morale
della minoranza, e sconfitta degli altri. °Umar bin Sa°d prese certe
misure, a Karbalā’, che sono testimonianza della sua disfatta
morale. Ai suoi uomini fu proibito di battersi in duello, com’era
costume, prima di ingaggiare battaglia collettiva e di scoccare
frecce. Dopo che molti uomini erano stati uccisi affrontando in duello
i compagni dell’Imām al-Husayn, °Umar bin Sa°d pose termine a
questa forma di lotta.
Abū °Abd Allāh (s) partecipò alla battaglia
finale. Era ormai il pomeriggio del giorno di °Ašūrā’.
Sino a quel momento egli si era trovato, con parecchi compagni, in
preghiera. Dal mattino sino a quell’ora era stato molto impegnato.
Si era fatto carico di ricondurre i corpi dei compagni per deporli
nella tenda dei martiri. Si precipitava verso altri suoi compagni per
essere loro vicino nei loro ultimi istanti, consolò e rassicurò
i membri delle loro famiglie. Senza dimenticare l’afflizione che
egli stesso provava nell’averli perduti. Egli fu l’ultimo a fare
il suo ingresso nel campo di battaglia. E ci s’immaginava sarebbe
stato compito ben facile battersi contro di lui, in simili
circostanze. Ma egli non lasciò un attimo di tregua e respiro
ai nemici che osavano avvicinarglisi, alle spalle. °Umar bin Sa°d
gridò allora: “Attenti a voi! Sapete voi chi combattete?
Egli è il figlio del guerriero più fatale di tra gli Arabi. È
il figlio di °Alī bin Abī Tālib. Per Dio! L’anima di
suo padre è in lui. Non combattetelo in singolar tenzone.”
E questa non è forse un’indicazione di disfatta? Trentamila
uomini contro uno solo, solo e solitario, che ha già dovuto soffrire
tutti i mali e tutte le prove, e che aveva, in quella giornata penosa
e massacrante, sete e fame. Egli inflisse loro la disfatta e li spinse
alla fuga.
Furono sconfitti non solo dalla spada di Abū °abd Allāh
(s), ma in eguale maniera dalla sua logica e dalla sua eloquenza. Egli
aveva pronunziato due o tre allocuzioni in quel giorno di °Ašūrā’,
prima che il combattimento avesse inizio. Questi sermoni sono davvero
stupefacenti. Coloro che posseggono l’arte oratoria sanno bene che a
nessuno è dato, trovandosi in uno stato eccezionale e fuori
dell’ordinario, proferire qualcosa di sublime, poiché lo spirito
dovrebbe trovarsi in fervide condizioni. Soltanto con un cuore che
freme e ribolle di sentimenti l’individuo può pronunziare una
valida elegia.
Quando l’Imām diede inizio al suo sermone, fattispecie
quello consacrato al giorno di °Ašūrā’, °Umar bin
Sa°d si allarmò per l’effetto che avrebbe potuto avere sul
morale delle sue truppe. L’Imām cambiò cavalcatura,
passando dal cavallo al dromedario, più in alto, affinché la sua
voce potesse giungere più lontano. Il suo discorso ricordò
quello di °Alī (s). Al momento del secondo sermone, °Umar bin
Sa°d domandò ai suoi uomini di abbandonarsi a grida e ululati
per impedire che la voce dell’Imām si facesse intendere.
Non è forse questo il segno della loro disfatta, e quello della
vittoria di al-Husayn?
Se un uomo ha fede in Dio, nella Sua Unicità, se ha un legame con
Dio e una fede nell’altro mondo, egli è in grado di infliggere –
da solo – una disfatta morale ad una armata di trentamila uomini. E
non è forse questa una lezione per noi? Possiamo noi trovare altri
esempi? Chi è in grado di produrre due frasi che si rassomiglino a
questi sermoni, nelle circostanze in cui si trovò al-Husayn? O
parimenti due frasi simili ai sermoni pronunciati da Zaynab alle porte
di Kūfa? Sei nostri Imām ci hanno chiesto di commemorare il
lutto ogni anno e di mantenere in vita questo episodio, è perché noi
completassimo la grandezza di al-Husayn.
La nostra conoscenza di al-Husayn ci innalza di livello. Ci fa
esseri umani, uomini liberi, discepoli della verità e della
giustizia, dei veri Musulmani. La scuola di pensiero di al-Husayn
forma l’essere umano. Al-Husayn è il bastione della retta condotta
e non una cittadella per il peccato e gli errori.
