Nel Nome di Dio, il Clemente il Misericordioso Il Du’a è un’implorazione, una preghiera di domanda, una supplica che indirizziamo a Dio perché soddisfi i nostri bisogni, perdoni i nostri peccati, ci aiuti a superare le nostre difficoltà, a risolvere i nostri problemi, a correggere i nostri difetti, ad avvicinarci a Lui, a trovare il retto cammino e la pace interiore. La portata del Du’a non si ferma certo qui: essa abbraccia ben più ampi settori, producendo effetti assai differenziati. Perciٍ il Du’a è sempre stato a partire da Adamo, l’arma favorita a cui fecero ricorso i Profeti, gli Imam e i pii Credenti per condurre a buon esito i difficili compiti loro assegnati, riuscendo a sopportare le dolorose prove che spesso dovettero subire: ecco perché l’Islam ha sempre raccomandato ai Credenti d’appoggiarsi a questo mezzo di comunicazione con Dio per conseguire un felice termine. Donde il Corano ci informa che Noè (as), Abramo (as), Mosè (as), Giobbe (as), Zaccaria (as) e altri Messaggeri praticavano il Du’a soprattutto nei momenti difficili, suggerendoci cosى di prendere coscienza del valore e dell’importanza di questa forma di adorazione nel rapporto tra l’uomo e il suo Signore: essa affonda le sue radici nella nozione stessa di fede, tanto è vero, che vi fecero ricorso anche i Profeti, i quali rappresentano il vertice dell’umanità in ragione della loro prossimità a Dio e del legame che hanno con Lui. Il Profeta Muhammad, pace su di lui e sulla sua Famiglia, ha detto: “Il miglior atto d’adorazione è, dopo la lettura del Corano, il Du’a”. Questa
raccomandazione è confermata da diversi versetti, coi quali Dio Stesso
esorta i Credenti a indirizzarGli le loro preghiere di domanda affinché
Egli le esaudisca: E ancora: “Il vostro Signore ha detto: Interrogatemi ed io vi esaudirٍ. Coloro che per orgoglio rifiutano di adorarci, presto entreranno umiliati nella geenna”(Corano 40: 60) Questi versetti coranici mostrano due aspetti dell’importanza del Du’a. Nel primo versetto (Corano 2: 186) Dio ha compassione dell’indigenza dei Suoi servi e li incoraggia a pregarLo, promettendo di venir loro in aiuto e di soddisfarne i bisogni. Nel secondo versetto (Corano 40: 60) il Du’a è presentato come un atto d’adorazione mediante il quale gli uomini devono testimoniare di essere servi di Dio, evitando cosى di mostrarsi altezzosi nei Suoi riguardi e di meritare conseguentemente il Suo terribile castigo. Il Du’a è dunque un mezzo per raggiungere la salvezza sia in questo nostro mondo che nell’Aldilà, nonché una linea di demarcazione tra la fede e la miscredenza, tra il Paradiso e l’Inferno; il versetto seguente ci mostra nella sua pienezza il significato del Du’a: “Dى: il mio Signore non si cura di voi poiché non l’invocate, e inoltre tacciate di menzogna Iddio: presto ne vedrete le ineluttabili conseguenze” (Corano 25: 77) Da questo versetto si deduce che Dio prende cura dei Suoi Servi in proporzione del legame che essi stabiliscono con Lui mediante il Du’a. A questo punto dobbiamo chiederci come puٍ un rito religioso diventare tanto importante che la sua esecuzione determina il rapporto dell’uomo col suo Signore. Per abbozzare una prima risposta alla precedente domanda, occorre concepire il Du’a non come semplice atto d’adorazione o come una mera tradizione religiosa che soddisfi a una formalità esteriore: esso è piuttosto la vivente espressione del sentimento costante del bisogno di Dio che l’uomo sperimenta in tutte le circostanze della vita, nonché nell’intimo riconoscimento della propria servitù, che si incarna nella profonda convinzione del proprio attaccamento a Dio e della totale subordinazione a Dio e della totale subordinazione a Lui della propria vita. E’ naturale che senza questo sentimento e questa convinzione è impossibile conseguire una fede vivente in Dio, perché la fede ha senso solo quando si è intimamente convinti che esista una Onnipotenza illimitata e una Forza Assoluta e Infinita, davanti alla quale l’uomo appare debole, impotente e incapace di giustificare la propria esistenza se non come effetto della Volontà Divina. Il nostro bisogno di Du’a risponde dunque al nostro bisogno di esprimere la propria fede in Dio e di operare sى da mantenerla viva al nostro interno, rinnovandola a ogni istante e costantemente consolidandola. Donde un hadith dice che il Du’a è “il midollo dell’adorazione” in quanto esprime il significato profondo del servizio, della sottomissione e del raccoglimento che l’adorazione incarna, senza di che quest’ultima equivarrebbe a un corpo senz’anima; per questo il Du’a non puٍ essere inquadrato come un