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                                  Una testimonianza civile e l’ipotesi referendaria


In un recente intervento il prof. Maurizio Viroli, Presidente dell’Associazione Mazziniana Italiana, ha bene analizzato l’inquietante contesto nazionale in cui viene a collocarsi il rientro dei Savoia.

In effetti i provvedimenti legislativi, tesi a minare l’indipendenza della Magistratura, a snaturare le cooperative, a depenalizzare il reato di falso in bilancio appaiono come tasselli di un quadro politico in cui il bersaglio principale è la nostra Costituzione. A questo si aggiunga un preoccupante processo involutivo sul piano culturale che riguarda innanzitutto la gigantesca opera di rimozione della memoria storica connotante la Repubblica italiana, dal Risorgimento alla Resistenza antifascista.

Il colpo di spugna sulle responsabilità della dinastia sabauda per quanto concerne l'avvento del fascismo, la promulgazione delle leggi razziali, il tradimento del 1943 fa da corollario alle nuove "verità" storiche che sembrano ridurre l’atto del governare a una politica da rotocalco, a qualche spot pubblicitario, in un clima sociale ove ormai si elargiscono favori e prebende anziché applicare leggi e riforme.

Scrive Viroli che "di fronte a questi gravi atti, troppi parlamentari hanno dimostrato una colpevole leggerezza. I Mazziniani non possono permettersi ambiguità: dalla parte dei valori repubblicani, sempre".

L’opzione referendaria come mezzo per opporsi al provvedimento che consente il rientro dei Savoia, in questo contesto, è stata tuttavia ventilata con cautela perché è "alto il rischio di strumentalizzazioni" in caso di sconfitta (teleguidata). Ma i repubblicani e gli italiani non possono neppure scordare il monito mazziniano secondo cui le battaglie si intraprendono innanzitutto per la bontà della causa e non solo per l’eventuale alta probabilità di vittoria.

Prendiamo intanto atto che i "rischi istituzionali" denunciati, non senza ragioni, da coloro che si oppongono alla proposta referendaria sono un atto d’accusa ben preciso contro la superficialità con cui la quasi totalità dei nostri parlamentari ha assunto il provvedimento adducendo come primo pretesto quello della "generosità della repubblica forte". Si tratta invece, come avevamo posto in evidenza, di un gesto inutile ed umiliante che indebolisce e impoverisce la Repubblica e che potevamo risparmiarci poiché la semplice rinuncia al diritto al trono d’Italia avrebbe consentito ai Savoia di far rientro già da molto tempo nel nostro paese.

Spiega infatti bene Viroli che "Se avessero compiuto tale atto i Savoia potevano tornare senza bisogno di alcuna revisione costituzionale. La norma XIII si applica infatti ai discendenti maschi degli ex re di Casa Savoia. Ma essi non hanno mai neppure preso in considerazione l'idea di compiere tale gesto perché non intendono perdere lo status di Casa Reale rispetto agli altri re ed ex-re, e rispetto ai monarchici nostrani. Con quale diritto potrebbero continuare a conferire titoli nobiliari e attestati di ordini cavallereschi, se diventassero dei semplici "signor Savoia"? Invece di spiegare questa realtà ai cittadini italiani, la maggioranza dei nostri parlamentari ha preferito ripetere ad nauseam il ritornello che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, mentre è  del tutto evidente che sono proprio i figli a voler conservare il legame dinastico con i padri". Il che dovrebbe comunque almeno implicare l’assunzione delle responsabilità storiche e da questo punto di vista, lo diciamo per inciso, troviamo inaccettabile e mortificante che anche certi intellettuali abbiano paragonato questa disposizione costituzionale all’esilio patito da Giuseppe Mazzini e dai patrioti italiani o al confino inflitto agli antifascisti. Un’ennesima mistificazione, possibile perché ci stiamo pericolosamente avviando verso una Repubblica svuotata dei suoi contenuti essenziali, dove la pubblica opinione è condizionata da mass media gestiti in regime di quasi monopolio dell’informazione, dove la partecipazione democratica pare sempre più restringersi al cambio di canale in televisioni che, direttamente o indirettamente, appartengono tutte allo stesso proprietario.

Una situazione facilmente prevedibile da tempo, ma irrisolta anche dai governi precedenti; anomala nel contesto internazionale, pure non tranquillizzante.

La disinvoltura con cui, tra l’indifferenza generale, si possono rigirare a piacimento le carte in tavola, scaricare le responsabilità, lanciare accuse di "sfascismo" (altro neologismo ambiguo) a a ogni forma di opposizione dovrebbe preoccupare molto i cittadini più attenti. Qualcuno almeno dovrebbe cominciare a chiedersi come mai la Repubblica, "forte" nel momento della scelta di far rientrare i Savoia, dovrebbe vacillare di fronte alla semplice raccolta di firme referendarie da parte di coloro che non approvano il provvedimento. Domandarsi perché questa scelta, pur ventilata da diversi anni, abbia trovato attuazione in questo momento storico, con una procedura "estiva", urgente, incalzante. In altri termini: quasi sono i motivi che inducono una classe politica, a vasta maggioranza, a decidere di occuparsi di una simile "inezia" quando nel mondo si discute del progressivo allargamento del divario tra poveri e ricchi? Perché si riabilitano figure che istituzionalmente simboleggiano la sperequazione e lo sperpero, in un periodo in cui qualcuno afferma che il concetto stesso di democrazia sbiadisce di fronte alle grandi questioni ecologiche e appare praticamente inapplicabile laddove le persone stentano a soddisfare i bisogni primari?

Stati che si disgregano e perdono la sovranità, nuovi feudi, regni, imperi che sorgono; nuove servitù che si profilano su dimensione planetaria, trascinate da un’esasperazione dei consumi e del superfluo; inevitabili e cruenti conflitti che divampano in varie parti del mondo. Lo scenario "medioevale" del ritorno degli ex sovrani italiani è questo, seppur velato dalla carta patinata di rotocalchi qualunquisti o dietro l’altrettanto qualunquistico "me ne frego, tanto che male fanno? I problemi veri sono altri". Appunto. Senza nemmeno accorgersi che in questo modo si lancia la peggior accusa che può essere rivolta a una classe politica: quella di essersi occupata di cose inutili al bene comune.

Sono questi gli scricchiolanti e ambigui equilibri che i mazziniani devono difendere? Una repubblica che produce un simile ceto dirigente e propina simili messaggi non è già avviata su una china pericolosa?

I fautori della linea "prudente" hanno tante ragioni, comprensibili sotto diversi punti di vista, ma dovranno poi spiegare quando e come si fanno le battaglie civili, le battaglie di testimonianza, che anche se "perdute in partenza" scuotono qualche coscienza e contribuiscono a formare quella religione civile che tanti predicano, ma sempre agli altri.

Sauro Mattarelli

direttore del "Pensiero mazziniano"