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 Celebrare le rivolte in Val Fontanabuona?


Da qualche tempo  in Val Fontanabuona si ritorna a parlare della rivolta dei valligiani contro il governo  della Repubblica Ligure negli anni 1797-1800. Se ne parla in convegni e manifestazioni, qualche volta con un sottaciuto  tono apologetico. E' un modo di affrontare la storia, e che storia, che non stupisce: a chi rivaluta il localismo non potevano sfuggire gli avvenimenti di quegli anni, come l’ articolo apparso il 22 febbraio del 1998 su La Padania mette in chiara luce. Stupisce invece  che anche recentemente si continui a parlare della rivolta fontanina senza un  suo riferimento al momento storico, alle altre sollevazioni popolari  in  Italia negli stessi anni. Stupisce che a parlarne in questi termini sia chi non fa del localismo ad oltranza una sua bandiera.
Perchè non è solo in Val Fontanabuona che le popolazioni si ribellarono all' instaurazione delle repubbliche filofrancesi: il caso più conosciuto  è senz’ altro  Napoli. E’  stato ampiamente ricordato sulla stampa lo scorso anno. E proprio le vicende napoletane del 1799, ci devono indurre a qualche riflessione: soprattutto per le violenze alle quali si abbandonarono i sanfedisti     non tanto sui fautori della repubblica, ma - soprattutto - su  quelle religiose la cui fede, a parole, dicevano di voler difendere. Ci devono far riflettere e ne sono anche ampiamente rivelatrici delle origini e dei contenuti.
Perché le rivolte sono state jacquerie, a cui hanno partecipato quasi esclusivamente fasce popolari depauperate da anni di malgoverno, da un aumento della popolazione in atto in Italia in quegli anni e dal disagio di fronte ai mutamenti economici della seconda metà del settecento, di frequente sobillate dal clero.
In alcuni casi, come a Senigallia e a Siena, la rivolta ha assunto un carattere apertamente razzista contro le minoranze ebraiche, fino al compimento di veri e propri pogrom.
Anche nella Fontanabuona la rivolta si manifestò come un moto chiaramente di popolo, a difesa della religione e delle tradizioni, che si ritenevano in pericolo. I valligiani attaccarono i francesi, e i loro alleati, alleandosi a loro volta con gli austriaci che fucilarono, proprio a Chiavari, quello che è stato considerato il primo martire del Risorgimento italiano, il frate Argiroffo.
Rivolta quindi che guardava al passato, all’ ordine della Controriforma che durava da oltre duecento anni.
Perché ricordiamo che dai francesi e dai giacobini genovesi  arrivavano le nuove concezioni del liberalismo e della democrazia, arrivavano  quelle che sarebbero state le idee del Risorgimento, visto non solo come compimento dell’ unità nazionale ma come apertura  delle vaste masse popolari alla vita civile e politica. Agli anni dell’ insurrezione seguirono, fino al 1814, anni in cui nelle nostre città si posero le basi per una moderna amministrazione: la creazione dello  Stato Civile, la costruzione di infrastrutture (come la strada litoranea da Chiavari a Cavi), una prima espropriazione della manomorta ecclesiastica.
Ricordiamo allora pure l’ insurgenza  e la jacquerie,   ricordiamola come momento storico per le nostre valli.
Ma non dimentichiamo che, come ha scritto di recente lo storico fiorentino Roberto G. Salvadori, esse “sono anche il cristianesimo che nega se stesso nel suo semplice e fondamentale messaggio di amore del prossimo, di carità, di solidarietà fraterna, sostituito da fede cupa, dogmatica e superstiziosa al tempo stesso”.
 
 
 
 Agostino Pendola