semplice rito tradizionale che l’uomo pratica per pura abitudine, senza consapevolmente comprenderlo. Perché il Du’a produca gli effetti desiderati e le domande ivi formulate vengano esaudite, è vivamente raccomandato che chi sollecita Dio conosca il senso delle parole pronunciate, essendo cosciente dell’importanza del Du’a e del suo significato generale: infatti, secondo l’Imam Alى (as) “non si puٍ sperare in un atto di adorazione privo di una conoscenza profonda, o in una lettura (recitazione) senza intelligenza”. Ugualmente leggiamo nel Du’a quotidiano del mese di Rajab: “Mio Dio io ti prego secondo il senso della preghiera che ti rivolgono i Tuoi rappresentanti”: tutto ciٍ dimostra che la comprensione di quanto si legge nel Du’a è in sé un fattore di esaurimento delle domande ivi formulate. Non dobbiamo tuttavia scoraggiarci nella lettura del Du’a qualora non ne comprendessimo il significato: leggere il Du’a costituisce in sé una presa di coscienza del nostro bisogno costante di Dio e dell’importanza del Du’a per noi, nonché un primo passo verso la comprensione del suo contenuto. IL VALORE E LA PORTATA DEL DU’A Il Du’a è un mezzo per ottenere che Dio esaudisca e soddisfi i nostri bisogni in tutta la loro ampiezza: pertanto è un fattore suscettibile di influenzare addirittura la nostra sorte e di modificare il nostro destino. Infatti, più i Credenti s’avvicinano a Dio, più essi meritano la Sua Bontà e la Sua Misericordia: ora il Du’a è ciٍ che più avvicina l’uomo al suo Signore. Indubbiamente Dio è sempre “Più vicino all’uomo della sua vena giugulare” (Corano 50: 16); ma l’uomo si lascia sovente distrarre da Dio, perdendo cosى il vantaggio di questa prossimità. Per rimediare a questa distrazione, la Shari’a (Legge) dedica una particolare attenzione al Du’a, designando preghiere adatte ai diversi momenti e circostanze della vita del Credente, che cosى potrà più spesso rimanere in un contatto cosciente con Dio. Abbiamo dunque un Du’a per ogni giorno della settimana e anche del mese, nonché per ogni bisogno dell’uomo in questo mondo e nell’altro. Pur incoraggiando il Credente a invocarLo per timore reverenziale o per bisogni personali, Dio raccomanda di invocarLo per puro spirito religioso e in maniera disinteressata; Egli addita a rimprovero coloro che si limitano a implorarLo mentre si trovano nelle avversità, ma che Lo dimenticano quando ne escono fuori: “Quando una disgrazia colpisce un uomo, questi invoca il suo Signore, a Lui ritornando pentito. Quando, in seguito, Dio gli accorda un beneficio, egli dimentica il male da cui aveva chiesto d’essere liberato” (Corano 39: 8) Partendo da questi presupposti, la Sunna del Profeta e gli Hadith degli Imam delle Genti della Casa chiamano i Musulmani a invocare Dio non soltanto per se medesimi, ma anche per i propri fratelli di religione: otterranno cosى benefici maggiori di quando L’invocano unicamente per se medesimi. In questo modo l’Islam cerca di far nascere nel musulmano un interiore sentimento fraterno che lo conduca, davanti a Dio e nell’intimità del cuore, a sentire come propri i bisogni dei fratelli, prima ancora di pensare alle proprie necessità personali. Citiamo, a testimonianza, queste parole dell’Imam Zayn al’ Abidin (il 4° Imam): “Quando gli Angeli odono il Credente che nell’intimo prega per il proprio fratello, desiderandone il bene, allora dicono: “Che buon fratello sei per il tuo fratello! Tu ne desideri il bene quando egli è assente, ricordandolo a suo beneficio. Dio ti darà il doppio di quello che hai chiesto per il tuo fratello, e il bene che di te dirà sarà il doppio rispetto al bene che tu hai detto del tuo fratello. Avrai, inoltre, reso a questi un favore di cui ti sarà debitore…”. Questo modo di pregare durante il Du’a, avendo in vista altri da sé, puٍ consentire al Credente di trascendere il proprio ego, attingendo un altruismo assoluto che lo porta ad occuparsi degli altri più che di se stesso. L’esempio più toccante fu quello di Fatima al-Zahra’ (Colei che ha lo splendore dei fiori), di cui il figlio, l’Imam Hasan ibn Alى (as), disse: “Passava le notti ad adorare Dio e a pregare per i Credenti e le Credenti, senza pregare per se stessa. Quando le chiesi il perché di questo, ella mi rispose: “Il prossimo prima di se stessi!”. Ma perché Dio chiede al Credente di pregarLo per i suoi fratelli, quando Egli stesso puٍ, per Sua natura, venire in aiuto di costoro a prescindere dalle altrui preghiere? Indubbiamente l’Islam mira a un mezzo per sviluppare nei Musulmani il senso dei valori, che è più forte e profondo quando nasce dall’intimo dell’uomo, mentre è più difficilmente assimilabile quando viene inculcato per mezzo di prediche, in quanto queste giungono dall’esterno. IL