Gli storici tramandano che al cadere della notte di °Ašūrā’,
dopo aver pregato con i suoi compagni, l’Imām si voltò
verso di loro e disse: “Compagni, siate pronti. La morte non è
altro che un ponte che vi fa traversare questo mondo verso l’altro,
questo mondo, che è assai ordinario, duro e basso, verso un altro che
è dolce e nobile.” Queste le sue parole.
Ma osserviamo la sua condotta. Ciò che ci è stato
tramandato non lo fu da al-Husayn bin °Alī stesso, ma da
cronisti, e questo episodio – in particolar modo – fu riferito da
Hilāl bin Nāfi°, che accompagnava °Umar bin Sa°d nella
sua qualità di cronista.
Egli riferisce: “ Husayn bin °Alī fu stupefacente. Nel
momento in cui il suo martirio andava avvicinandosi, e le sue
sofferenze sempre più dolorose, la sua espressione sembrava essere più
radiosa e viva, come qualcuno che si accingesse ad incontrare colui
che ama.”
E persino negli ultimi istanti, quando il maledetto si avvicinò
alla sua testa benedetta, egli non poté trattenersi dal dire: “Quando
fui vicino ad Husayn bin °Alī ed i miei occhi caddero su di lui,
la luce e lo splendore del suo volto mi distrassero e dimenticai che
ero lì per ucciderlo.”
I cronisti riferiscono che Abū °abd Allāh aveva scelto,
per combattere, un punto vicino alle tende della famiglia. Ciò
per due motivi, il primo è che conosceva il carattere disumano del
nemico, che aveva persino perso il senso dell’onore e avrebbe potuto
attaccare le tende. Egli voleva allora che il campo fosse difeso per
lo meno finché era in vita ed aveva la forza di bloccarlo. Avrebbe
dunque protetto l’accampamento dall’attacco nemico. In seguito,
sempre finché era in vita, voleva che i membri della sua famiglia lo
sapessero.
La sua voce era in grado di arrivare sino alle tende, durante tutta
la battaglia, egli gridava: “Lā hawla wa lā quwwata illā
bi’llāhi ‘l-°alīm” (non c’è potere né forza
se non in Dio Magnifico).
Attraverso questo grido egli confortava e rassicurava la sua
famiglia, che sapeva allora ch’egli era ancora in vita. L’Imām
aveva chiesto ai membri della famiglia di non uscire dalle tende fin
quando egli era vivo. E nessuno si permise di farlo. Aveva
raccomandato loro di non fare alcuna dichiarazione che potesse
diminuire la loro ricompensa al cospetto dell’Altissimo.
In quei tempi gli Arabi addestravano i cavali ad essere avvezzi ai
campi di battaglia. Un cavallo simile aveva una reazione particolare
quando il suo padrone veniva ucciso.
I membri della famiglia di Abū °abd Allāh erano nelle
loro tende, in attesa dell’Imām, quando, all’improvviso,
sentirono il nitrito del suo cavallo. Si precipitarono verso
l’ingresso della tenda pensando che l’Imām avesse fatto
ritorno, ma videro il cavallo senza cavaliere.
I bambini e le donne gridarono: “Per Husayn, per Muhammad”,
attorniando il cavallo e piangendo la sua morte. L’Imām aveva
raccomandato loro di non piangere, né di lamentarsi, fino a quando
fosse rimasto in vita. Ma, di certo, lo piangessero nella sua morte, e
cominciassero le lamentazioni funebri.
Si narra che Husayn bin °Alī avesse una figlia di nome
Sukayna, ch’egli amava davvero molto. In seguito ella divenne una
donna saggia, venerata e rispettata dagli eruditi e gli uomini di
cultura. Era una bimba assai cara a suo padre, a cui ella portava
affetto immenso. I cronisti riferiscono che questa bimba pronunciò
alcune parole, in segno di lutto, che spezzano il cuore. Ella si
rivolse al cavallo, domandandogli: “O cavallo di mio padre, gli
diedero da bere o morì assetato?”
Preghi Iddio su Muhammad e sulla sua Famiglia Immacolata.
Non v’è potere né forza se non in Dio Magnifico.
Šahīd Mortedà
Motahhari
(traduzione di Gabriele Jibrīl
Tecchiato)