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G. Cavazza, Cospirazioni e moti risorgimentali dal 1831 al 1845 nei ricordi di Augusto Aglebert,
 Imola, University press Bologna, 2000.
 
"Repubblicani

dite all’Italia

che noi morimmo

per obbedire alle sacrosante leggi

di Patria e d’Umanità"…

Una lapide liberty, bellissima, un relitto affiorante fra i ciuffi verdi della campagna…

Roberto Balzani, Pagine di diario. Nella terra della Repubblica, 1992
 
 

Scriviamo una biografia degli uomini della [Repubblica Romana…] Non importa se le loro non furono vite leggendarie, anzi, proprio per il fatto che non furono leggendarie è importante narrarle, perché leggendo le loro biografie capiremmo che non erano né eroi, né martiri, ma persone che avevano il sentimento della carità civile.

Maurizio Viroli, La Repubblica Romana, 1999

Credo che coloro che hanno studiato e in futuro studieranno i lavori di Giulio Cavazza si debbano almeno porre un interrogativo di fondo riguardante questo suo amore verso personaggi "cosiddetti minori" della nostra storia. Ma dobbiamo subito precisare che se ci riferiamo al Risorgimento italiano l’appellativo "minore" finisce quasi per essere fuorviante. Ogni studioso scopre infatti piuttosto presto, e agevolmente, che gli uomini e le donne che hanno contribuito a costruire la storia dell’Italia unita hanno agito innanzitutto spinti da una carica ideale, da una consapevolezza difficilmente riscontrabile in altri periodi.

Costanza, coerenza, onestà sono termini che ricorrono sia a proposito dei protagonisti, sia delle "comparse" di questo straordinario evento, non solo e non tanto per un sempre possibile spirito di partigianeria degli storici, ma, crediamo, essenzialmente per una serie di elementi che hanno fatto sì che questi uomini fossero accomunati da un’etica, uno stile di vita che li ha resi realmente "eguali". Eguali nel modo di porsi di fronte ai problemi dell’epoca, eguali nell’agognare una libertà diversa, repubblicana, da costruire attraverso l’indipendenza, prima individuale e poi patria, da vivere all’insegna dell’unità territoriale, da usare come mezzo per tendere a più importanti, libere, unioni fra i popoli.

Consapevolezze alte quindi, atte, e lo diciamo senza retorica, a forgiare veramente un popolo "come un sol uomo". Naturale che un tale aspetto, una tale necessità, imposta dagli eventi, ma anche sollecitata dalla complessità del pensiero dei personaggi che hanno segnato la storia del repubblicanesimo italiano - da Mazzini a Cattaneo, da Filopanti a Saffi - abbia finito per far apparire, a certa storiografia, il moto risorgimentale staccato dalle masse proletarie, che non potevano accedere alle informazioni necessarie perché prive di istruzione, analfabete in larga misura, catechizzate dalla chiesa che deteneva, in forma pressoché assoluta, il monopolio dell’informazione, sotto la vigile egida delle potenze e dei potentati locali.

Eppure quella religiosità civile, nuova, intrisa di un romanticismo che non escludeva affatto la speculazione razionale, si diffuse piano piano attraverso messaggi comprensibili da strati sempre più vasti della popolazione, facenti capo non solo alla borghesia, che in Italia stentava ad affermarsi, ma anche a ceti artigiani e, in talune zone, perfino contadini. Non basta, in altri termini, la spiegazione "giovanilistica", lo spirito garibaldino, pur necessario, per comprendere la rivoluzione risorgimentale. Occorre almeno intuire perché questi giovani sfidassero la morte anelando a un imperativo morale che, allora, appariva basato su obiettivi vaghi e indefiniti: l’unità e l’indipendenza patria, appunto.

E poi, soprattutto, perché questo rischio lo affrontavano esponenti di categorie emergenti, che avevano comunque qualcosa da perdere? Cosa induceva i Dandolo, i Manara, i Mameli e perfino il "mite" Cattaneo a correre sulle barricate? E perché sfidare la sorte quando onori e glorie sarebbero agevolmente giunte a molti di loro con qualche immancabile atto "generoso" del potente di turno?

Augusto Aglebert la spiegazione ce la offre con una semplicità disarmante fin dalla prima frase del suo memoriale:

"Della vita fisica e civile cosa importa? La vita politica d’ogni uomo è necessario conoscere nell’epoca del risorgimento nazionale."

Un epitaffio graffiante capace, da solo, di spiegare quei lontani avvenimenti memorabili. Gli uomini del Risorgimento avevano un senso talmente alto della politica, intesa naturalmente nella sua accezione più limpida, come attività svolta per partecipare al governo della cosa pubblica e, nel caso specifico, come mezzo per costruire la res publica, da rinunciare senza tentennamenti agli agi, alla celebrità "cortigiana", fino a mettere a repentaglio la propria vita . L’imperativo morale dunque, sembrava originato da una religione civile, interiorizzata più che appresa; da vivere nell’azione, più che da predicare da un pulpito. Una esistenza quindi da spendere con amore e con grande senso di pienezza, non tanto all’insegna di ineffabili, quanto vacui ed egoistici, "iperboleggiamenti", ma in nome di qualcosa di più grande di noi, come individui, e, nello stesso tempo, alla nostra portata, comprensibile attraverso l’edificazione sociale da compiere "qui adesso". E allora appare logico che la lotta, sotto la spinta della Giovine Italia, si trasformi in esperienza da condurre insieme con tanti altri coetanei; cospirazione per ricercare una società migliore e dunque, in primis, da attivare come processo educativo.

Ecco cosa ci sentiamo di rimarcare ai nostri lettori in sede di presentazione di questa duplice opera rappresentata dal memoriale di Augusto Aglebert e dal saggio storico introduttivo di Giulio Cavazza. 120 anni separano i due scritti, ma il messaggio profondo appartiene veramente allo stesso ceppo ideale riproponendoci, a distanza di oltre un secolo, il medesimo senso di servizio civico. Aglebert racconta con semplicità vicende che danno un senso a un’intera esistenza. Cavazza, estraendo questo diario retrospettivo dalle polveri d’archivio e dalla dimenticanza, ci conferma come la storia sia passata, per intero, anche attraverso uno solo di questi personaggi, non importa quale. Messaggio mazziniano semplice in una bottiglia complessa chiamata memoria. E riflettere sul passato, come fa Cavazza, partendo dalla viva testimonianza di un protagonista, non serve tanto ad esaltare l’eroe, né ad evocare lontane grandezze, ma, piuttosto, rafforza l’obbligo morale di comprendere, oggi, i motivi di certe azioni e comportamenti e ci aiuta a vivere con dignità la nostra vita.

S. P. in Vincoli, 31 ottobre 2000

Sauro Mattarelli


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