TRANSUMANZA

Fin dalla notte dei tempi, in Settembre, le greggi lasciavano gli stazzi d'Abruzzo e scendevano a svernare nell'Agro...

***

Per meglio capire il fenomeno potete leggere il saggio dell'amico Tommaso Borghi che si è laureato con una tesi proprio su questo argomento:

IL FENOMENO DELLA TRANSUMANZA NELLA CAMPAGNA ROMANA

ALLA FINE DEL MEDIOEVO

L’allevamento del bestiame ha avuto da sempre un ruolo centrale nella Campagna Romana, specie dal tardo medioevo, quando si contraddistinse per il carattere transumante e in prevalenza ovino.

Il fiorentino Vespasiano da Bisticci, dopo un soggiorno a Roma, descrisse la città «come una terra di vacai, perché si tenevano le pecore e le vache in sino dove sono oggi e’ banchi de mercatanti, e tutti erano in caperone ed in istivali, per essere stati tanti anni senza la corte et per le guerre avute» .

Tali considerazioni furono sicuramente motivate da un’effettiva condizione economica venuta a crearsi nella Campagna Romana tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento. Un fiorente ceto mercantile, impegnato nella conduzione fondiaria, riuscì ad imporre in questo periodo all’economia romana il proprio modello di produzione, caratterizzato da una redditizia integrazione fra allevamento e cerealicoltura.

Tale integrazione veniva praticata attraverso concessioni di pascolo sui coltivi a riposo, ovverosia a maggese. I tempi e i modi attraverso i quali il bestiame veniva ammesso sui fondi romani erano fissati da consolidate abitudini, acquisite dalla tradizione della pastorizia transumante.

Fin dall’antichità, infatti, i pastori trovarono in queste terre il luogo ideale nel quale far pascolare le loro greggi al riparo dai rigori della stagione invernale. La Campagna Romana, come del resto tutta la fascia del litorale laziale, comprendente sia la Maremma Etrusca che l’Agro Pontino, offriva condizioni particolarmente favorevoli per la pastorizia: un clima mite, abbondanza d’acqua ed ampi spazi incolti e disabitati.

Il soggiorno nella Campagna Romana era previsto da S. Angelo di settembre (29 settembre) fino a S. Angelo di maggio (3 maggio), quando il bestiame si rimetteva in movimento per raggiungere i freschi pascoli degli Appennini e sfuggire alla calura estiva. L’affitto del pascolo veniva pagato tramite un pagamento in denaro al quale si affiancava, in genere, una rilevante quota in natura, consistente in una percentuale dei prodotti ricavati dall'allevamento: latte, formaggio e carne.

L’integrazione agro-pastorale fu appunto il sistema di gestione fondiaria che, nel tardo medioevo, contraddistinse l’economia romana, facendo la fortuna di molti proprietari e conduttori fondiari. Gli esigui costi di mantenimento e la remunerativa commercializzazione dei prodotti d’allevamento, indussero questi ultimi ad investire in maggior misura nell’allevamento e, col tempo, a trasformare i vasti coltivi, destinati alla cerealicoltura, in distese erbose, facendo della Campagna Romana "quell’immenso campo di pastura, abbandonato completamente alla naturale produzione".

Nel Quattrocento l’integrazione agro-pastorale fu quasi del tutto abbandonata a vantaggio della pastorizia, che incontrò subito l’appoggio dei pontefici, allettati dai possibili guadagni.

In questo intreccio di interessi, di legami economici, politici e sociali, vanno appunto ricercati gli elementi caratterizzanti lo sviluppo dell’allevamento transumante, che contraddistinse la realtà della Campagna Romana sino alla fine dell’Ottocento.

Scrivi all'autore Tommaso Borghi  tomborghi@tin.it

Prosegui sull'Appia Antica