Terminata la guerra, la popolazione cercò di ritornare alla normalità. I partiti politici, costretti ad operare segretamente durante il fascismo, ripresero la loro attività e nel 1948 fu approvato lo Statuto Speciale per la Sardegna. La situazione dell'isola era disastrosa: non riusciva ad esportare nessuno dei suoi prodotti (sale, lana, pelli, sughero), di conseguenza non riusciva ad importare nulla. Il dopoguerra non faceva intravedere, ancora una volta, nulla di buono per il futuro della Sardegna. Nel 1850, per debellare il flagello millenario della malaria, in ogni angolo dell'isola furono irrorati circa 11 milioni di litri di DDT (un insetticida molto potente, oggi proibito perché pericoloso per la salute dell'uomo). Il risultato fu raggiunto. Gli interventi economici, invece, furono meno efficaci. Fu presentato un Piano di Rinascita che, però, ebbe miseri esiti sia a causa dei ritardi delle forze politiche locali sia, soprattutto, per il mancato versamento dei soldi previsti. C'era tantissima povertà e molti sardi furono costretti a fare le valigie per cercare di vivere altrove. Nel 1971, su un milione e mezzo di sardi, 250.000 erano emigrati per la maggior parte nel nord della penisola (Torino, Milano...), dove il boom economico aveva creato posti di lavoro e benessere, ma anche all'estero (Francia, Belgio, Germania, Svizzera...) per lavorare nelle industrie e nei cantieri. In quei luoghi, grazie al lavoro, gli emigrati migliorarono le proprie condizioni di vita però dovettero subire anche delle discriminazioni perché erano di origine meridionale. |
Testo elaborato dai bambini delle quinte A e B di via Cagliari