L'abolizione del feudalesimo


Già prima di diventare re, Carlo Alberto si rese conto che ciò che aveva fatto la sua famiglia per rimediare ai problemi della Sardegna era fallito.
Diventato re affrontò i problemi alla radice per portare l'isola, che era molto arretrata, allo stesso livello delle altre regioni del Regno, anche perché progettava di combattere l'Austria per unificare l'Italia sotto il regno dei Savoia.
Cercò di creare posti di lavoro invitando borghesi e nobili a sistemare i terreni. Sistemò, ampliò e migliorò le strade interne; furono introdotte le monete e i sistemi di misurazione del continente per facilitare il commercio.
Incoraggiò la produzione industriale facendo concessioni particolari ad imprenditori piemontesi e liguri affinché si trasferissero in Sardegna per impiantare piccole industrie (concerie, vetrerie, ...). Purtroppo questo tentativo fallì.
Potenziò l'industria mineraria nominando direttore generale delle Miniere Sarde Francesco Mameli (zio di Goffredo) che rese più moderna l'organizzazione e, in parte, gli impianti.
Un ostacolo, ai progetti del re, erano i feudatari e perciò egli diede tutto il potere pubblico allo Stato e poi prese la decisione di abolire il sistema feudale.
Per il popolo non cambiò nulla in quanto fu presto sommerso da tasse, parte delle quali servivano a risarcire i feudatari delle terre tolte. La miseria e la fame continuavano a dilagare.
Carlo Alberto decise allora che erano necessarie altre riforme:
  • Vennero migliorate le strade interne e le comunicazioni col continente;
  • Nei Comuni vennero istituiti il Consiglio Generale (oggi Comunale) e il Consiglio Particolare (l'attuale Giunta);
  • Vennero estese le tasse anche a chi prima ne era esente, cioè a tutti coloro che, secondo il governo, potevano pagare.
Esplose il malcontento e molti esattori furono uccisi.


Testo elaborato dai bambini delle quinte A e B di via Cagliari

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