DU'A NON SOSTITUISCE LO SFORZO MIRATO ALL'AZIONE Nel Du'a il Credente, prendendo coscienza della propria dipendenza totale nei confronti di Dio e riconoscendo la propria impotenza davanti alla di Lui Onnipotenza, implora il Signore perchè soddisfi i suoi bisogni immediati e lontani, nonché le sue aspirazioni materiali e morali, fino ad accordargli la salvezza in questo e nell'altro mondo. Cosى è normale che nel Du'a il Credente preghi Dio di assicurargli i mezzi di sussistenza, la buona salute, la prosperità, la retta condotta, e cosى via, legittimamente aspettandosi che Dio esaudisca i suoi voti e venga incontro alle sue necessità. Ma il ricorso al Du'a non deve affatto indurci a credere che noi possiamo rintanarci in un attendismo passivo e in una totale inazione, solo contando su Dio per risolvere i nostri problemi e soddisfare le nostre esigenze: una simile concezione del Du'a è del tutto erronea, poiché l'Islam non crede al miracolo come regola nella vita dell'uomo, bnsى nella legge di causalità che Dio ha dato alle Sue creature. Infatti, Dio ha posto una causa all'origine di ogni cosa: la vita e la morte, la salute e la malattia, la povertà e la ricchezza, la vittoria e la sconfitta. Egli ha chiamato l'uomo a tener conto di queste cause, invitandolo a ricorrere a Lui per eliminare gli ostacoli accidentali e imprevedibili che potrebbero opporsi ai suoi sforzi, oppure che lo devierebbero dalla direzione in cui si è impegnato. Quando deve ottenere o raggiungere alcunché, l'uomo deve in primo luogo impegnare a fonde le capacità intellettuali e fisiche di cui Dio lo ha dotato; dopodiché, puٍ chiedere a Dio di occuparsi di ciٍ che supera le sue possibilità, dicendo: "Mio Dio, ho fatto tutto quello che era in mio potere! Aiutami dunque in ciٍ che supera le mie forze!" Questo modo di confidare in Dio aiuta il Credente a fronteggiare il sentimento di impotenza davanti a forze che ci sono superiori. Infatti, quando avvertiamo che l'Onnipotenza di Dio è con noi a rimedio della nostra impotenza, noi possiamo agire dispiegando tutti i nostri sforzi, senza temere uno scacco e senza preliminarmente scoraggiarci di fronte alle minacce dell'ignoto. Per
concludere, ricordiamo che numerosi hadith ci ammoniscono che il Du'a di
chi non tiene conto delle cause naturali delle cose (il lavoro per
guadagnarsi la vita, la medicina per guarire da una malattia, la forza
necessaria per conseguire la vittoria) non verrà generalmente esaudito. IL DU'A
COME BISOGNO INTERIORE DEL CREDENTE
Ma, a prescindere da tutti i bisogni di cui chiediamo a Dio soddisfazione nel Du'a, quest'ultimo esprime di per sé una esigenza interiore e naturale del Credente. Quest'ultimo che rifiuta ogni forma di servitù tranne quella rivolta a Dio, prova talvolta nel suo intimo un desiderio del Du'a, come sente i morsi della fame quando il suo organismo richiede acqua e cibo: il Du'a è, per cosى dire, la fame di tenerezza e di pace di cui spesso abbisognano l'anima e il cuore del Credente. Nell'avversità e nelle durezze della vita, davanti a problemi che l'opprimono e all'accumularsi di crisi interiori ed esterne, l'uomo ha bisogno di esprimere all'esterno i dolori che lo rodano e dilaniano, insieme ai sentimenti effervescenti che lo agitano, ma senza intaccare la fierezza o ferire la propria dignità. Per consolarsi e trovare uno sfogo, sempre conservando la sua dignità, il Credente incontra nel Du'a un'atmosfera naturale e un clima sano che gli consentono di presentarsi davanti a Dio con un'anima di fanciullo, limpida e pura, semplice e spontanea, rivolta in tutta innocenza al Suo Signore. Egli piange e implora, si lamenta e si compiange, sollecita con insistenza; non risparmia alcuno sforzo nel mostrare quanto è estesa la propria debolezza, che anzi a lei si affida, convinto che l'avvicini alla sorgente della Forza Assoluta da cui trar forza per affrontare le inesauribili difficoltà della vita. Se la natura dell'uomo è tale che spesso deve mostrare la propria debolezza, è ben raro che debolezza si accordi con fierezza: l'unica debolezza di cui ci si puٍ mostrar fieri è quella che la creatura manifesta davanti al suo Creatore. Insomma, il Du'a è, in ultima analisi, un fattore di rinnovamento della forza vitale nell'uomo: gli evita di piombare nell'angoscia, di soffocare sotto il fardello dei problemi e il peso della propria fierezza offesa, divenendo un uomo demoralizzato e pieno di complessi.
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